J-inside Jack the Ripper’s mind è un cortometraggio horror d’animazione realizzato da Sam Di Vito, distribuito da Tersite Film e presentato in concorso al Soundscreen Film Festival 2025. Un’opera breve durata, di appena cinque minuti, ma capace di sprigionare una potenza devastante, condensata in immagini e suggestioni che restano impresse ben oltre la visione.
Ma perché questo concentrato di intensità funziona così bene?
J-inside Jack the Ripper’s mind: nella mente dell’assassino
Il cortometraggio si apre con una soggettiva. Il protagonista, sottoposto all’ipnosi da parte di uno psicoanalista, scivola lentamente nel sonno e viene inghiottito dal proprio inconscio. Da qui prende forma un viaggio visivo dentro sogni torbidi, ossessivi e maniacali: i sogni di un assassino.
Forme
Quel che colpisce subito è il formato quadrato 1:1. Una scelta inusuale, ma funzionale a concentrare l’azione e lo sguardo in uno spazio ridotto e claustrofobico. Il tratto grafico è immediatamente riconoscibile: linee spezzate e pennellate convulse delineano un’estetica quasi schizofrenica. Persino le palpebre in soggettiva di Jack lo Squartatore appaiono appuntite, simili a denti pronti a serrarsi.
La rotoscopia applicata ai pochi personaggi principali non è fluida, ma pulsante, come se mancassero fotogrammi, contribuendo a un senso di inquietudine visiva. Sono proprio questi segni forti e nervosi, quasi compulsivi, a definire lo stile del corto. Un espediente che media la rappresentazione dell’omicidio di una prostituta sul ciglio della strada restituendo la psicologia distorta del protagonista e le sue sensazioni.
Caos e ordine
Nel caos, tuttavia, c’è precisione. La scelta stilistica è netta. Il corto si sviluppa su due livelli di narrazione distinti. Il primo è quello della realtà, in cui le figure appaiono più leggibili, definite da un tratto leggermente più chiaro e dall’uso esclusivo del bianco e nero. Il secondo è quello della mente del killer, dove le linee diventano più violente e caotiche, e il rosso si intreccia al nero come colore dominante, segnando la differenza estetica e concettuale tra i due mondi.
Non viene mostrato nulla di esplicitamente cruento o splatter; eppure, l’alternanza di rosso e nero, insieme a frame pulsanti e instabili, trasmette un disagio viscerale che scaturisce direttamente dal linguaggio visivo, prima ancora che dal racconto.
Graffi, strappi e tagli ed una più generale estetica grunge, a tratti espressionista, si fondono con suoni secchi e impattanti, volutamente sporchi e di bassa qualità, quasi lo-fi. È proprio questa combinazione, tanto semplice quanto radicale, a generare nello spettatore uno stato di sconforto diffuso, che permane anche dopo la visione.
Concetto spaziale
Nel cinema slasher è quasi sempre l’arte della violenza a colpire lo spettatore. Qui accade l’opposto: è la violenza inscritta nell’arte, nell’esposizione e nello stile. Ed è proprio in questo che si distingue il corto di Sam Di Vito.
Il termine slasher trova qui una declinazione quasi letterale. Le linee che si spezzano, i graffi e i tagli sull’immagine forniscono al corto un’identità ben definita e sembrano trasformare lo schermo in una tela lacerata, vicina ai gesti di un Lucio Fontana o alle opere di Alberto Burri. Non c’è compiacimento nello spargimento di sangue, ma una riflessione visiva che si fa linguaggio disturbante e immediato.
J-inside Jack the Ripper’s mind è così un esperimento radicale, breve ma incisivo, che ridefinisce l’horror animato come esperienza sensoriale estrema.