“Fare un film per me è vivere, il documentario-backstage che Enrica Fico – per tanti anni moglie e, in ruoli diversi, compagna di lavoro di Michelangelo Antonioni – ha girato durante le riprese di Al di là delle nuvole, si presenta come appassionato omaggio corale al mondo poetico d’un uomo e d’un artista.”
Presentato all’interno della retrospettiva integrale che il Cinema Trevi ha dedicato all’opera di Michelangelo Antonioni (Paesaggi con figure, 2-10 febbraio), Fare un film per me è vivere è un documentario-backstage.
Raccontare Antonioni attraverso un film
Il documentario che Enrica Fico – per tanti anni moglie e, in ruoli diversi, compagna di lavoro del regista ferrarese – ha girato durante le riprese di Al di là delle nuvole, si presenta come appassionato omaggio corale. Un omaggio al mondo poetico d’un uomo e artista la cui immagine è a tutt’oggi legata erroneamente al ruolo affibbiatogli di genio solitario arroccato nel suo irraggiungibile castello mentale.
La macchina da presa si insinua sul set, durante le prove e i momenti di relax. Coglie gli sguardi e i pensieri dei partecipanti alle riprese. Da un Wenders nell’inedito e divertito ruolo di assistente, agli interpreti (tra gli altri, Mastroianni, John Malkovich, Sophie Marceau, Fanny Ardant, Kim Rossi Stuart). Ma anche allo sceneggiatore e grande amico Tonino Guerra (il più loquace e appassionato nel ricostruire le orgini emiliane e le esperienze internazionali, l’atteggiamento artistico e i continui slanci creativi di Antonioni). E soprattutto si sofferma su gesti intensi ed essenziali. Come quelli di un uomo colpito da ictus, costretto al mutismo e alla precarietà dei movimenti e al contempo capace di dirigere con fermezza e autorevolezza un film di tale portata.
Capace di una profondità paradossalmente ottenuta con la malattia l’Antonioni di quegli anni incarnava pienamente l’istinto “(micro e tele) scopico” del cinema. Finalmente è libero di prescindere dagli obblighi comunicativi dell’ostico linguaggio parlato. Questo significa(va) incarnare il sentimento che nasce dal vedere, dal sentire e dal ricordare per tutta la vita un’immagine cercata con la curiosità del ricercatore. Ma anche con la passione di chi (nell’urgenza di sapere tutto) aveva scelto d’indagare con lo sguardo i drammi, indifferentemente psicologici o plastici, della vita. E con l’intensità di chi – e qui cito Fanny Ardant – non aveva mai smesso di interessarsi a come l’essere umano possa esistere dentro l’inquadratura.
Salvatore Insana
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