In occasione del 3° Unarchive Found Footage Fest, abbiamo avuto la possibilità di parlare con Giacomo Ravesi, docente dell‘Università degli Studi Roma 3, nonché curatore della sezione “Animare gli Archivi” dello scorso Unarchive Found Footage Fest.
Ravesi, già selezionatore e curatore delle passate edizioni del festival, ha quest’anno avuto la possibiltà di gestire la curatela relativa a questa particolare sezione, che nasce dal desiderio di individuare una relazione significativa ed espressivamente produttiva fra cinema d’archivio e tecniche animate. L’evento ha previsto la divisione in due programmi: il primo dedicato alle immagini d’archivio che vengono liberamente dipinte; il secondo, invece, si è basato sulla pratica del collage attraverso opere che a partire dalla configurazione del collagefilm, impiegano, di volta in volta, sia le tecniche artigianali del cut-out, sia quelle computerizzate del compositing digitale.
Di seguito, ecco la piacevole chiacchierata con Giacomo Ravesi.

Immagine di prorietà dell’Unarchived Found Footage Film
In cosa consiste principalmente questa particolare sezione dell’evento? Come si è sposato con tutte le altre parti e com’è nata l’idea, insomma, di quest’anno?
L’idea mi era venuta un po’ di tempo fa, quando uscì Fairytale, film di Alexander Sokorov, uno dei più grandi maestri del cinema contemporaneo. Lui aveva tutto un trascorso dentro le forme di riuso d’archivio, tutta una fase dagli anni Ottanta e Novanta, che si chiamano le Elegie. Skorov ha fatto questo film utilizzando tecniche animate, riprendendo e scontornando delle figure storiche, i dittatori in particolar modo, e però le metteva in movimento attraverso, appunto, delle tecniche che sono quelle dell’animazione. Ecco, questo film mi sembrava emblematico proprio di tutto un rapporto che in parte non è stato mai indagato tra, appunto, animazione e studio d’archivio.
Un po’ perché sono due settori disciplinari un po’ diversi. Chi si occupa d’archivio generalmente ha fatto studi legati al documentario, al lavoro sulla memoria, eccetera. Chi invece si occupa di tecniche animate, non solo il disegno animato, ma anche il passo uno, il compositing, insomma, tutte le altre tecniche alternative, invece studia solo le traiettorie delle animazioni. Vedere questa cosa insieme è un qualcosa di mai fatto. Come ho cercato di fare in questa rassegna, invece, queste traiettorie possono creare una storia a partire dagli anni Trenta fino al Contemporaneo.

“Tante idee e due programmi per Animare gli Archivi”
Quindi, come si è evoluto e svolto il lavoro fatto da lei? Dall’idea alla pratica.
Avevo molte idee, poi mi sono concentrato soprattutto sull’ambito occidentale e ho estrapolato due temi che hanno costruito anche le due sezioni, perché erano due programmi di quest’anno: Animare gli archivi. Una era dedicata a coloro che, attraverso tecniche animate differenti, erano intervenuti su delle pellicole. Già negli anni Trenta si è iniziato a colorare, a dipingere, a tirare fuori dei colori dalle pellicole. Poi queste tecniche si sono trasformate, chiaramente, prima con l’elettronico e poi con il digitale, e da lì si è avuto un altro tipo di trasformazione degli archivi. Per esempio Vuk Ćosić, che utilizza il linguaggio informatico e traduce visivamente l’immagine. Forme di questo tipo, ecco. L’ho intitolato infatti “Pellicole dipinte”, perché comunque c’era questa trasformazione dalla pittura su pellicola alle pratiche digitali.

Mentre, invece, l’altro programma, e quindi l’altro grande elemento di questa relazione tra archivio e animazione, era dato da quello che io ho definito “Gli universi a collage”. Dal cut-out, che è una tecnica del ritaglio fotografico, fino al composite digitale. E anche qui, a partire, soprattutto, da alcune sperimentazioni degli anni 50, legate alle pratiche del New American Cinema, come Harry Smith, Stan Vanderbeek ho cercato di trovare una storia successiva, fino a chi arriva oggi, per esempio, a creare dei film reali. Anche unendo delle emulsioni di pellicole differenti, come Cécile Fontaine e oggi Federica Foglia, chi lavora sul passo uno, costruendo dei set e creando dei modellini in cui si possono muovere questi ritagli fotografici.
“Il materiale pornografico ha fatto un grande effetto sul pubblico”
Quindi, alla conclusione di questa doppia giornata di eventi, che si è andata a inserire nel grande mondo Unarchive, qual è stata la risposta del pubblico a questo progetto? Comunque c’erano tanti ospiti, si sono visitati tanti diversi luoghi spettacolari di Roma, il Cinema InTrastevere, l’Orto Botanico, ecc. Ci sono stati dei nuovi spunti, delle osservazioni?
Per quanto riguarda la risposta del pubblico, diciamo che è sempre difficile, perché comunque non sono cose molto semplici, però in effetti c’è stato molto pubblico. Alla prima c’era moltissima gente, anche persone inaspettate, che non pensavo. C’erano molti addetti ai lavori, però, quindi esperti, e anche artiste e artisti che sono venuti proprio a capire quali sono un po’ le genealogie di queste ricerche, alcune delle stesse che erano presenti in mostra, che volevano capire meglio quello che era stato raccontato prima di loro, in qualche modo.

