Appunti per una storia sarda (2024), cortometraggio diretto dal produttore, sceneggiatore e regista Daniele Maggioni – su testo della regista e sceneggiatrice Maria Grazia Perria – è in concorso alla dodicesima edizione del Festival Mente Locale – Visioni sul territorio. Il film – narrato da Noemi Medas – è un racconto sperimentale che fa parte del progetto Private Alphabet di Maggioni; il cortometraggio è costruito con il montaggio di immagini girate in Sardegna dal regista in quasi cinquant’anni di attività, parte del suo archivio audiovisivo privato.
Appunti per una storia sarda
“Quando hanno trovato il cadavere di quell’uomo nei boschi del Sarrabus, mi hanno avvisato subito perché avrebbe potuto trattarsi di mio nonno, scomparso due giorni prima dalla casa di mamma”. Una donna fa ritorno nei boschi che conosce fin da piccola per il riconoscimento di un corpo che potrebbe essere quello di suo nonno Alessandro Masala – conosciuto come “tziu Lisandru” – scomparso due giorni prima. Il volto è quasi irriconoscibile, ma una cicatrice sulla gamba destra dell’uomo, poco sopra il malleolo, oltre a darle la certezza di non trovarsi di fronte al corpo di suo nonno, rievoca in lei un ricordo inatteso.
Le immagini – che nelle prime sequenze mostrano una rigogliosa vegetazione – pur trattate e rielaborate, mantengono una coerenza espressiva con il racconto in voice over. Quando la voce evoca lo stagno di Molentargius, sullo schermo si distingue soltanto la trama intricata di un canneto, accompagnata dal fruscio degli steli e delle foglie. Quando la donna si reca nel bosco per il riconoscimento, il paesaggio si compone di sottobosco e rocce ricoperte di muschio. Il dark ambient che risuona durante tutta la durata del film – la colonna sonora è di Filippo Ripamonti – è un riverbero cupo, eco della voce narrante.
Con lui ho conosciuto la vita, ma anche la morte e il dolore
Il film è un racconto circolare, a tratti sinestetico, che si può definire in contrapposizione al naturalismo: la composizione audiovisiva, più che rappresentare la realtà in modo verosimile, la mostra attraverso immagini distorte e rielaborate, prediligendo l’analogia concettuale tra le inquadrature e il racconto narrato dalla protagonista. Si ottiene così non una ricostruzione fedele alla realtà, bensì un’esperienza filtrata dalla percezione e dai ricordi della donna.
Un linguaggio espressionista che, dalla metà del film, ricorre al bianco e nero e al negativo mentre la voce rievoca le estati trascorse con il nonno tra i boschi, contrapponendo esperienze colme di vita al dolore e alla morte: “Con lui ho imparato a camminare senza perdermi nei boschi, a riconoscere e seguire le tracce degli animali selvatici, a far nascere un agnellino o un capretto. A liberare una lepre dalla tagliola, a ricucire, quando era necessario, brutte ferite. Con lui ho conosciuto la vita, ma anche la morte e il dolore”.
Una realtà “a doppio senso”
Ricordando la frase: “La vita non è perfetta”, che nonno Lisandru le ripeteva in risposta alle sue domande esistenziali di bambina, giunge, senza accorgersene, allo stazzo del nonno. Le pareti degli interni scuri e disadorni, insieme agli odori penetranti, le riportano alla memoria le estati trascorse in quei luoghi, fino alle scuole medie. Finché riaffiora il ricordo di una notte di pioggia di molti anni prima, e al corpo dell’uomo dal volto irriconoscibile si lega la storia di un sequestro. Una storia di “fantasmi”, in cui l’esilio rappresenta una scelta e non un’imposizione.
Anche l’universo narrativo più folle ha le sue regole compositive, e Appunti per una storia sarda, che si colloca a metà strada tra un giallo di Edgar Allan Poe e i “contus de forredda” – leggende e racconti popolari della tradizione sarda narrati attorno a un focolare –, adotta la logica della soggettiva cinematografica. Le inquadrature e i movimenti della macchina da presa, assemblati per simulare il punto di vista della protagonista, restituiscono l’impressione di una realtà “a doppio senso”: da una parte la vita, anche nei suoi aspetti meno accoglienti, dall’altra la dimensione della perdita, attraversata da un’entità fantasmatica che ne percorre lo spazio e il tempo, trascendendo le leggi fisiche – in quest’ultima potrebbe nascondersi nonno Lisandru, in fuga dal suo passato tra i boschi del Sarrabus.