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Mente Locale – Intervista a Lena Pasanen: il festival al servizio del territorio

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Leena Pasanen è intervenuta ai nostri microfoni per parlare della dodicesima edizione del Festival Mente Locale – Visioni sul territorio, il primo festival italiano dedicato a promuovere e valorizzare il racconto del territorio attraverso il cinema documentario.

Con la direttrice artistica del festival abbiamo ripercorso la storia di Mente Locale, analizzando il legame tangibile e significativo con il territorio. Un festival che ha il suo punto di guida nella frase: “portare il cinema alla gente”.

L’intervista a Leena Pasanen

Leena, partirei dall’inizio. Ci puoi raccontare la storia del Festival, come è stato ideato. Cosa c’è dietro a questa ricerca, il filo conduttore che portate avanti.

Ho scoperto Mente Locale per la prima volta quando sono stata invitata come membro della giuria e devo dire che me ne sono subito innamorata. Mi ha colpito l’intero concetto del festival. Ho lavorato per molti anni in festival cinematografici molto grandi, che a volte finiscono per diventare troppo grandi e perdersi un po’ di vista il pubblico: devono lottare per le anteprime, per gli sponsor, per i critici.
Mente Locale invece è tutto al servizio della comunità, del territorio, del pubblico, e allo stesso tempo sostiene i cinema indipendenti che in tanti paesi stiamo perdendo. È stato qualcosa di speciale per me.
Quando poi Giulio e il team mi hanno chiesto di unirmi a loro, sono stata felicissima. È una passione che ci accomuna: finché questo lavoro continuerà ad avere un senso e ci divertirà, continueremo a farlo.

Il festival si definisce “racconto del territorio attraverso l’audiovisivo”. Per te cosa significa territorio oggi  e come cambia il suo racconto tramite documentari?

Per me è, in molti modi, una questione di cosa significhi vivere bene. Come possiamo trovare un modo di vivere che rispetti il territorio, che ci faccia stare bene, che tenga insieme tradizione e cambiamento. Io, ad esempio, mi sono trasferita in campagna, vicino a Grizzana Morandi, e ho trovato uno stile di vita che amo e che apprezzo molto.
Molte delle storie che presentiamo raccontano proprio questo: come stiamo cambiando come società, cosa accade nelle nostre comunità — rurali o urbane.
Abbiamo un’idea molto ampia di territorio: non è solo un luogo fisico, ma uno spazio di memoria, di identità, di trasformazione. Il nostro obiettivo è raccontare storie che mostrino cosa ci sta accadendo oggi, riflettendo anche il passato che abita nei luoghi.

Leena Pasanen_Pic by Tuuli Sotamaa -105

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Il cinema è della gente

In una precedente intervista sempre con noi di Taxi Drivers hai parlato dell’importanza dei “piccoli paesini che hanno bisogno di essere tenuti in vita”. Qual è oggi la sfida più grande che vedi, come festival, nel valorizzare questi territori?

Credo che la sfida principale sia portare diversità nelle storie. Non solo film che celebrano le tradizioni, ma anche opere che mostrano quali opportunità ci siano oggi per i giovani di restare dove vivono.
In Finlandia, da dove vengo, ho visto molti giovani trasferirsi nelle grandi città, e il risultato è che ampie aree si svuotano. Non è sano per un paese.
Mostrare storie diverse, invece, può essere incoraggiante: raccontare cosa sta succedendo altrove, quali sono le possibilità. È importante dare spazio anche alle nuove generazioni, ai loro sguardi, alle loro esperienze.
Dopo il Covid ho notato un nuovo rispetto per il proprio territorio: molte persone hanno riscoperto il valore dell’abitare vicino, del vivere in modo più consapevole. È stato un cambiamento significativo.

Per i giovani documentaristi che partecipano o aspirano a partecipare al festival: quale messaggio vorresti lasciargli, rispetto al “racconto del territorio” oggi e domani?

Quando lavoravo in televisione e commissionavo documentari, cercavo sempre storie raccontate da persone che conoscevano davvero ciò di cui parlavano. Ma ho imparato che si può anche raccontare un paese lontano se si è aperti, onesti e autentici.
Oggi sono meno “purista”: apprezzo il coraggio delle giovani generazioni, la loro capacità di mettersi in gioco e di raccontare storie personali. Alcuni film selezionati quest’anno sono molto intimi, ma proprio per questo hanno un grande impatto.
Mi piace anche vedere nuovi linguaggi: non solo documentari centrati su un protagonista, ma narrazioni più collettive, comunitarie, che hanno una forza diversa ma altrettanto importante.
E devo dire che quest’anno sono rimasta molto colpita anche dalla qualità visiva e sonora dei film. C’è grande attenzione al paesaggio sonoro, non solo alla musica, ma a come il suono costruisce l’esperienza cinematografica. Questo per me è fondamentale.

Infine, cosa significa per te personalmente, nel tuo ruolo di direttrice artistica, vedere il festival “chiudersi” e al contempo prepararsi a una nuova edizione? Quale visione ti porterai dentro?

Parlando con molti colleghi internazionali, tutti sono affascinati dal fatto che Mente Locale si svolga in tanti piccoli luoghi, non solo a Bologna o Modena. Il nostro obiettivo è portare il cinema alla gente, servire il pubblico, ed è ciò che rende questo festival così speciale.
Resto sempre colpita dal numero di spettatori, dalla curiosità e dall’entusiasmo del pubblico. Anche nei grandi festival internazionali spesso non è facile riempire le sale, ma qui non abbiamo mai avuto questo problema: significa che il festival è davvero sentito.
E poi c’è la gioia: anche quando i film affrontano temi difficili, Mente Locale ha saputo creare una vera comunità cinematografica. E farlo mentre si condividono il cibo e il vino del territorio, a volte anche il nostro vino, visto che con Stefano lo produciamo, rende tutto ancora più speciale.