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Donne senza uomini

“In Iran, il 16 Agosto del 1953, un colpo di stato organizzato dalla CIA, e appoggiato dai britannici, depose il primo ministro Mossagedh, democraticamente eletto……”

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Siamo alle solite. In Iran, il 16 Agosto del 1953, un colpo di stato organizzato dalla CIA, e appoggiato dai britannici, depose il primo ministro Mossagedh, democraticamente eletto, e restaurò lo Shah al potere. Il despota e la sua polizia segreta, la Savak, imposero immediatamente un regime dittatoriale, riducendo l’Iran ad una colonia delle super potenze, e creando un malcontento generalizzato. Ciò nonostante si sviluppò in tutto il paese un vasto gruppo studentesco di opposizione che alla fine scaturì nella Rivoluzione Islamica del 1979.

La nutrita schiera di mostri creata dalla politica dell’alfiere dell’ordine imperiale non cessa di stupire, considerando che i fatti del 16 Agosto sono ancora poco noti: l’importanza della testimonianza nel cinema riemerge con tutta la sua forza, ripresentando la necessità di valutare il rapporto intercorrente tra verità e immagine.

Tratto dall’omonimo romanzo di Shahrnush Parpisur, Donne senza uomini (vincitore del Leone D’Argento al Festival di Venezia), della regista iraniana Shirin Neshat, è un film rarefatto che, rielaborando la condizione di alcune donne iraniane degli anni cinquanta, si confronta con un periodo storico rimosso, pur non affrontandolo direttamente.

Fakhri, Zarin, Munis e Faezeh sono le protagoniste di questa storia, figure femminili molto diverse tra loro, ma accomunate da un desiderio di libertà o, almeno, dalla voglia di tracciare un sentiero che le conduca al di fuori delle restrizioni che  subiscono quotidianamente.

Una casa fuori Teheran, presa in affitto dalla non più giovanissima Fakhri, diviene il luogo di evasione dove sottrarsi da una realtà opprimente e fare spazio a ciò che eccede il normale scorrere degli eventi. Un sito magico che convoglia quattro destini, fornendo un’occasione di emancipazione irripetibile.

Shirin Neshat costruisce immagini affascinanti, surreali, sospese, ma anche crude, sanguinolente, viscerali, presentando un registro emotivo femminile assai ampio, capace di cogliere quell’eccedenza di senso che imbarazza non poco l’astuzia della ragione maschile. Certo, la contraddizione principale è la trasformazione politica in corso, e quella secondaria il problema di genere; poi c’è l’aspetto principale della contraddizione secondaria. Insomma, la faccenda non è semplice.

Shirin Neshat si muove su un campo minato, ma rimane, grazie ad una certa dose d’equilibrio, miracolosamente indenne. E, nonostante il coro dei soliti gazzettieri che le rimprovererà un approccio estetizzante, noi le tributiamo tutto il nostro plauso.

Luca Biscontini