Les Recommencements (New Beginnings), film del 2025 diretto da Isabelle Ingold e Vivianne Perelmuter, è in concorso al 28° Festival CinemAmbiente nella sezione documentari.
Il fiume Klamath segna il confine del territorio ancestrale degli Yurok, popolo nativo americano originario della costa nord-occidentale della California. Negli ultimi decenni, la costruzione delle dighe sul Klamath ha ridotto drasticamente le popolazioni di salmoni – simbolo centrale della cultura Yurok –, che periodicamente migrano verso il luogo natio per deporre le uova e completare il proprio ciclo vitale. L’attività antropica, e in particolare la costruzione delle dighe, ha alterato l’ecosistema del fiume favorendo la proliferazione di alcune specie di policheti: parassiti il cui ospite intermedio è il salmone.
Come posso vivere questa vita che è mia?
Les Recommencements nasce da un incontro fortuito tra Al Moon e le registe – in viaggio negli Stati Uniti – avvenuto in una lavanderia a gettoni. Nativo americano e veterano del Vietnam, arruolatosi non per patriottismo, né per motivi legati alle sue radici culturali, Moon è partito per la guerra in cerca della morte, dopo un episodio che lo ha segnato profondamente. “I proiettili mi mancavano sempre. Non mi hanno mai preso”, racconta.
Il suo viaggio verso est è dettato dal desiderio, mai concretato, di incontrare i “ragazzi” con cui ha prestato servizio più di quarant’anni prima. Ma scaturisce anche dall’impegno di Al nel mantenere viva la memoria di “una di quelle situazioni in cui il governo ha preso una decisione sbagliata”, nonché le rivelazioni che emergono nel corso del documentario, inattese come il viaggio stesso.
“Non posso riportare in vita il grizzly che hanno ucciso nei boschi, né i lupi, né tutto il resto… Non posso farlo. Quindi, perché anche solo pensare di tornare a qualcosa che ormai non c’è più?”
Forse il trauma della guerra, che nella memoria permane come un incubo allucinato, può essere affrontato attraverso l’analisi delle proprie scelte. La narrazione immersiva del documentario – girato per lo più di notte per una precisa scelta stilistica – è insieme testimonianza e scoperta. Il dovere di ricordare l’orrore vissuto amplifica l’isolamento identitario di Al, che si riferisce agli altri nativi americani con l’espressione “loro”, nel dubbio di aver combattuto la guerra sbagliata. Al racconta con rammarico di un soldato Viet Cong che, vedendolo con la pelle scura e i capelli neri come i suoi, esitò un istante prima di sparare, “e questo gli costò la vita”.

Al Moon
Les Recommencements: un monologo corale
Aver combattuto un “nemico invisibile” – espressione che non si riferisce soltanto all’Agent Orange, erbicida usato dall’esercito americano per stanare i Viet Cong, ma evoca anche la natura elusiva e ideologica del conflitto – significa, per Al, dover fare i conti con l’esser stato parte di un esercito plasmato dalla propaganda, quando non spinto da forme di pressione istituzionale. Molti soldati, infatti, erano afroamericani e nativi americani: spesso privi delle risorse necessarie per sottrarsi alla leva, ma spinti dalla promessa di ottenere più rapidamente la cittadinanza americana.
Senza sapere se Al sarebbe davvero riuscito a incontrare gli altri veterani, Ingold e Perelmuter decidono di seguirlo, lasciando che sia lui stesso a porre le domande fondamentali attraverso cui si snoda la narrazione. Les Recommencements, al contempo ritratto e cornice, è un monologo corale che dà voce non soltanto al trascorso di Al, ma pone le basi di una riflessione più ampia sui propri limiti e sul concetto di appartenenza: “Come posso vivere questa vita che è mia?”, si domanda. Fino a che punto le scelte individuali determinano il corso della vita di ciascuno? Nel corso del viaggio, Al interagisce con altri che, come lui, sono in viaggio e si affacciano su un paesaggio sempre inedito, che è proprio di chi è disposto a interrogarsi e rivedere le proprie convinzioni.
Il passato incontra il futuro
È sullo sfondo delle grandi pianure del Midwest che Al, narratore e paesaggista insieme, accosta le imposizioni coloniali subite dai nativi e la resistenza dei Viet Cong contro l’occupazione straniera. Pur essendo distanti nel tempo e nello spazio, questi eventi convivono nella sua prospettiva personale, quella di chi si sente al contempo vittima e carnefice: è in questo modo che il documentario colma le distanze temporali e geografiche. Le esperienze di Al, che sono anche quelle di altri, rivivono nelle sue domande, restituendo alla narrazione un’ulteriore stratificazione di piani.
“In qualche modo, dalle vaste distese dell’oceano, riescono a ritrovare la strada verso il fiume esatto in cui sono nati, persino verso la piccola ansa dove hanno visto la luce. Il passato incontra il futuro. Molti di loro portano cicatrici… segni di quanto sia duro il viaggio. Vedrai pesci senza pinne, con graffi sui fianchi, con metà della coda mancante — ma continuano ad andare avanti. Devono arrivare in quel luogo. E quando ci arrivano, trovano lì anche gli altri che ce l’hanno fatta”
Il racconto di Al, che ritrova nei salmoni che risalgono la corrente la metafora del proprio percorso, è anch’esso un viaggio di ritorno verso un passato che continua a propagarsi nel presente. Il trauma della guerra e dell’alienazione lascia cicatrici profonde, visibili e invisibili. E proprio come i corpi dei salmoni, che alla fine del loro ciclo nutrono il fiume riportando indietro i nutrienti del mare, anche la testimonianza di Al si offre – sotto forma di memoria trasmessa – alle generazioni future.
