Primavera, prodotto e distribuito da Warner Bros, è un film in costume ambientato a Venezia nel 1703, quando un giovane e asmatico Antonio Vivaldi (Michele Riondino), divenne il nuovo maestro dell’orchestra dell’Ospedale della Pietà. L’orchestra è realmente esistita ed era una delle più prestigiose al mondo. Dai manoscritti del compositore veneziano trovati nel ‘900 risulta che in questo periodo della sua vita ideò le Quattro Stagioni. L’orchestra della Pietà era composta di tutte donne, giovani orfane che studiavano musica, ma non potevano mai mostrarsi in pubblico o uscire dall’orfanotrofio in autonomia. Questa film fa conoscere la loro esistenza e il loro talento rimossi dai posteri, come aveva già fatto in forma più pop Gloria di Margherita Vicario.
Durante i concerti, le musiciste erano nascoste dietro una grata. Per le occasioni in cui si esibivano all’esterno indossavano una maschera. Sono volti che non esistono, dice uno dei titoli dei brani originali, fino a quando il nuovo maestro non posa il suo sguardo sul volto di Cecilia, che osa sfidare il suo dopo una dimostrazione dello straordinario talento.

Lo sguardo di Cecilia
Cecilia (Tecla Insolia) è la primavera di Vivaldi. In lei si sprigiona quella vitalità che esplode nel motivo allegro, forse tra i più famosi della storia della musica. Il suo sguardo sul mondo di costrizione, in cui si è ritrovata a vivere, guida lo spettatore, ed lei, non Antonio Vivaldi, la protagonista. Il maestro con la sua arte alimenta semplicemente il desiderio di libertà ed evasione della ragazza.
Si instaura così un dialogo musicale, in cui la musica di repertorio di Vivaldi che sentiamo nel film ne crea un’altra inedita, la musica interiore e extradiegetica di Cecilia composta e orchestrata da Fabio Massimo Capogrosso ed eseguita dall’Orchestra e Coro del teatro La Fenice di Venezia. Questo dialogo è portato in scena dallo scambio musicale dei due violini, quello di Vivaldi e quello di Cecilia, che si sfiorano durante un’esibizione pubblica in cui per la prima volta Cecilia viene vista a volto scoperto e applaudita.
In cerca di libertà e di una madre
L’unica via per uscire dalle mura dell’orfanotrofio per le giovani recluse è il matrimonio combinato che sancisce però l’abbandono forzato dell’esercizio della musica. Anche Cecilia è promessa a un ufficiale, Sanfermo (uno spietato Stefano Accorsi). Nel suo maestro Cecilia vede un possibile sostenitore al suo sogno di libertà, ma il loro incontro è destinato a esaurirsi nel tempo di una stagione, la primavera dell’anima, quella in cui si risvegliano i sensi. Sarà la priora (Fabrizia Sacchi), la donna che ha vissuto tutte le stagioni di Cecilia, anche lei orfana e reclusa, a sostenerla. La vediamo per la prima volta nell’incipit mentre, senza cuore, getta in un canale dei gattini appena nati strappandoli alla madre. Ma è la stessa donna che conserva le metà di santini lasciati dalla madri che hanno abbandonato lì le loro figlie, in attesa di rivederle tornare.
La musica non serve a niente ma può fare tutto
Una Venezia invernale e barocca
Il barocco decadente dei primi anni del ‘700 è stato restituito dalla fotografia fredda, e dai colori opachi, firmata da Daria D’Antonio, in cui risalta il rosso degli abiti di Cecilia. Venezia è grigia, i canali sono vuoti, la società si rintana nei palazzi sfarzosi dove i nobili con le loro grandi acconciature, il trucco sul viso e gli abiti vistosi si intrattengono in feste e schiamazzi. A incarnare lo sfarzo vuoto del barocco c’è Valentina Bellè, nei panni di una giovane aristocratica vanitosa e senza alcun talento per la musica. Tecla Insolia, dopo Modesta ne L’Arte della gioia, torna nel ruolo di una giovane donna in cerca di autoaffermazione e Michele Riondino, nei panni del maestro dopo La valle dei sorrisi.
Il loro incontro/ scontro appassiona lo spettatore. Pur senza un crescendo emotivo, il loro è un sodalizio artistico non amoroso ed è giusto che sia così. La scelta di non raccontare, romanzando la Storia, l’amore ma la conquistata liberta di una musicista del ‘700 rende La primavera, un’ottima opera prima. Un film attuale, godibile dalla prima all’ultima nota.