Concorso Internazionale di Cortometraggi, MedFilm Festival 2025: ogni storia compone un grande affresco di umanità, attraverso racconti suggestivi che provengono da ogni parte del mondo e arrivano a Roma, in corsa per il Premio Merthexis e Premio Cervantes. Tra le tante storie che hanno affascinato il pubblico del festival abbiamo Control Anatomy, un documentario palestinese che racconta con freddezza gelida il dolore della guerra.
Control Anatomy: l’architettura che racconta al passato remoto
Le case, i palazzi, i quartieri di una vita che sembra una vita fa, sono al centro di Control Anatomy. L’occhio del regista Mahmoud Alhaj sembra avere poteri a raggi X. Scruta nelle case distrutte, si finge drone aereo che bombarda e semina morte e osserva furtivo dietro le armi e gli strumenti di una guerra che operano a Gaza, senza pietà. Cosa resta dell’animo umano quando la guerra ne spazza via ogni ragion d’essere? Cosa resta di un luogo quando ne viene estirpata la memoria storica e architettonica? Le domande che il cortometraggio formula sono poste attraverso un montaggio visivo lento e ragionato, che non ha paura di porsi da entrambi i lati del filo spinato.

Quando la distruzione deve provare a ricomporsi
In vista di un racconto filmico, spiega il regista Mahmoud Alhaj, non è facile ricomporre i cocci e restituire al pubblico una tela omogenea di significato, capace di narrare, edificare, far riflettere. In un’intervista dichiara: “È difficile descrivere uno sfollamento forzato e descrivere la continua ricerca di un posto ‘sicuro’, lontano dai bombardamenti casuali”. Tuttavia, l’arte ha la capacità di resistere alla distruzione. Lui stesso racconta di aver sempre fatto arte, anche sotto il bombardamento. Ecco come nasce Control Anatomy: un reportage visivo e sperimentale di ciò che il regista esperisce in tempo reale, e che però riesce a durare nel tempo, facendosi cinema, immagine imperitura di qualcosa di rotto, che vuole rinascere, sul grande schermo.
“Non era facile per gli artisti procurarsi gli strumenti a Gaza, ma abbiamo resistito.”
Mahmoud Alhaj: tra l’arte pittorica e il cinema
Nato a Gaza nel 1990, Mahmoud Alhaj risiede oggi in Francia e si dedica all’arte e al cinema. Ha conseguito una laurea in giornalismo e lavora come insegnante d’arte presso la Mezzaluna Rossa Palestinese dal 2017. Ha dato vita a sei progetti che utilizzano fotografia, arte digitale e video, ampiamente esposti in Palestina, Europa e Stati Uniti. Nel 2022, il suo cortometraggio sperimentale The Right to See è stato proiettato al 35° Festival Les Instants Video di Marsiglia. Ha esposto le sue opere d’arte tra Gaza, Paesi Bassi e Barcellona. L’arte pittorica si fonde con il cinema e resiste alla dissoluzione plastica ed emotiva.
Lo sperimentalismo al servizio del dolore
Sperimentale, audace, e curioso, Alhaj utilizza la sua meticolosa attenzione al dettaglio per raccontare in Control Anatomy quanto influiscano le nuove tecnologie belliche nel massacro israeliano sui palestinesi. L’arte della guerra si misura a colpi di violenza spietata, e a pagarne le conseguenze sono i civili di questa atroce storia. L’architettura, l’arte, il retaggio storico culturale palestinese soffre in silenzio sotto la spietatezza bellica, raccontata con freddo realismo dal cortometraggio. Mahmoud Alhaj manipola la tecnologia digitale al servizio della sua visione e delle sue idee.
L’appello del regista:
“Fermate questo massacro adesso (…). Abbiamo diritto alla vita, alla dignità.”
Il cinema accoglie l’appello. Il cinema riesce, più di ogni altro mezzo, a congelare il dolore e a scongelarlo nella mente di chi guarda.
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