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Approfondimenti

‘Umido’ di Dudy Steel, l’hard che trasuda sconcezza

Fulgido esempio della povertà produttiva e la ripetitività narrativa del porno italico. Ugualmente dimostrazione dello stile tanto arty quanto trash di Arduino Sacco

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Titoli di testa di Umido

Umido (1989) di Dudy Steel, raccattato tra l’abbondantissima – e non ancora del tutto censita – produzione del periodo, è un fulgido esempio di com’era ancora scadente l’hard italiano del secondo lustro degli anni Ottanta. Un film ovviamente obliabile, che tuttavia consente una comoda disamina su quattro aspetti del porno nostrano:

  • L’infimo livello qualitativo che persisteva nell’hard italiano;
  • Il regista Dudy Steel;
  • Le attrici… e gli attori;
  • Diva futura e Riccardo Schicchi.

Pellicola finita rapidamente nell’oblio, e divenuta irreperibile per lunghissimo tempo, Umido ha avuto una “seconda chance” nel momento in cui qualcuno ha benevolmente caricato suddetto film sul web, rendendolo fruibile. Ma la plausibile epifania di molti curiosi nel poter accedere a questo sperduto reperto archeologico si esaurisce rapidamente dopo un’unica visione. Il tempo trascorso non ha elargito nessun tipo di rivalutazione. Umido, oltre ad essere un prodotto qualitativamente scadente, è un noioso porno che ficca una serie di copule per nulla eccitanti. L’unica tenue attrattiva sono i pedissequi pistolotti incentrati sul Potere e l’Aids, tema molto sentito all’epoca.

Ma perché s’intitola Umido? Non si hanno ragguagli a tal proposito. Il titolo non ha nulla a che fare con la trama (sic!), ma sicuramente è un palese rimando sporcaccione all’umidificazione dell’organo femminile.

Umido: pornografia trasandata usa e getta

Il film è strutturato in tre episodi, uniti da una cornice in cui tre ragazze (raffigurazione casereccia delle Erinni? Delle 3 Grazie?) giocano all’aria aperta con un mappamondo gonfiabile su cui sono disegnati rozzi organi maschili e femminili. Il primo episodio si svolge in un’osteria; il secondo nella sala di un centro di recupero per tossicodipendenti; il terzo all’inferno. Questa varietà di luoghi non deve far pensare a una produzione di qualche spessore, perché eccetto la cornice, probabilmente girata velocemente – o furtivamente – in un uliveto di campagna, gli altri ambienti sono interni rabberciati alla meglio.

Dopotutto l’ombrosa osteria è ricreata allestendo alcuni tavoli con le immancabili tovaglie a scacchi, delle piccole botti e un ricco cesto di frutta (con l’immancabile grossa banana ispiratrice di battute). Il centro di recupero consiste in un asfissiante e sovrappopolato salottino su cui campeggiano cartelli ammonitori contro l’Aids scritti su cartone riciclato. L’inferno, forse un miserrimo rimando all’irriverenza iconografica de I racconti di Canterbury (1972) di Pier Paolo Pasolini, tramite una scenografia di cartapesta, non dissimile da quella utilizzata per i presepi casalinghi.

E dentro questi disgraziati allestimenti si svolge il monotono hard. In un’ora e una manciata di minuti il sesso abbonda, con gli attori protagonisti e le comparse che ci danno dentro, ma il tutto alla lunga tedia, poiché eseguito meccanicamente con le usuali posizioni e “perversioni” per soddisfare appieno la libidine degli spettatori scopofili. Desta più interesse la stravagante performance accessoria di Marcovic Stalinski come silente pittore bohémien che finge di dipingere, nel secondo episodio; oppure Vampirella che canta – stonatamente doppiata – usando un grosso fallo di gomma, nel terzo episodio. Una grottesca scena che anticipa quella ben più bizzarra – e riuscita –di Giovanni Alamia in Le buttane (1994) di Aurelio Grimaldi.

