Se nel corso della sua storia il mezzo cinematografico è stato inteso da tanti come un incredibile strumento a disposizione dell’uomo per catturare e rappresentare la realtà circostante tramite il suo stesso sguardo, ciò non significa che non possano farlo anche gli animali. Sembra muoversi su questo principio Nebbia di Tommaso Diaceri, cortometraggio prodotto dal Centro Sperimentale di Cinematografia e in concorso alla 28esima edizione del festival CineAmbiente.
I cani possono sognare?
Tra i tanti cani presenti nella routine di un canile, c’è il vecchio Nebbia che scorre le sue giornate nella passività di quelle quattro mura. Ma con il calare della notte subentrano i ricordi di una vita passata e i sogni di una speranza futura.
Un’assenza cruciale
Nebbia si presenta come un cortometraggio formalmente delicato e posato, ma sostanzialmente vacuo. Nonostante la presenza di alcune idee interessanti – come la volontà di rappresentare uno sguardo animale tramite soggettiva – la pellicola non riesce nel suo intento di creare un legame empatico tra lo spettatore e Nebbia. In questo senso, la mancanza di una connessione tra le parti non permette di suggestionarsi dinanzi ai ricordi del protagonista, né tanto meno di lasciarsi catturare dalla speranza di cui i suoi sogni sono composti.
D’altro canto, si potrebbe ipotizzare che la volontà del regista fosse anche quella di descrivere – e quindi denunciare – l’aria di solitudine e passività che si respira dentro certi canili. Ma anche in questo caso, il contenuto del corto non risulta sufficiente. In altri termini, non vi è un elemento degno di nota che abbia la forza di veicolare un messaggio, che risulta quindi essere solo suggerito.
In ultima analisi, Nebbia spicca per alcune sue qualità formali, a discapito però di una parte contenutistica che appare fin troppo timida o addirittura assente.