Il cortometraggio Dietro la rezza di Arianna Cavallo, presentato al Maremetraggio – International ShorTS Film Festival, racconta tre fasi della vita di una donna e il suo legame con un oggetto tipico della tradizione: la rezza, quella rete che si appende alle finestre per schermarsi dal sole e dagli sguardi.
Rezza, rezza delle mie brame
Siamo in Puglia (terra di origine della regista, se pur bergamasca di nascita), a San Vito dei Normanni, metà anni ’50. Il sole è accecante, le strade trasudano calore.
La “rezza” (da rètia in latino, rete), ancora oggi è largamente utilizzata nell’Alto Salento, in particolare nei centri storici e nelle campagne, nei trulli e nelle masserie. Spesso è anche una innovativa galleria d’arte a cielo aperto: grazie a giovani artisti artigiani, in molti luoghi, oggi, la rezza rivive e diventa un’opera d’arte unica. La sistemano davanti all’ingresso delle case per proteggere dal sole e dalle intemperie. Ma ripara anche l’ingresso delle casa dagli sguardi dei passanti, permettendo comunque il passaggio dell’aria e lasciando la possibilità anche di guardare fuori. Di “sbirciare”.
La tradizione alto salentina usa l’espressione “Vecchia cretu la rezza” (donna anziana dietro la rezza), per esprimere la volontà di vedere nel vicolo, o spesso curiosare se non spiare, senza essere visti. Un’ombra dietro le quinte.
La rezza è un potente simbolo: copertura, nascondiglio, rifugio, protezione, ma anche reclusione e divieto, se nasci donna, in certe realtà.
Cenzina
Le signore anziane si nascondono dietro le listarelle di legno e così nascondono i loro desideri, le loro ambizioni, la loro curiosità verso un mondo che sta cambiando. La rezza non facilita certo il passaggio tra il dentro e il fuori. Non passano l’aria, i sogni, i desideri, i sospiri ed i pensieri, e questo Cenzina lo sa bene.
Mentre gioca a nascondino con le sue cuginette, si rifugia dietro la sua implacabile tenda, come suo solito: i suoi sono occhi che spiano, da sempre. La vita resta sempre uguale.
Nulla cambia nemmeno quando, esitante, sfiora le dita dell’innamorato, sempre attraverso quelle listarelle fitte fitte che proteggono ma che dividono, con una sensualità pacata e repressa che intenerisce. Arriverà un giorno, però, in cui a Cenzina non basterà più stare nascosta a guardare.
Un intreccio elegante, aggraziato e poetico di biografismo e simbolismo, una metafora dell’identità, del filtro con cui osserviamo e veniamo osservati, ma anche del confine tra interno e mondo esterno.