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“Mani nude”: un film sulla violenza e non un film violento

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“Non è un film violento, ma sulla violenza.” Con queste parole Alessandro Gassmann riassume la natura ambigua e necessaria di Mani nude, il nuovo film di Mauro Mancini, tratto dall’omonimo romanzo di Paola Barbato, in uscita al cinema il 5 giugno e presentato in anteprima al Milano Film Festival. Lo scorso autunno, alla prima romana, sette minuti di applausi. E non è difficile capirne il motivo. In una società sempre più aggressiva, incapace di distinguere tra verità e percezione, tra contenuto e riflessione, questo film propone una lettura radicale della violenza, delle sue cause, e delle sue forme.

La disumanizzazione come processo

La chiave di Mani nude sta nella parola più scomoda: disumanizzazione.

 “Mi ha chiesto una totale disumanizzazione”

racconta Gassmann, riferendosi al lavoro sul suo personaggio, Minuto, carceriere ed allenatore all’interno di un contesto al limite del reale.

“Togliere empatia alla mia persona è difficile ….. guardavo le persone senza espressione e facevo paura. Pensavo allo squalo, che non ha espressione.”

Un lavoro che lo ha portato lontano dalla sua natura personale quanto attoriale, un esercizio da lui definito importante. Mauro Mancini dichiara di voler proseguire la sua ricerca sull’odio e sulla sua origine, già iniziata con Non odiare. Un film che possiede una funzione antropologica ancor prima che narrativa. Attraverso una fotografia riscoperta da Mancini nel momento in cui ha riguardato Paris, Texas di Wim Wenders.

Il corpo come campo di battaglia

Per Francesco Gheghi, il protagonista Davide, Mani nude è stata ad oggi l’esperienza più tosta della sua vita. Dopo aver interpretato Romeo, pensava che nulla potesse metterlo più alla prova, ma ha scoperto che si sbagliava. Preparazione fisica, intensità emotiva, disciplina quotidiana. “Quando sono normale ho paura,” confessa. Ma sul set ha trovato un alleato:

“Gassmann è stato il miglior compagno che potessi desiderare per questo film.”

Conosciuto sul set di Mio fratello rincorre i dinosauri, non solo collega, ma un mentore per Davide, rappresentando una figura quasi genitoriale in un contesto estremo. Il film vive sul corpo. Sulla sua trasformazione. Sulla sua resistenza. E non a caso, Gheghi scherza:

“Possiamo dire che siamo i Christian Bale italiani.”

Un sistema produttivo fuori dagli schemi

Mancini sottolinea un punto chiave: senza i produttori, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile.

“In Italia non è scontato che si permetta a un regista di fare tre mesi di preparazione atletica e nutrizionale.”

Un approccio che il regista ha definito quasi americano. Gheghi ha preso dieci chili in maniera controllata. Paolo Madonna, dopo aver rinunciato al suo aspetto, che lui stesso ha definito “da Hagrid”, ha seguito un percorso simile. Tutti, racconta il regista, hanno lavorato con una estrema disciplina, Gassmann compreso. Il produttore conferma:

“Non riesci ad inserirlo in un genere definito. Non è autore, non è di genere. È qualcosa di nuovo. Una grande novità nel cinema italiano.”

E Medusa ha riconosciuto questo valore, sposando il progetto e sostenendolo con una distribuzione ampia, che comprende 250 sale in tutta Italia.

La potenza del suono in “Mani nude”

“Credo fortemente che il cinema sia suono”

dice Mancini. Per questo ha voluto Dardust, che ha scritto, composto e prodotto numerosi brani per artisti come Giorgia e Marracash, alla colonna sonora. Un coinvolgimento totale, non scontato. Il regista racconta di aver chiesto al reparto suono di registrare la nave quando era vuota, perché sostiene che la nave sia un organismo che vive di suono. La musica non sovrasta, ma si fonde con il mondo diegetico. Respiri, metallo, silenzi. Tutto è calibrato. Tutto è corporeo.

Un film che attraversa il corpo e il tempo

Paola Barbato, autrice del romanzo, parla di una storia che ha avuto molte vite: È bello vederla evolvere attraverso gli attori.

Una storia che muta, come mutano i corpi, le traiettorie, gli sguardi. Davide, il personaggio, non è solo la vittima di un rapimento. È un simbolo. Di un sistema. Di un conflitto. Di una società dove, come dice Gheghi, è necessaria

“una rieducazione della figura maschile”

Contro la passività del contenuto

“Quello che secondo me è pericoloso è la percezione che noi abbiamo. Subiamo dei contenuti invece che rifletterci.”

Le parole di Mancini ci restituiscono l’urgenza del film. Secondo Mancini, l’essere umano deve essere conflittuale e creare un dibattito. Ed è proprio da quel disaccordo che poi nasce una terza via. Una possibilità che oggi il nostro algoritmo non ci permette di avere.

Mani nude non racconta una giustizia fai-da-te. Non giustifica la violenza, bensì la mostra, per quello che è. La incide nel corpo degli attori, nei suoni, nella fotografia, lasciando emergere un mondo dove il dolore non si sublima, ma si attraversa, lasciandone i segni.

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