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Festival del cinema di Porretta Terme

‘Una cosa vicina’: un puzzle documentario dalle Giornate degli Autori al Festival del Cinema di Porretta Terme

'Una cosa vicina' di Loris G. Nese frammenta l'esperienza visiva di pari passo con la non-narrativa del documentario, e lo fa con una fantastica padronanza del mezzo.

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Una cosa vicina

Una delle funzioni primarie dell’arte è, sin dai primordi, quella di permettere agli artisti e a chi guarda di trovare un senso, un briciolo di significato al mondo. Il cinema, grazie alla sua connessione con il reale, si è dimostrato perfetto nell’espletare questa funzione. Questo vale ancora di più quando la ricerca del significato si lega a un trauma vissuto o subito. E il documentario che, quando non prettamente “naturalistico”, è sempre opera narrativa, ha sviluppato forse più di tutti i generi la capacità di esorcizzare e di elaborare l’esperienza traumatica. Una cosa vicina di Loris G. Nese, presentato alla 22°esima edizione delle Giornate degli Autori della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e in arrivo oggi a Porretta è tutto questo, ma anche molto altro.

Una cosa vicina la trama

Negli anni Novanta, un bambino cresce circondato da profondi segreti. Gli uomini della sua famiglia, compreso il padre, muoiono troppo giovani, ma lui non è ancora in grado di capire il perché. Quando scopre che il suo cognome pesa come un marchio in città, ha l’impressione di rivedere la propria vita nei film gangster e horror che ama, specchio della violenza che gli ha cambiato la vita. È proprio attraverso il cinema che, ormai adulto, comincia a interrogarsi sul passato, a ricostruire la propria identità. E trasformare la sua storia in un film diventa l’unico modo per affrontare un’eredità ingombrante, e colmare un vuoto che lo accompagna da sempre.

Una cosa vicina…?

Il quesito non si riferisce ovviamente a ciò che il regista salernitano esterna all’interno del film, ma è la domanda che l’opera ci pone: quante delle esperienze che non viviamo direttamente, ma che nonostante ciò ci investono, sono realmente vicine a noi? Una cosa vicina è anti-narrativo dalle radici, e lo stesso Nese lo esplicita nell’incipit. Durante tutta l’opera, che è ricostruzione frammentaria di una vicenda lontana, non abbiamo mai risposte perché non è possibile averne, semplicemente.

Possiamo porci domande, quelle stesse domande che il regista si pone da quando ha coscienza del suo vissuto che in realtà non è neanche suo, ma della sua famiglia. Filmare diventa allora l’unico modo per appropriarsi di qualcosa che non si possiede realmente, ma solo di riflesso. La videocamera che ci mostra i video amatoriali di un giovane Nese e dei suoi amici diviene il filtro necessario per avvicinare un passato che sfugge nonostante i tentativi di attirarlo a sé. L’evoluzione di quei video non poteva che essere un lungometraggio che continua a esplorare ma che non può completare un puzzle destinato a rimanere incompleto. E, forse, è giusto così.

Mescolato, non agitato

Gli amanti della spia più famosa del cinema mi perdoneranno, ma inverto i termini della mitologica battuta di James Bond che, a mio avviso, rispecchiano perfettamente l’opera di Nese. Una cosa vicina è proprio così, mescolato, non agitato. Nei suoi 90 minuti di durata il regista mescola l’animazione, il disegno, lo stop-motion, addirittura il videogioco per creare un’esperienza visiva che proprio come la non-narrazione è fortemente frammentata. Questo denota un grande controllo tecnico ma anche una consapevolezza importante nell’uso del mezzo cinematografico, sia da parte del regista che della sua stretta collaboratrice Chiara Marotta, che firma il montaggio dell’opera.

Il “non agitato” risponde in modo parziale alla domanda principale: Nese rimane calmo davanti al passato tumultuoso e a tratti misterioso della propria famiglia. Non cerca di scavare ossessivamente nel passato, ma si accontenta e si fida di ciò che gli viene raccontato, anche quando la risposta alle sue domande è palesemente incompleta. E forse è proprio questa la grande forza di Una cosa vicina: il mescolarsi vorticoso ma sempre preciso delle tecniche cinematografiche che si contrappone alla calma di un uomo consapevole. Un uomo che ha trovato nella forma d’arte cinematografica non solo un modo di accesso al trauma, ma anche e soprattutto un modo di conciliarsi col trauma stesso, vivendo la sua vita attraverso l’occhio della macchina da presa.