Medesima valutazione per quanto concerne il doppiaggio, prassi comune nell’hard, con usuali gemiti aulici, voci goffe e dialoghi ridicoli. E nel caso di Umido gli ultimi due fattori sono amplificati: voci sguaiate – con un doppiatore che presta la voce a più personaggi – e dialoghi deliranti, in particolare le altisonanti prediche sull’Aids o la tirata sul Potere. E, ulteriore piccolo particolare che rende evidente la povertà di Umido, la carenza di un adeguato parterre di attori maschili, tanto che nel secondo episodio, sebbene non compaia tra i personaggi della storia, Robert Pips è riutilizzato per rinforzare l’orgia. Come lo si riconosce? Il suo nodoso e vigoroso membro è inconfondibile.

Dudy Steel, alias Arduino Sacco

Arduino Sacco dalla seconda metà degli anni Novanta ha abbandonato il porno, fondando l’Arduino Sacco editore, piccola casa editrice indipendente. Sacco non ama parlare di quel passato, lo ha definitivamente archiviato. Classe 1950, è stato un prolifico regista, firmando porno altresì con i nickname Dudy Still, Hard Sacc e Ondy Steel. Sebbene la sua filmografia sia stracolma di hard maldestri, Sacco è stato un autore fondamentale del porno italiano, riconoscibile per quella sua cifra stilistica “arty” e i dialoghi tronfi. A lui si devono alcuni imperituri “classici”: lo zoofilo Marina e la sua bestia (1984) con Marina Lotar; il sordido Non stop sempre buio in sala (1985) con Paola Senatore (ormai schiava della droga); il meta-cinematografico Marina e il suo cinema (1986); l’abborracciato La bottega del piacere (1988) con Cicciolina, Moana e Marina; l’esistenziale (o assistenziale) Affamata (1990).

Il peculiare stile di Arduino Sacco consiste in riprese fatte prevalentemente con la macchina a spalla, un montaggio dimenato, musiche martellanti e monotone e i già menzionati dialoghi stentorei. Puro trash, eppure, ripassando la sua filmografia, sorge il dubbio che quella sciatteria spinta e quei farneticanti dialoghi fossero voluti. Che Sacco, quindi, sia stato un sabotatore del genere. Una sua maniera per farsi beffa tanto del porno, laido genere di consumo, quanto del pubblico, che si ecciterebbe anche vedendo una donna dimenare un cavallo in uno scenario squallido.

Le attrici… gli attori

A fine anni Ottanta Marina Lotar stava artisticamente esalando gli ultimi gemiti. Sia per l’età avanzata e sia perché ormai era stata scavalcata dal divistico e mediatico duo Cicciolina e Moana. Ma per alimentare l’industria hard, creare nuovo divismo e continuare a far godere gli spettatori, era necessario immettere nel porno sempre nuove attrici. Un flusso continuo, ma spesso queste attrici erano delle meteore. Belle, procaci, a volte anche abili nelle scene, però prive di quel carisma pornogenico come le tre star summenzionate, o come le future superstar Selen, Eva Henger o la Venere Bianca.

Una delle funzioni di Umido era finanche quella di lanciare tre fresche scoperte di Riccardo Schicchi. Ramba 2, alias Florence Farkas, era il nome di punta, ma la sua carriera è stata fulminea. Il nickname – con annesso numero 2 – era per cercare di solcare il funzionale successo di Ramba (aka Ileana Carisio), che però si dedicava soltanto al soft. Come la numero 1, anche la 2 aveva un look da guerrigliera, però senza il medesimo sex – hard – appeal.

Ugualmente Vampirella è durata soltanto una manciata di anni, restando sempre in seconda o terza linea. Il nome fumettistico e le procaci forme non sono stati sufficienti a trasformarla in diva. L’unica che è riuscita a – quasi – imporsi è stata Eva Orlosky (nei titoli è accreditata così, ma in realtà il corretto nom de plume è Orlowsky), alias Luisa Lidia Ada Cavinato, genovese con una carriera che si è svolta nell’arco di un quinquennio. Il nickname, ideato da Schicchi, è un furbesco rimando – parentale – alla mitica pornostar polacca Teresa Orlowski. La Orlowsky aveva un look che univa la fisicità aerobica con un aspetto hippie (collanina o fascia elastica a cingergli la testa). Fascinosa, arrapante, partecipe nelle scene, però anch’essa in parte mancante di quel famoso e necessario hard-appeal utile a raggiungere lo status delle altre superstar.

