Luke, omosessuale “bello e dannato”, che nella vita pensa solo a fare l’amore, incontra per caso Jon, un giovane scrittore un po’ perso, appassionato di cinema (cita volentieri Godard e Warhol e con lui lo facciamo anche noi), che ha appena saputo di essere sieropositivo. In una Los Angeles strana e ostile, popolata da “serial killer” lesbiche, da assassine di mariti e da picchiatori di omosessuali, Luke e Jon si buttano in una tempestosa storia d’amore.
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Andy Warhol ha messo le basi di un certo cinema indipendente americano, su qualcosa che aveva fondato Godard con i suoi “noir”, Fino all’ultimo respiro e Pierrot le fou, e che Gregg Araki rilegge in chiave queer, prima della sua Teen Apocalypse Trilogy, siamo nel 1992, lanciandosi con questo suo The Living End in un viaggio disperato che finirà su una spiaggia in maniera tragica (?) sotto il motto “Fottere il mondo”. Mondo che verrà fottuto definitivamente con i prossimi film del regista nord-américain da Totaly F***ed Up, Doom Generation e fino al suo Nowhere del 1997 e, perché no, Kaboom che ha vinto la Queer Palma a Cannes nel 2010,
É curioso (ri) vedere oggi The Living End, pellicola che sarebbe impossibile, come tutto il cinema di Araki, realizzare in questi nostri tempi in cui la normalità della diversità non può essere raccontata. Questo nichilismo di fine millennio in cui l’Aids (uno dei due protagonisti è sieropositivo) non provoca la pietà del pubblico, anche in pellicole, pur diversamente pregevoli, come Philadelphia o Che mi dici di Willy?, più o meno contemporanee. Ma i due protagonisti decidono “solo” di detestare il mondo.
Usando colori saturi e una narrazione sincopata e nervosa, ma mai godardianamente frammentaria, Araki ci porta nel nocciolo della questione di un rapporto omosessuale pieno di sesso. Nonostante le scene non scivolino mai nell’ hard sono particolarmente eccitanti, “rompendo definitivamente coi vecchi approcci umanistici… (con) la politica dell’identità… rendendo questi film irriverenti, energici, alternativamente minimalisti ed eccessivi” (The New Queer Cinema, a cura di B. Ruby Rich)
Posizione politica, questa, che Gregg Araki condivide in pieno attraverso una scritta alla fine del film: “Dedicato alle migliaia di persone che sono morte e quelle che moriranno causa di una enorme casa bianca piena di coglioni repubblicani”
Affermazione più che mai attuale, anche se in un modo completamento diverso.
Un mondo edonista
The Living End ci propone sì un mondo edonista ma sotto l’occhio “vigile” di un grande fratello che è l’Aids. La rabbia “queer” che pervade la pellicola con i suoi colori violenti non si era mai vista in un film mainstream. E l’affermazione che il film di Gregg Araki è una rivisitazione dello scottiano Thelma e Louise in chiave gay lascia il tempo che trova: basti pensare al caos del burrone in cui si lanciano le protagoniste nella pellicola del regista inglese e l’esplosione dei colori crepuscolari in cui svaniscono gli amanti in The Living End per capire la differenza.
Importanti e generosi gli interpreti: Mike Ditry e Craig Gilmore, ma ci sono anche Darcy Marta, la warholiana Mary Woronov, Paul Bartel e Scott Goetz.