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DORICO INTERNATIONAL FILM FEST

‘Festa in Famiglia’ quando la parola passa di mano

Un racconto universale sulla gestione sociale della violenza. Dalla parola della vittima al passaggio immediato riposto nelle mani maschili

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Festa in Famiglia è un corto che dopo essere stata alla Settimana della Critica 2025 è ora vincitore al Dorico International Film Fest. Di Nadir Taji, classe 2000, realizzato dal Centro Sperimentale di Cinematografia, il cortometraggio ci mostra un altro lato della festa. Un lato universale, spesso rimosso, spesso affossato.

Come dice il detto, è proprio vero che i familiari non si possono scegliere, mentre gli amici sì. È da qui che si apre il tasto dolente delle famiglie, che possono essere luoghi di amore e protezione, ma altre volte trasformarsi in un vero e proprio tormento. Un tormento che il film ci mostra sin dall’inizio, con la macellazione di una pecora. Un gesto violento, rituale, iniziatico, che stabilisce immediatamente il tono con cui verrà affrontato Festa in Famiglia.

Per raccontare questa storia, Nadir Taji, insieme agli sceneggiatori Chiara Aversa, Dorotea Ciani e Davide Demasi, sceglie una location intima e familiare. È proprio in questi spazi rurali, lontani dalla città, in cui le famiglie si riuniscono e abbassano le difese, che emergono i veri io. È lì che spesso affiora il peggio, proprio come accade in Casa in fiamme: perché, come sappiamo, è all’interno delle famiglie che i segreti trovano il loro rifugio più sicuro.

Ma Taji non si limita a mostrare il meccanismo. Cerca di scardinarlo. Vuole dimostrarci che è possibile ribellarsi anche quando si tratta dello stesso sangue. Il sangue della pecora diventa allora un simbolo chiaro: scorre, resta, non può essere cancellato. Nemmeno quando una tanica d’acqua tenta di lavarlo via. Perché ciò che è accaduto non si rimuove.

La reazione alla molestia in Festa in Famiglia

Ancora una volta ci troviamo davanti a due uomini chiamati a decidere la gravità dell’atto: il padre della ragazza e il padre del molestatore. La reazione della ragazza avviene quasi sottobanco, in silenzio, cercando di fare meno rumore possibile. Perché il vero rumore arriva dopo. Arriva con i padri.

Il padre della ragazza inizia a picchiare Hassan (Aiman Machhour). Da qui il focus si sposta su di loro.

“Tu non mi devi scavalcare! Vieni da me e me la vedo io con mio figlio.”

Sostiene il padre di Hassan.

“Ma se tu avessi educato bene tuo figlio, non avrebbe mai fatto questo!”

Ma fino a che punto conta il parere altrui di fronte alla verità di chi quella situazione l’ha vissuta davvero? La ragazza resta ai margini. Come se solo i capifamiglia potessero stabilire quanto un atto sia grave o meno. E improvvisamente, quando Karim, il padre di Hassan, si sente umiliato, la molestia sembra perdere centralità. La paura di aver “esagerato” affossa il trauma reale.

Il paradosso non risiede solo nel fatto che i due uomini decidano al posto della vittima, ma anche nella reazione della madre di Hassan, che si preoccupa esclusivamente del figlio picchiato:

“L’avete ucciso oggi. Uno l’ha picchiato ora, quell’altro l’ha picchiato prima.”

Un momento che mostra come, molto spesso, anche le donne possano diventare complici inconsapevoli del sistema stesso.

La rappresentazione registica di un tema universale

Un elemento cruciale di Festa in Famiglia riguarda le scelte di rappresentazione della molestia.

“Ho deciso di limitare gli elementi più crudi e di usare le inquadrature in modo da suggerire più che mostrare.”

Le violenze più esplicite sono infatti quelle tra gli uomini che si picchiano, ma anche in questo caso la regia mantiene una distanza precisa. Non mostra i dettagli, lascia spazio allo sguardo dello spettatore. Una scelta che non attenua la gravità dell’atto, ma la amplifica. Perché spesso ciò che non si vede pesa di più.

Anche la location lavora in questa direzione: un luogo che richiama calore, casa, sicurezza, apparentemente spensierato. Ed è proprio questa duplicità a rendere Festa in Famiglia così disturbante e necessario. Non siamo in uno scenario horror, ma in un contesto quotidiano, idilliaco, fino a quando Hassan molesta la cugina. Ed è proprio lì che il film ci ricorda una verità scomoda: l’antagonista, molto spesso, non arriva da fuori.

Festa in Famiglia e un silenzio che protegge

In Festa in Famiglia la violenza non irrompe, ma si insinua. La ragazza resta ai margini, come se il suo corpo fosse già stato spostato fuori dal centro simbolico della famiglia. Anche quando tenta di raccontare, lo fa sottovoce, quasi in clandestinità. Il film non insiste sul suo dolore, bensì su ciò che accade subito dopo: il rito. Un rito antico, fatto di uomini che si confrontano, di equilibri da preservare, di parole che servono più a contenere il disordine che a nominare la verità.

In questo senso il corto dialoga apertamente con Festen: anche lì una celebrazione familiare diventa il luogo in cui il non detto rischia di emergere e proprio per questo deve essere neutralizzato. Non è la violenza in sé a destabilizzare il sistema, ma la possibilità che venga riconosciuta pubblicamente. È qui che il film di Nadir Taji si fa politico: mostra come il patriarcato non agisca solo attraverso l’aggressione, ma soprattutto attraverso la gestione del silenzio.

Festa in Famiglia non cerca lo shock, né la denuncia esplicita. Auspica a mostrare quanto questo meccanismo sia ordinario, replicabile, vicino. È un racconto che ci riguarda perché ci mette dinanzi a una realtà scomoda. Quante volte, per mantenere la pace, abbiamo scelto di non vedere? E soprattutto, chi stiamo proteggendo davvero quando decidiamo di tacere?

Festa in Famiglia

  • Anno: 2025
  • Durata: 19'
  • Distribuzione: Premiere Film [Italia]
  • Genere: Drama
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Nadir Taji