Non può lasciare indifferenti il sofferto e doloroso documentario White lies, diretto e sceneggiato da Alba Zari, in proiezione alla 66ª edizione del Festival dei Popoli.
White lies
Dawn Zari vive a Bangkok. Da piccola si trasferisce a Trieste, impara una nuova lingua, si adatta a un diverso stile di vita e cambia il suo nome in Alba. Fotografa e artista, è inquieta. Da piccola a chi le chiedeva chi fosse il padre, mai conosciuto, rispondeva che era il re della Thailandia. Trascorsi gli anni, Ivana, la madre, le aveva fatto credere che fosse Johnny, un uomo che aveva vissuto con loro diversi anni.
Alba, poi, non si dà pace: come mai Johnny aveva abbandonato lei e la madre e abbracciato la fede? Scoperto che non era il padre biologico, nella speranza di ricostruire un passato, fin troppo ricco di misteri e di ombre, Alba intervista Ivana, lo zio Andrea e la nonna Rosa Pauli.
Sin dalle prime battute, appare chiaro che lvana, un tempo bellissima, è affetta da qualche problematica psichiatrica. In cura, dal 2017 presso un Dipartimento di Salute Mentale, è affetta da schizofrenia.
Un doc che rievoca la setta de I bambini di Dio
Prendendo spunto dalle lettere, gelosamente custodite, Alba chiede a Ivana della setta I bambini di Dio, fondata da Moses David, della quale faceva parte anche nonna Rosa.
I componenti della setta, che si facevano chiamare missionari, in un clima di assoluta promiscuità, praticavano l’amore libero. Le donne, viaggiando in autostop, tra la Grecia e i Balcani, dovevano adescare gli uomini, offrire loro il proprio corpo, in nome di Dio, e creare così dei proseliti.
Rosa aveva portato con sé i figli. Ivana, nata da una relazione con Massad, un iraniano pilota d’aereo, al tempo, aveva solo tredici anni. Rosa li aveva poi abbandonati ed era andata a vivere a Positano e Ivana e Andrea si erano, poi, trasferiti in Thailandia.
Nel rievocare quegli anni, emerge chiaramente lo spaesamento e lo smarrimento di Ivana, una donna emotivamente provata da un’esperienza certamente traumatica che, rimuovendo i guasti emotivi che le hanno provocato, la rilegge, difensivamente, in maniera quasi favolistica.
Lo zio, più imploso, non cela, invece, il rancore nei confronti di una madre che, di fatto, non si è presa cura di loro e li ha esposti a delle esperienze di vita emotivamente rischiose e discutibili.
Rosa, pur ammettendo le sue responsabilità, difende in qualche modo la sua scelta, frutta del sentire e dei venti del tempo. Al di là dei racconti in sé, venati tutti da una profonda tristezza, colpisce il garbo con cui Alba si dispone nei loro confronti.
Alba non critica la scelta della nonna, una donna che non ha mai conosciuto il padre, disperso in guerra, e non accusa la madre di averle celato l’identità di un padre che non ha mai conosciuto. Calda e affettuosa nei loro confronti, chiude il doc con queste struggenti riflessioni.
“È strano come un’assenza possa essere una presenza costante. Non ho trovato mio padre ma ho trovato il riflesso di me stessa in questo viaggio.”
Magnetica la colonna sonora. Un unico neo: un taglio in fase di montaggio avrebbe reso più fluida e accorata la fruizione del doc.