Immagine di prorietà dell’Unarchived Found Footage Film
Sulle opere, io ho cercato di creare un contesto che includesse veramente dei grandi nomi dell’animazione, della videoarte, cercando questa contaminazione con il cinema sperimentale, perché spesso tutte queste cose sono studiate singolarmente. Peggy Ahwesh per esempio, che è una grande regista di cinema sperimentale, poi legata anche all’ambito dell’arte visiva e contemporanea. Quindi l’arte contemporanea, quella che sta nei musei, però poi magari non si conosce un’animatrice come Ursula Ferrara, che invece in Italia ha fatto tutto un percorso all’interno proprio di questa pittura su pellicola. C’erano queste contaminazioni.
Il pubblico, soprattutto nella prima giornata, l’ha vista anche come una parte di provocazione, perché comunque c’erano delle opere provocatorie. Per esempio, uno degli elementi ricorrenti nelle pellicole dipinte, è il lavoro su un materiale pornografico. Delocalizzandolo, destrutturandolo, ma questo ha fatto ancora un grande effetto. Alcuni mi hanno detto che il lavoro sul materiale sembrava una cosa molto forte, soprattutto per la tematica, però chiaramente l’intento era completamente diverso.

Una in particolar modo, The Color of Love, nasce dentro un’idea femminista, che utilizza la pellicola pornografica proprio in senso di protesta. Mentre invece, ho visto che “Universi a collage” ha avuto un successo che era più facilmente comprensibile, più divertente, perché poi non sono propriamente iperintellettuali queste opere, sono molto ludiche, e questo aveva trovato più consenso. Però comunque penso di essere molto soddisfatto. Questa rassegna ha visto anche un panel con degli studiosi e delle studiose, con gli artisti che sono intervenuti, degli animatori. Si è parlato anche del rapporto con le intelligenze artificiali, perché queste imparano documentandosi, leggendo le immagini d’archivio, e poi spesso le ricompongono attraverso le tecniche animate, anche se è stato difficile da cogliere.
“L’archivio è inerme se non ci poniamo il nostro sguardo”
A questo punto concentriamoci direttamente sull’archivio. Che importanza hanno gli archivi e quale sarà la loro evoluzione? Cosa c’è nel futuro degli archivi?
A questo è troppo difficile rispondere, anche per me. Non lo so, fino a un po’ di tempo fa gli archivi sarebbero stati qualcosa dove veniva conservato il passato, da musificare, insomma, una cosa del genere. L’archivio invece io lo vedo, come diceva Cesare Zavattini, come un archivio del presente, dove noi possiamo utilizzare quel materiale che sarebbe inerto, inerme se non ci poniamo il nostro sguardo, cioè siamo noi a poter interpretare.

Immagine di proprietà dell’Unarchive Found Footage Fest
Addirittura ci sono artiste, per esempio Louise Bourque oppure Federica Foglia, che prendono le immagini di altri e ne fanno degli autoritratti. Questo per me è il processo che ci dice che il futuro sarà degli archivi. Gli archivi saranno il futuro, ma perché noi siamo il futuro. E questo sarebbe una delle cose che sarebbe più importante ricordare.
Bene, visto che abbiamo parlato di futuro, rimaniamo sul futuro con l’ultima domanda. Che cosa ci dobbiamo aspettare per il prossimo Unarchived? Ha già qualche idea?
Sì, per quanto riguarda solo le mie curatele, perché noi abbiamo un sacco di cose in cantiere. Io ho ancora due progetti che volevo realizzare, però non so quali saranno. Riguardo al primo, siccome anche in questa edizione mi sono confrontato con curatori internazionali, mi sono reso conto che una curatela sul found footage italiano, sulla sua storia, non è mai stata fatta, si potrebbe lavorare su quello. Alcuni nomi sono arrivati all’estero, hanno avuti grandissimi riconoscimenti, ma una storia ben strutturata non è stata fatta.

Immagine di prorietà dell’Unarchived Found Footage Fest
Mi sono confrontato soprattutto con i responsabili de La Cinémathèque québécoise, e stavo seriamente pensando a un programma di questo tipo sul found footage film italiano. È una cosa su cui ho già lavorato per una pubblicazione e poi per una mostra che è stata fatta. Io curavo proprio la sezione “Sepolti nella Luce“. L’evento si chiamava Lo Sguardo Espanso, Cinema d’artista italiano 1912-2012, che si è tenuto tra novembre 2012 e marzo 2013 a Catanzaro e curato da Bruno Di Marino, Marco Meneguzzo, Andrea La Porta. Forse ripartirei da lì ecco.
Infine, un’altra cosa che mi piacerebbe molto fare, sarebbe lavorare su come la videomusica ha usato gli archivi. Un’idea sul legame che c’è tra l’animazione e gli archivi, il videomusicale e gli archivi, per capire come loro li hanno risemantizzati. E non è un caso che infatti c’era un videomusicale all’interno anche di questa rassegna sulle animazioni, Cirrus.