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Korea Film Festival

‘The Wailing’, uno dei più grandi horror del XXI° secolo

Il terzo lungometraggio di Na Hong-jin è un viaggio nel buio più profondo impossibile da dimenticare. Un affresco poetico e al contempo spietato di un paesino caduto vittima di un male incontrastabile.

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The Wailing

“Tu l’hai appena detto: che io sono il Diavolo. Non è così? È già stabilito, con certezza, che io sono il Diavolo. Per questo sei venuto qui”.

Se la perfezione, sottraendosi e dislocandosi costantemente, è un ideale per sua stessa natura inafferrabile, The Wailing è una di quelle opere che riesce a sfiorarlo. Dopo due lungometraggi straordinari, come The Chaser e The Yellow Sea, nessuno potè immaginare che Na Hong-jin sarebbe stato in grado di sorpassare l’asticella creativa da lui stesso issata a un’altezza apparentemente insormontabile. Ci vollero all’incirca cinque anni di lavoro, al termine dei quali il regista partorì un capolavoro, e tutti dovettero chinare il capo. The Wailing è una pellicola ambiziosa, complessa e meditata. Uno straordinario viaggio verso l’oscurità che, dopo ogni visione, scopre un nuovo tassello della sua multiforme stratificazione. Tutte caratteristiche che, se sommate tra loro, lo incoronano apogeo di una filmografia parca, ma al contempo rigorosa.

Noi abbiamo avuto l’onore di vederlo proiettato sul grande schermo in occasione dell’omaggio reso a Na Hong-jin dal Korea Film Fest di Firenze. Un’esperienza irripetibile, che lascia spazio a un unico auspicio: un’adeguata ridistribuzione di The Wailing nelle sale cinematografiche di tutto il mondo nel 2026, anno del suo decimo anniversario.

Trama

“Questo qui è lo spirito più forte che abbia mai incontrato. Mai visto niente di simile. Perché avete osato disturbarlo?”

Gokseong, titolo originale del film, è anche il nome del villaggio in cui ha luogo la vicenda. Un impacciato poliziotto locale, Jong-doo (Kwak Do-won), si imbatte in una serie di omicidi efferati e inspiegabili che scuotono la comunità. Tutto sembra ripetersi allo stesso modo: una persona, affetta da una strana malattia, impazzisce e improvvisamente uccide tutti gli affetti più cari. Inizialmente la colpa viene attribuita a un’intossicazione da funghi, ma dopo si sparge una voce, secondo cui tutto abbia avuto inizio da quando un uomo giapponese (Jun Kunimura) è giunto al paese. Jong-doo decide di portare avanti le indagini in modo tradizionale, ma quando anche la figlia comincia a mostrare strani comportamenti, si affida a uno sciamano (Hwang Jung-min). La verità è più inaspettata di quello che pensa e, forse, si cela proprio dietro le superstizioni che terrorizzano gli abitanti di Gokseong.

Per poter osare, bisogna saper dosare

The Wailing è a tutti gli effetti un elaborato atto di maestria cinematografica con cui i registi contemporanei devono inevitabilmente confrontarsi. 156 minuti. Una durata inusuale per un film horror. Eppure, Na Hong-jin ci insegna che tutto è possibile, basta operare nella più totale consapevolezza. Assunto più facile a dirsi che a farsi, ma necessario, se si ambisce alla meraviglia. Il presupposto su cui si erge l’intera struttura del film è perciò quasi dogmatico, logico, deducibile: per poter osare bisogna saper dosare.

Una condizione che accosta tra di loro due parole molto simili all’ascolto, ma totalmente diverse nel significato: “osare” e “dosare”. Tutto ciò riporta la mente all’antica nozione di arte (non a caso techne in greco), come abilità umana del fare e dell’eseguire. Na Hong-jin, come tutti i più grandi registi, ne è la prova per quanto riguarda il cinema. The Wailing non nasce dall’improvvisazione, dal tanto romanticizzato “caso”, ma dall’accumulo di esperienza.

Certo l’ispirazione artistica e il guizzo del momento alimentano le idee, ma nella pratica non sono sufficienti. Un film di una tale fattura è possibile solo se sei in grado di dosare gli strumenti a propria disposizione. Na Hong-jin e la sua troupe, di cui fa parte anche il più grande direttore della fotografia sudcoreano contemporaneo, Hong Kyung-pyo, danno prova di un’estrema padronanza del mezzo. Ecco che dosare gli espedienti narrativi, i movimenti di macchina, il montaggio, i suoni, gli spazi, gli attori e lambire il tutto in un cosciente dialogo tra sostanza e forma diventa magicamente possibile. Passaggi indispensabili a rendere credibile e incredibile l’impianto narrativo ingannevole di The Wailing: un lungometraggio in grado di sfidare lo stilema, di oltrepassare il limite immaginato e di squarciare, in tutti sensi, l’idea di una visibile intelaiatura del senso, preferendo optare per i molteplici tranelli dell’equivoco.

