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FESTIVAL DI CINEMA

Venezia 70: “Mary is happy, Mary is happy” di Nawapol Thamrongrattanarit (Biennale college cinema)

“Mary is happy Mary is happy” è un riuscito esperimento destrutturato, una sfida a ‘tradurre’ in narrato una delle sequenze comunicative più usate da milioni di persone globalizzate: twitter

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Anno: 2013

Durata: 125′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Thailandia

Regia: Nawapol Thamrongrattanarit

 

L’estetica ed etica contemporanea delle emozioni

Biennale college cinema è l’avamposto-crogiuolo di nuovi semi creativi messi a germogliare in film a basso costo da giovani futuri visionari (con la partnership di Gucci). La Thailandia, fucina creativa originale sia visivamente che narrativamente, è presente con il giovane Nawapol Thamrongrattanarit. Il suo Mary is happy Mary is happy è un riuscito esperimento destrutturato, una sfida a ‘tradurre’ in narrato una delle sequenze comunicative più usate da milioni di persone globalizzate: twitter. Impiegando 410 tweet di una reale Mary, non modificandone l’ordine cronologico di invio, Thamrongrattanarit imbastisce con 4 lire di budget una gradevolissima storia ‘scadenzata a colpi di invio’, che rende anche visivamente la filosofia twitteriana nell’oscillazione tra l’assurdo e il reale, il bizzarro e il vero, la retorica e il sentimento.

Tutti i nostri mali e temi universali sono presenti nella vita di Mary (Patcha Poonpiriya), sensibile e sognatrice liceale prossima alla maturità, che insieme alla sua inseparabile e più matura-disincantata Suri (Chonnikan Netjui), divide paure, insicurezze, speranze, sentimenti, progetti. La macchina fotografica (tematica visiva già presente in 36, film di Thamrongrattanarit presentato a Rotterdam 2013) è il cordone ombelicale che Mary ha con l’esterno, alla ricerca di quella luce giusta capace di catturare una bellezza esistenziale quasi mai presente nella quotidianità. Dentro la scuola-bunker diroccata, all’inseguimento del libro fotografico di classe da realizzare, Mary, per il tramite dei twitter che steppano le micro vicende del suo ultimo anno più strano ed imprevedibile, esternalizza intimità ed esteriorità umana in un delirio minimalista (visivo e di scrittura) dell’assurdo del vivere: comico e tragico, tenero e delicato. Tra location ‘disperate ed ironiche’ (binari di una ferrovia, non luogo di riflessioni ed incontri; foresta, esterno-interno dell’inconscio nei tentativi di fuga e di rinascita), fantasmi dell’amore, del sentimento, della creatività, della morte, dell’autorità (uno spasso ridicolo e inquietante, il nuovo preside dittatore, che aleggia sulla scuola con ordini e disposizioni senza mai apparire, personalizzando in suo nome perfino il test di esame, e segregando le allieve  fino alla fine dell’anno scolastico), ogni tweet ‘esplode’ narrativamente in pillole visive a sé stanti  e insieme legate le une alle altre, unendo in questo modo l’umanità globale all’esperienza individuale di un’esistenza simbolo di comunanza di questa assurda avventura chiamata vita.

Maria Cera

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