San qiang pai han jing qi (A Gun and A Noodle Shop). Berlinale 2010
“Un mercante persiano volteggia con la spada e disegna nell’aria una coreografia perfetta: l’azione è filmata con eleganza e maestria tecnica, scherzando con la forza di gravità e giocando con il rallenty e i colori. É proprio l’inizio che ci si aspetta da un film di Zhang Yimou.”
Un mercante persiano volteggia con la spada e disegna nell’aria una coreografia perfetta: l’azione è filmata con eleganza e maestria tecnica, scherzando con la forza di gravità e giocando con il rallenty e i colori. É proprio l’inizio che ci si aspetta da un film di Zhang Yimou. La memoria va a ripescare subito le atmosfere dei suoi precedenti lungometraggi come Hero o La foresta dei pugnali volanti. Ma la sorpresa è dietro l’angolo. Il numero virtuoso del mercante (e del regista) non si conclude con l’atteso e meritato applauso, ma viene dissacrato da una sonora risata dei tre personaggi che vi assistono. Zhang Yimou ci introduce così nel suo nuovo film, e ci annuncia che questa volta si cimenterà in un genere per lui nuovo: la commedia, al limite della farsa per giunta.
Siamo nella Cina imperiale e a ridere è soprattutto la tenutaria di un negozio di spaghetti cinesi che da quel mercante acquista una pistola. Le serve per difendersi dai continui abusi che da anni subisce dall’anziano marito, proprietario del locale in cui lavora. Quest’ultimo viene a sapere dell’acquisto e, avendo anche scoperto che la donna lo tradisce con un garzone, decide di corrompere un poliziotto per eliminarla assieme all’amante. L’avidità dell’omicida, la presenza della pistola all’interno del locale, e la goffaggine dei garzoni danno vita ad una commedia degli equivoci, con molti risvolti drammatici, raccontati con humor nero.
Si tratta del ritorno al cinema di Zhang Yimou, dopo la pausa presa per dedicarsi alla realizzazione delle coreografie per l’inaugurazione dei giochi olimpici di due anni fa. La scelta del soggetto, che ricalca quello del film d’esordio dei fratelli Coen, Sangue facile (Blood simple), è scottante. Mettere mano alla sceneggiatura di un film considerato di culto nel mondo occidentale, per trasportarlo in oriente, è un’operazione delicata. La cosa si complica ancora di più se, partendo dal genere noir dei Coen, si cerca di sviluppare una commedia dai toni farseschi.
Il susseguirsi di equivoci grotteschi, che nel film originale tenevano alta la tensione di una storia amara, fatta di avidità e violenza, servono qui a sostenere i ritmi della commedia, e dettare i tempi alle varie trovate comiche. L’operazione non riesce però al meglio perché la rete di equivoci, pur essendo funzionale allo sviluppo di una sceneggiatura ben adattata, talvolta stride. La violenza alla base del soggetto, incontrandosi con gli aspetti comici, non si amalgama al meglio e confonde lo spettatore. Le trovate divertenti non sono determinate dalla costruzione delle situazioni, ma solo dai comportamenti arlecchineschi dei personaggi, e si esauriscono in gesti e reazioni buffe in frangenti di grande drammaticità. Sembra di assistere ad una messa in scena da Commedia dell’arte, però fuori contesto, non tanto a causa dell’ambientazione storica e geografica, ma piuttosto per l’eccessivo contrasto con gli aspetti drammatici, come gli omicidi o gli squallidi abusi del vecchio proprietario del locale sulla giovane moglie. Una tematica, quest’ultima, assai delicata e poco rielaborata per inserirla nell’ambito del gioco. Non si capiscono le intenzioni di Zhang Yimou nel generare questi contrasti, se non la ricerca di un humor nero che però non suscita né sottile divertimento , né amarezza. Da salvare c’è qualche trovata divertente, oltre che la fotografia, cromaticamente impeccabile, che valorizza al meglio i momenti coreografici, come quello dei garzoni al lavoro che impastano il preparato per gli spaghetti con acrobazie da giocolieri.
La sensazione è che i virtuosismi tecnici ed estetici siano gratuiti, ideati solo per ammiccare al pubblico. Siamo lontani dalla funzionalità che le immagini spettacolari di Hero avevano nell’esaltazione della bellezza e dei gesti della filosofia zen. Zhang Yimou si conferma un maestro dal punto di vista tecnico ed un grande coreografo, ma non sembra padroneggiare al meglio i toni della commedia.