Il segreto di un buon ritmo narrativo

Incasellare The Wailing in una singola categoria sarebbe riduttivo. Anzi, sarebbe quasi irrispettoso nei confronti del suo irresistibile aspetto camaleontico. Na Hong-jin vuole divertirsi. Certo lo fa con le dovute valutazioni, ma è innegabile che dia sfogo a quel lato giocoso che è una delle prove più sincere dell’amore per il proprio lavoro. La conseguenza è che il ritmo, mantenuto per l’intera durata del film, è da manuale. Frutto di un procedere funambolico tra trovate narrative, rimandi di genere e alternanza di tecniche. Un puzzle che, smontato di alcuni suoi pezzi, rivela un’impensabile eterogeneità. In The Wailing, la tipica ambientazione da folk-horror, diventa teatro di un vorticoso susseguirsi di scene indimenticabili. Un’apparente calma viene così irrimediabilmente scossa da un terremoto di eventi.

Un doppio rito sciamanico (con tanto di paksu, sciamano coreano, interpretato da un grandissimo Hwang Jung-min), scandito da un montaggio alternato senza precedenti. Cadaveri che tornano in vita, come nei migliori zombie movie. Impacciati inseguimenti, non più tra i palazzi di Seoul, ma tra i boschi e i pendii di una montagna. Visioni vampiresche, trasformazioni paranormali e sovrumane.

Sostanzialmente: Na Hong-jin abbandona Seoul, e, quasi sadicamente, irrompe nella tranquillità agreste, portandosi dietro tutta la caoticità della capitale sudcoreana. In poche parole: il lupo perde il pelo, ma non il vizio. The Wailing è una montagna russa. Un viaggio verso il buio più profondo che, facendo leva su diversi espedienti, stimola numerose reazioni. C’è il melodramma del rapporto padre-figlia. C’è il sorriso che scaturisce dal tragicomico e buffo protagonista. Ci sono le riflessioni etiche, sociali e forse storiche (il giapponese potrebbe essere un rimando alla colonizzazione nipponica). C’è il mistero tipico del thriller-poliziesco. Tutto immerso in un climax di tensione che raggiunge la sua esplosione epifanica nel magistrale finale.

Una parabola dai mille profili

Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho».

L’epigrafe di apertura, tratta dal Vangelo secondo Luca, non è una semplice citazione, ma un suggerimento di lettura. Na Hong-jin, nel mescolare religioni (sciamanesimo coreano, cristianesimo, buddhismo), tradizioni e leggende popolari, riscrive la propria parabola (a)morale. The Wailing preferisce far germogliare un grande punto interrogativo, piuttosto che interrompere ogni riflessione con un inamovibile punto esclamativo. Ogni sequenza è un gesto che priva l’essere umano delle proprie sicurezze. Lo denuda e lo pone davanti alle intemperie del caos e del dubbio di cui su nutre il male più assoluto, quello più immotivato e illogico. Una presenza demoniaca spietata che, abbattendosi sulla piccola Gokseong, ne fagocita, abitante dopo abitante, la bucolica tranquillità, arrivando al punto di straziare il simbolo per eccellenza dell’innocenza: una bambina.

Secondo una classica parabola morale, l’arma più efficace contro un male inspiegabile, sarebbe una fede saldamente cieca, che non necessiterebbe di alcuna prova concreta. Ma è qui che Na Hong-jin sfoggia una cinica e disillusa indole nichilista. Un sentimento, estremamente contemporaneo, che mantiene inquieta la freccia della bussola interiore del protagonista. Jong-goo deve avere fede nella religione? Nei sussurri che aleggiano tra i compaesani? Nell’istinto paterno? Nello sciamano? O nella figura femminile misteriosa? A prescindere dalla risposta corretta e dalla validità della sua esattezza, The Wailing ha l’intrigante potere di adagiare nei pensieri dello spettatore un prisma narrativo unico. E, forse, nel sovrapporre con una soggettiva i nostri occhi a quelli di un personaggio che sta per essere fotografato, Na Hong-jin travalica i confini dello schermo per intrappolarci in un enigma irrisolvibile.

The Wailing

  • Anno: 2016
  • Durata: 156'
  • Genere: Horror, Thriller
  • Nazionalita: Corea del Sud
  • Regia: Na Hong-jin