Arriva nelle sale italiane dal 1 Luglio Duri si diventa, esordio alla regia di Etan Cohen.
Sinossi: James (Will Farrell) è un broker finanziario di successo. All’apice della sua realizzazione, dopo una promozione e la promessa di matrimonio alla bellissima figlia del suo capo, viene arrestato per truffa. Ma James è innocente e Darnell (Kevin Hart) proprietario afroamericano dell’autolavaggio di fiducia del ricco finanziere lo aiuterà a poter sopravvivere nelle celle di San Quintino, dove per la prima volta un criminale finanziario verrà detenuto fra gang e criminali di strada.
Recensione: Esordio alla regia di Etan Cohen (semi omonimo di uno dei due fratelli hollywoodiani) sceneggiatore comico di successo già coautore di Ben Stiller in Tropic Thunder e autore di Madagascar 2. Anche qui collabora alla fase di scrittura. La chiave comica di Duri si diventa è la classe di appartenenza. La diversità dei due mondi ordinari dei protagonisti è marcata subito dall’unità degli spazi in cui si muovono, nello stesso palazzo due differenze inconciliabili si trovano a dover collaborare. La molla dell’incontro è il pregiudizio di James verso la comunità nera e i dati statistici che li legano a problemi giudiziari e detenzioni. Chiederà dunque a Darnell, pagandolo profumatamente, un corso di sopravvivenza per detenuti in carceri di massima sicurezza. Senza considerare che la fedina penale di questo afroamericano è più pulita della sua. Il film così impostato ha ottime possibilità di sviluppo, aumentate anche dall’elevatore a potenza di Will Ferrell che da solo regge invece una commedia che pretende di funzionare arricchendosi esclusivamente di gag e limitandole ai due personaggi principali.
La mancanza delle back stories, la sparizione per più di metà film degli antagonisti, e il mancato sfruttamento della popolazione di lavoratori della casa di James (giardinieri, domestici, camerieri etc..) sono i limiti che non permettono di far decollare la pellicola lasciandola dimenarsi nell’esorcismo del più grande spauracchio della vita dei detenuti, i rapporti omosessuali obbligati. Se questo topos esistenziale serve la gag migliore della pellicola nella prima mezz’ora di girato, prosciuga il suo effetto comico nella sua ripetizione ossessiva, con l’eccezione del ritorno del gay innamorato di Darnell a tre quarti di film. Ma il deficit più importante resta la mancanza di definizione dell’universo affettivo e sociale in cui si muovono i due protagonisti, è qui il limite di scrittura che non permette di mandare più a fondo i conflitti di classe che dividono i due personaggi principali. Se insomma si ride durante Duri si diventa lo si fa per Ferrell e la sua maschera pulita, delfino wasp da ivy league che avendo vissuto in una nicchia sociale per tutta la vita, conserva in sé uno sguardo limpido e foolish. E’ lui l’idiota su cui l’America si accanisce per tutta la durata del film, si prendono gioco di lui nell’ordine i suoi soci, i suoi domestici, le gang di L.A., la fratellanza ariana, la fauna di un bar di omosessuali losangelini e non ultimo Darnell che ha un ruolo di mentore/trickster molto ambiguo nei suoi confronti, che nel finale ha forse più di ciò che avrebbe meritato dato il suo bassissimo quoziente di trasformazione lungo la sceneggiatura.
Gianluca Bonanno
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