Connect with us

Festival dei popoli

Pierluca Ditano, Taranto e il paesaggio sonoro

Un’opera che interroga il tempo e lo spazio, tra realtà e sogno in una Taranto universale. Nel concorso italiano del Festival dei Popoli

Pubblicato

il

pierluca ditano

Queste cose non avvennero mai di Pierluca Ditano è uno dei titoli selezionati nel concorso italiano del Festival dei Popoli 2025.

Nelle periferie post-industriali di Taranto tre persone condividono una condizione di esilio. Un’attesa che è insieme fuga e radicamento in paesaggi sospesi tra mare e cemento. (Fonte: Festival dei Popoli)

Nella cornice del festival abbiamo fatto alcune domande al regista Pierluca Ditano.

Qui per la recensione

Queste cose non avvennero mai ma sono sempre di Pierluca Ditano

Come nasce questo film?

Devo premettere che sono cresciuto a 50 km da Taranto e prima di cominciare il progetto non ci andavo da molti anni, non era una città che conoscevo tanto. Nonostante ciò mi affascinava molto questa sensazione fisica addosso, collegata alla città, che non riuscivo sempre a definire. Soprattutto perché è una città che si presta a queste ambientazioni sci-fi che danno un tocco al film, con questa estetica della crisi, del post-disastro.

L’idea del film vero e proprio, però, nasce dopo l’incontro con uno dei protagonisti, Gaspare, che mi parla di una scena musicale indipendente che negli anni Ottanta era molto viva a Taranto, legata alla New Wave. Da lì mi faccio una domanda: cosa ne è stato di quella cultura underground e che cosa c’è oggi in una città in cui lo Stato ha avuto un ruolo così impattante? Quindi ho cominciato a esplorare e Gaspare, assieme ad altre persone, mi ha un po’ introdotto e sicuramente mi ha permesso di guardare la città con un altro sguardo. Anche perché a Taranto è difficile parlare della città senza parlare della fabbrica e per dribblare la fabbrica mi servivano degli sguardi che fossero particolarmente lanciati verso qualcos’altro, sguardi che mi hanno guidato altrove: uno dei punti era rompere quell’immagine dominante della città.

Infatti sono personaggi simbolici in qualche modo, al di là di evadere dal discorso fabbrica.

Tutti e tre appartengono a una cultura e a un’estetica underground. Durante l’elaborazione ognuno di loro ha fatto in modo, anche indirettamente, che fosse collegato a delle parole guida che sono state fondamentali per me nella scrittura. Ognuno di loro l’ho associato a una parola: Gaspare era l’ignoto, l’esplorazione, Maria la lotta e Sandro l’utopia.

E sono proprio queste sono cose che non avvengono mai ma sono sempre.

pierluca ditano

Universalità e immagini oniriche

Questi concetti sono ben presenti nel film e soprattutto nei personaggi. Al di là di quello che dicevi, e cioè di evadere dall’idea che abbiamo di Taranto, alla fine il luogo che mostri potrebbe essere qualunque. E ci sono delle immagini che sembrano quasi oniriche.

Per rispondere a questa domanda tornerei a quella inconsistenza, alla sensazione che la città mi lasciava addosso. Ero di fronte a un territorio che viene sempre rappresentato in modo molto fattuale e concreto. Noi sappiamo di Taranto con le parole di giornalisti, attivisti, e questa cosa soffoca il discorso sulla città e lo porta su un piano molto fattuale. Se a questo ci aggiungi che c’è l’immagine che abbiamo di Taranto, cioè l’Ilva, è chiaro che mi serviva un altro piano di racconto che potesse stare su qualcosa di più evanescente.

L’idea è stata quella di provare a dare forma a un film che portasse fuori quella sensazione che lasciava in me e stare su un piano più etereo, mettendo insieme un realismo osservativo a un piano più sensoriale, onirico, molto sonoro. Se devo dire che cosa sono per me queste cose credo che siano paure, desideri, sogni, materie invisibili che ci appartengono profondamente, quindi inconsistenze.

Tornerei sull’inizio del film perché non si capisce dove siamo, potremmo essere ovunque, senza contare la poca luce e la scarsità di dettagli. Solo dopo ci dici che siamo a Taranto e ce lo dici in maniera particolare.