Sul versante attori non va meglio. C’è Giuliano Rosati, proto Rocco Siffredi della prima metà anni Ottanta, ormai bolso e con baffetti da zio. Fa un paio di scene porno, ma nell’azione copulante pare affaticato, oltre ad essere inquadrato sempre di sfuggita. Nel secondo episodio non si toglie mai il maglione verde, probabilmente per nascondere il fisico ormai appesantito.

Il vero mattatore della pellicola è Robert Pips, alias Roberto Pipino. Molto più noto con il soprannome Roberto Malone, è assieme a Siffredi il vero torello del porno italiano. Con pancione e abbondante pelo, Pipino, a dispetto di un cognome avvilente per qualsiasi uomo, possiede un vistoso attributo. E come Siffredi non si è mai vergognato della propria professione scopereccia, andando anche al Maurizio Costanzo Show e scherzandoci su.

Differente il caso di Massimo Lotti, che sebbene partecipi attivamente e indefessamente, non è accreditato. Anzi, nei due episodi in cui partecipa, si cela dietro vistosi occhiali da sole. Anche lui ottimo a livello di obice e con un fisico atletico simile a quello di Siffredi, ha avuto una carriera abbastanza sostanziosa ma sostanzialmente opaca, da seconda linea. A questi performer si affianca una vera presenza trash: il “freak” Patrick Le Nain, un tappetto con baffetti, apparso in qualche altro film. Nel primo episodio, doppiato con una voce buffa, partecipa attivamente e con gaudio. Nel terzo episodio, invece, è promosso a protagonista, vestendo i panni di un giudice infernale bacchettone, che poi cede alla lussuria (gli viene praticata una fellatio).

Diva Futura e Riccardo Schicchi

Diva futura è stata fondamentale per l’evoluzione dell’industria hard italiana. Agenzia di scouting creata nel 1983 da Riccardo Schicchi (1953-2012), aveva la funzione di trovare, testare e lanciare nuove pornoattrici (e pornoattori). Come nel cinema mainstream, anche nel porno era basilare creare il divismo, che non si esaurisse nelle scene porno, ma si propagasse sulla carta stampata, negli eventi con il pubblico (spogliarelli e/o festival) e nei feticci (ad esempio nell’episodio dell’inferno, sul bancone del giudice appare una testa caricaturale di Cicciolina).

E soprattutto stipulare dei contratti, in stile Star System hollywoodiano. Da Cicciolina a Eva Henger, passando per Moana ed Eva Orlosky, fu Schicchi il pigmalione che le scoprì… in tutti i sensi. L’unico attore maschio – vincente – che fece parte della scuderia fu Rocco Siffredi. Certo, andando a soppesare quante dive Schicchi ha realmente scoperto negli anni, si può costatare che sostanzialmente furono poche. Ma anche le starlet di effimera durata hanno contribuito a creare il mitico immaginario del porno nostrano che a tutt’oggi perdura.

Ma che cosa c’entra Diva futura con Umido? Innanzi tutto il tris di attrici, tutte provenienti dalla scuderia di Schicchi, ma soprattutto il tema dell’Aids, cui Schicchi teneva assai e lo piazzava in diversi porno, anche se in maniera molto retorica e quasi catechizzante. Probabilmente una strenua battaglia scaturita dal suo pericoloso errore di non aver rivelato a Cicciolina e alle altre attrici che John Holmes, assoldato per un paio di porno in Italia, era sieropositivo (sarebbe morto da lì a qualche mese). Rischioso perché le scene erano tutte girate senza preservativo e i controlli sanitari nel settore erano ancora molto carenti.

Umido

  • Anno: 1989
  • Durata: 61 minuti
  • Genere: Hard Core
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Dudy Steel