Più di cento anni fa, il regista e teorico Lev Vladimirovič Kulešov condusse degli esperimenti che riguardavano il montaggio cinematografico. Accostando al volto di Ivan Mozžuchin, ritratto con un’espressione neutrale, tre diverse inquadrature (un piatto di zuppa, un cadavere e una bambina che gioca), il viso di Mozžuchin sembrava esprimere emozioni differenti (appetito, tristezza, gioia). Ciò che deriva dall’esperimento, quindi, è l’estrema importanza del montaggio cinematografico, ritenuto l’essenza vera e propria del cinema.
In particolare, secondo Pudovkin, l’effetto Kulešov servirebbe per spiegare come l’accostamento di due immagini produca un significato astratto, più alto, altro rispetto al senso proprio delle due. Ed è proprio questo principio, su cui si baserà anche il montaggio ėjzenštejniano delle attrazioni, che sta alla base di Desire, realizzato dal regista Giuseppe Boccassini.
Il cortometraggio, infatti, ingloba diverse scene tratte dal genere del melodramma – quindi senza alcuna diretta correlazione tra loro – e monta tra loro diversi momenti di film che vanno dal 1932 al 1958, appartenenti a diversi Paesi (Stati Uniti, Argentina, Gran Bretagna, Finlandia, Italia, Giappone, Messico e Spagna). Ciò che deriva dall’accostamento di inquadrature diverse è la produzione di significati altri che, quasi fossero un mistero, stimolano lo spettatore a decifrare ciò a cui assiste sullo schermo, portandolo a riflettere sulle capacità del medium cinematografico e la società in cui viviamo.
Il cortometraggio è parte della sezione Pesaro Nuovo Cinema della 61esima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema.
L’occhio
Uno degli elementi ricorrenti in Desire è lo sguardo. Gli occhi, infatti, si manifestano in maniera quasi ossessiva lungo tutto il corso del cortometraggio.
In primo luogo, l’occhio suggerisce la necessità di osservare, di prestare reale attenzione alla realtà circostante. La società contemporanea, circondata da sempre più stimoli visivi, ha tuttavia disimparato a osservare. L’occhio umano, quindi, necessita di essere rieducato alla cultura visuale e il cinema appare come uno strumento in grado di perseguire l’obiettivo. Attraverso l’occhio della cinepresa, esso, infatti, è in grado di dare rilevanza e a esaltare dettagli spesso impercettibili a occhio nudo. Ad acquisire un nuovo significato sullo schermo non è solo, quindi, il corpo umano (consideriamo, ad esempio, la potenza emotiva del primo piano), ma anche la natura e gli oggetti che lo circondano.
Desire, poi, richiama l’atto del guardare, riflettendo così sul ruolo di voyeur dello spettatore cinematografico. In particolare, il cinema permette di appagare il piacere scopofilo dello spettatore maschile, che investe eroticamente ciò che vede sullo schermo, in particolare i personaggi femminili. In un mondo ancora fortemente patriarcale, il corpo della donna si riduce, quindi, a semplice oggetto dello sguardo maschile.
Infine, l’insistenza sull’occhio (nel film quasi sempre quello femminile) può essere anche letta come la necessità di comprendere la propria condizione. La donna, che inizialmente possiede una vista offuscata sul suo status (o sceglie volontariamente di non vedere), lentamente acquista consapevolezza riguardo al ruolo subordinato che possiede all’interno della società. Va detto che questa presa di coscienza non è priva di sgomento; svegliandola da un lungo sonno sembra, piuttosto, sconvolgerla a causa della terribile verità scoperta.
Il tempo
Did you ever think about time? It goes, Alec. That’s the business of time. Tick, tick, tick. You can almost hear it go by. Before you know it, it’s gone.
Il tempo è un altro dei protagonisti all’interno di Desire. Molti sono i dialoghi che riguardano il flusso temporale, così come in numerose occasioni osserviamo orologi o ascoltiamo i loro ticchettii. Sono scene che generano una forte inquietudine, in quanto rivelano una delle angosce primordiali dell’uomo: l’ansia del tempo che scorre e che, inesorabilmente, conduce verso la morte. Questi elementi, uniti al ritmo serrato del montaggio, evocano i ritmi frenetici del mondo che viviamo. Proiettato in un futuro che disperatamente cerca di rincorrere, l’uomo contemporaneo non è più in grado di vivere nel presente e di godere a pieno dei momenti in cui vive.
Oltre a riflettere sulla società attuale, Desire permette anche di ragionare sul tempo cinematografico. Innanzitutto, così come afferma André Bazin in Ontologia dell’immagine fotografica (1945), il cinema si rivela essere il medium che meglio soddisfa il bisogno di preservare l’uomo e il mondo che lo circonda dall’ineluttabilità del tempo. Riproducendo il reale, infatti, il cinema sarebbe in grado di “salvare l’essere mediante l’apparenza”, contrastando così la morte.