Ci ho ragionato tanto su quel cartello, su come settare il luogo del film anche perché io giro tutto molto stretto, tutto a spalla e di conseguenza il paesaggio, che è una cosa che a me piace molto, si costruisce un po’ per frammenti. Così facendo ti lascia immaginare e comporre che cos’è questa città, agendo al contrario, cioè per smembramento, in relazione per esempio al discorso della fabbrica che facevamo prima: quelle immagini di paesaggio, che diventano quasi astratte, sono il desiderio di spaccare quella stessa immagine che noi abbiamo in testa.

Con il cartello, in qualche modo, sono andato in questo direzione, cioè sono stato il meno informativo possibile, ma ho comunque inserito alcune cose che mi sembravano importanti, ovvero Taranto, Sud Italia (ma a sinistra ho scritto “Sud Europa”, e questo mi piace perché invita a guardare quella città con una prospettiva europea), un tempo che resta indeterminato, questo 2000 xx per dare la sensazione di essere in un tempo vicino, ma che non sai se è passato, futuro, presente e quindi dare un po’ di distanza da quello che si sta guardando. E poi ho messo quello che in geografia chiamano un bounding box, e cioè questa coppia di coordinate geografiche che definisce un rettangolo dentro cui ho girato effettivamente il film, che è proprio una scatola.

In maniera un po’ condensata, ma ci sono altre due cose scritte. La prima è zona di sacrificio, che è una definizione che l’ONU ha dato di aree del mondo che sono in qualche modo comunità, luoghi sacrificati all’estrazione e quindi subiscono danni legati alla salute e alle condizioni ambientali. L’altra definizione è area di crisi industriale complessa, che invece è una definizione dello Stato italiano legato anche qui ad aree sottoposte a una crisi industriale pesante, e quindi anche a danni ambientali. In questo modo ho ribadito che si tratta di un posto duro dove stiamo entrando.

Pierluca Ditano e il paesaggio sonoro

A proposito di luoghi, sembra che in questo film il luogo inteso come spazio diventi fondamentale, tanto da andare a braccetto con il sonoro. Si può usare la definizione di paesaggio sonoro per questo film?

Sono molto felice che la vedi così.

Quante parole ci sono su Taranto e quante poche ce ne sono nel film. Questo era un po’ il tema centrale; volevo portare qualcosa di diverso con questo film, anche perché credo che il cinema serva proprio a questo. Nelle note di regia ho scritto che il film è un soundscape, quindi, appunto, un paesaggio sonoro messo in immagini. Sicuramente questo viene dal fatto che il lavoro di Gaspare è stato una grande guida, il lavoro di suono del film è stato fondamentale e fondante. Diciamo che gli ultimi lavori musicali di Gaspare sono andati di pari passo con il film perché lui parte da field recording, cioè prendere suoni in giro e sublimarli in qualcos’altro.

Quindi sì, sono completamente d’accordo. Il paesaggio, il suono e il film vanno molto insieme e abbiamo anche lavorato tanto nel provare a creare questi paesaggi sonoramente immaginifici.

Così facendo rendi lo spazio universale perché hai girato a Taranto, ma non ci sono tratti distintivi e sarebbe potuto essere qualsiasi altro luogo. Allo stesso modo credo che anche il tempo sia non collocabile in dei confini precisi, ma sia piuttosto sospeso. Alla fine è una grande riflessione che va oltre il raccontare in maniera diversa Taranto.

Sicuramente è una grande riflessione. Questa cosa sul tempo a me piace perché dà un senso di distanza, perché mi ha permesso di guardare il presente con più incertezza.

Il titolo

Non posso non chiederti del titolo. Da cosa nasce e cosa significa?

È una frase che viene da un filosofo romano che la usa come definizione di mito. L’autore è Saturnino Sallustio, filosofo del IV secolo d.C. e parla del fatto che il mito per antonomasia esce dallo spazio e dal tempo e parla di condizioni umane che cercano di essere universali, che cercano speranza, che sono modelli ideali.

È vero e sicuramente incuriosisce come titolo perché, in qualche modo, è interrogativo. Perché è come se mancasse un pezzo.

A titoli informativo la frase precisa è: E queste cose non avvennero mai, ma sono sempre: l’intelligenza le vede tutte assieme in un istante, la parola le percorre e le espone in successione.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

Per l’intervista e le foto si ringrazia Davide Ficarola, Valentina Messina e Antonio Pirozzi, ufficio stampa del Festival dei Popoli

Queste cose non avvennero mai ma sono sempre

  • Anno: 2025
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Pierluca Ditano