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Visioni dal mondo

‘L’ultimo cabaret’ La recensione

Un doc che omaggia una forma d'arte nata a Parigi nel 1881 che coniuga monologhi, canzoni e poesia. Visto a Visioni dal Mondo

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I titoli, a volte, ingannano, o sono alquanto imprecisi.  E’ il caso del doc di Eugenio Rigacci. L’ultimo cabaret, dal sottotitolo: “Locali, cantine e altri posti meravigliosi”, al quale, per l’esattezza, il regista fiorentino avrebbe dovuto aggiungere: “della città di Milano”.

Si potrebbe obiettare che la sua ricostruzione storica parta da lontano, addirittura dal Parigi 1881, quando Rodolf Salis, in piena Bella Epoque, diede vita a Montmarte al “Cabaret Lo Chat noir”.

Con L’ultimo cabaret, Rigacci omaggia a una forma d’arte poetica, ribelle, provocatoria e irriverente.

Quel luogo divenne, in breve tempo, ritrovo di poeti e scapestrati, intellettuali e musicisti, come Eric Satie e Claude Debussy. Autodefinitisi, simpaticamente “idropatici”, cioè, allergici all’acqua, i frequentatori esaltavano l’alcol e avevano una sola regola: “vivere senza regole”. Il loro scopo? Trasformare la poesia in divertimento e combinare insieme umorismo, estetica e poesia.

Rigacci ricorda che il cabaret prese, poi, piede in tutta Europa e, giunse in Italia, nel 1921, grazie ai Futuristi, un gruppo di poeti e intellettuali che si erano dichiarati contro il Cafè concerto, il Tabarin e la rivista.

Dopo aver citato Ettore Petrolini, il Teatro dei Gobbi con Franca Valeri, Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli, il regista fiorentino sbarca a Milano e lascia intendere che nel capoluogo lombardo, di fatto, sia nato e sviluppato questa forma d’arte.

Una ricostruzione alquanto lacunare, troppo Milano-centrica, che non tiene conto di altre realtà presenti nello Stivale.

Su tutte, basti pensare all’esperienza de La Smorfia, di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro che, per anni, si sono esibiti nelle cantine di San Giorgio a Cremano o al Teatro San Carluccio di Napoli. Stesso discorso per Il Bagaglino e il Puffo di Roma dove si sono esibiti artisti come Lando Fiorini, Lino Banfi, Enrico Montesano, Gabriella Ferri, Giorgio Faletti,

Messa da parte l’opinabile scelta del regista, tanti i nomi degli artisti che si sono esibiti al Derby di Milano, luogo nato originariamente come jazz club: Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Cochi e Renato, Lino Toffolo, Felice Andreasi e, successivamente Paolo Rossi, Claudio Bisio e Diego Abatantuono.

Il regista lascia che la voce off commenti le immagini e ricostruisca la storia di una forma d’arte, intesa, dai più, in maniera riduttiva, come comica, costituita da monologhi, accompagnata, spesso, da canzoni o accompagnamento musicale,

Un’espressione artistica che, come evoca l’etimo stesso, ha luogo per lo più in piccoli locali.

Rigacci sembra più attento a sottolineare i luoghi milanesi, dove gli artisti si esibivano, che non a lasciar spazio alle ragioni del successo di una formula di spettacolo che, ai giorni nostri, con l’avvento della televisione, non sembra più, come prima, attirare l’interesse del pubblico.

Più volte ricorda (nostalgicamente?) che il cabaret è sempre stato un luogo dove poter esprimere liberamente la propria arte, uno spazio di “comicità contro”, poetica, ribelle, provocatorio e irriverente.

Il doc è pregevole, stilisticamente molto curato, e arricchito dalle performance di Micro Band. Non mancano le chicche, come un filmato di repertorio nel quale compare il leggendario Lenny Bruce. Interviste a Paolo Rossi, Claudio Bisio, Ale e Franz, Enzo Iachetti e Luciana Littizzetto.

Il doc é presentato nell’ambito del Festival Internazionale del documentario Visioni dal mondo

L'ultimo cabaret

  • Anno: 2025
  • Durata: 59'
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Eugenio Rigacci