Il cinema è, poi, in grado di alterare il corso del tempo così come lo percepiamo, dilatandolo o restringendolo a piacere. L’ordine temporale degli eventi può essere stravolto e le azioni rallentate o accelerate, enfatizzando particolari momenti. È così che, allora, alcuni movimenti che si ripetono in loop o scorrono all’indietro permettono di insistere su alcuni elementi all’interno dell’inquadratura, che conferiscono alle scene un significato nuovo.
Il fuoco
Nelle sue apparizioni, il fuoco viene associato alla donna e si manifesta in più occasioni all’interno di Desire. Oltre ad essere ricollegato a un potere distruttivo, il fuoco possiede numerosi significati simbolici. Per gli antichi greci, ad esempio, esso possedeva sia una forza distruttiva, sia una potenzialità creativa; secondo le antiche tradizioni, invece, il fuoco era ritenuto sinonimo di purificazione, energia, passione e grinta. Infine, è curioso sottolineare come fosse anche associato al genere maschile.
La ricorrenza di questo elemento, quindi, suggerisce un’intima presa di coscienza delle donne presenti nel film riguardo alla necessità di liberarsi dalle rigide imposizioni della società patriarcale in cui vivono e di prendere in mano la propria vita.
Protagoniste femminili
Si può dire che le donne siano le vere protagoniste del cortometraggio. Infatti, sono numerose le figure femminili, soprattutto appartenenti al cinema classico. Desire non solo presenta i vari modelli femminili nel corso della storia del cinema e la loro evoluzione ma, in qualche modo, pone l’accento sulla volontà di emancipazione delle donne, che tentano di trovare uno spazio proprio e una propria indipendenza all’interno di una società patriarcale.
Nelle scene spesso si presentano figure ribelli che, nonostante compaiano soltanto per pochi secondi nelle inquadrature, cercano disperatamente di opporsi, verbalmente o con piccoli gesti, ai valori tradizionali di impronta borghese, alle regole imposte dalla famiglia o dalla società. Tuttavia, la loro scelta di trasgressione non verrà vista positivamente da chi sta intorno, considerandole al pari di streghe o malate mentali («What does this costume mean, Mauricio?» «Madness»). I see a new world for me, afferma ad un certo punto una delle protagoniste. Ciononostante, lo sguardo disilluso, spesso assente e malinconico che hanno in comune le donne presenti nel cortometraggio ci fa domandare se questo nuovo mondo sia davvero possibile da raggiungere e in che modo esso possa essere conquistato.
Una fanciulla che tenta di nascondersi dietro al proprio ventaglio e afferma: «He’s watching» – quasi con la consapevolezza di essere oggetto dello sguardo maschile –, permette di affrontare un ulteriore tema che emerge dal cortometraggio: l’oggettificazione femminile. Ciò si ricollega alle considerazioni di Laura Mulvey in Visual Pleasure and Narrative Cinema che, con particolare riferimento al cinema classico, analizza il piacere scopofilo dello spettatore che abbiamo citato in precedenza. Lo spettatore maschile, infatti, è portato a investire eroticamente ciò che vede sullo schermo, in particolare il personaggio femminile. Consideriamo una scena del cortometraggio: in primo piano vediamo lo sguardo di una donna, visibilmente a disagio, che si alza e si abbassa sulla statua davanti a lei (nel tentativo di guardarla il meno possibile). La scultura è inquadrata mostrando unicamente due gambe femminili accavallate. Laddove uno spettatore maschile investirebbe eroticamente ciò che osserva sullo schermo, alla donna non rimane che provare imbarazzo e frustrazione verso la propria condizione di oggetto sessualizzato. Il momento immediatamente successivo, dove un’altra statua femminile viene distrutta a martellate, esprime con rabbia la forte esigenza di abolire la visione sessualizzata della donna.
Anche l’esclamazione Oh father!, che ritorna più volte durante la visione del film, si ricollega all’idea di una presenza massiccia della sfera maschile nella vita protagoniste; father, però, può essere anche inteso come Dio e, quindi, letta come un’invocazione del divino per cercare aiuto e conforto nel tentativo di riscattarsi dalla propria condizione.
Ci si domanda se un’ideale così rivoluzionario sia realmente possibile da realizzare. Fondare un mondo nuovo, che rompa le regole con il passato e che abbatta gli stereotipi di genere, appare sempre più illusorio. Agli occhi comuni questa appare, piuttosto, come una tentazione demoniaca (incarnata dal serpente) che necessita l’epurazione dei pensieri folli. Quasi fossero delle eretiche da risanare, non resta altro che condurle verso l’espiazione delle proprie colpe, verso la purificazione (dopo il suono delle campane, la corsa sotto la pioggia di una giovane sembra lavarne via i peccati), per riportarle sulla retta via. Il Velo di Maya viene tolto e la donna realizza la tragicità del suo destino. E allora ci accorgiamo che tutto ciò che sembrava possibile altro non era che un sogno utopico. Non resta altro che annullarsi, accettare passivamente la sorte («Consider that I no longer exist») e morire, oppure mantenere viva la fiamma della speranza, in vista di un futuro migliore.