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Venezia 70: L’arte della felicità di Alessandro Rak, il taxi-movie filosofico (Settimana della Critica)

“L’arte della felicità” è finalmente una storia all’italiana di un taxi driver, ma soprattutto è un film di animazione italiano, dal tratto graffiato, piovoso e scrosciante, che si avvale di una scrittura molto profonda

Pubblicato

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Anno: 2013

Distribuzione: Cinecittà Luce

Durata: 82′

Genere: Animazione

Nazionalità: Italia

Regia:  Alessandro Rak

Alfredo e Sergio sono due fratelli cresciuti con un solido legame, nutrito anche dalla comune passione (e talento) per la musica. Una scelta, che pare improvvisa agli occhi di Sergio, porta Alfredo lontano, in Nepal, nel pacifico isolamento di un monastero buddhista. Così la vocazione per la musica di Sergio va svilendo, raggrinzita dall’assenza del compagno di vita e di ispirazione, fino a scemare definitivamente: rassegnato alla possibilità di non poter più suonare, Sergio accetta la licenza del taxi dello zio e trascorre le sue giornate al volante.

Alfredo e Sergio sono anche due amici fraterni le cui le certezze del legame vengono messe in discussione dalla morte di Alfredo. Con un linguaggio destrutturato in flashback continui e persecutori, alternando partenze e addii, Sergio si domanda se veramente ha saputo capire quel fratello così lontano, oppure se il suo egoismo non lo abbia reso cieco di fronte ai messaggi silenti che questo gli lanciava. Tuttavia, Alfredo e Sergio sono pure due anime perse che hanno incontrato in modi diversi la filosofia buddhista: il primo abbracciandola apertamente, il secondo traducendola in spicciolo motore di vita quotidiana. L’abitacolo del taxi di Sergio diventa infatti un confessionale e un dispensatore di saggezze forse popolari, forse eccelse. Ogni passeggero ha il suo messaggio da lasciare e una corrispondente pillola di sapere da ritirare, per poi tornare a vivere sotto la pioggia scrosciante, quasi infinita, della Napoli trafficata.

Proprio Napoli è l’ultima protagonista della vicenda, con le sue strade disegnate, scolpite, dai cumuli di spazzatura, e la cittadinanza chiassosa che si alterna sotto gli ombrelli. Anche il Vesuvio ha un suo ruolo definito, una specie di dio supremo, una calamità incontrollabile che vorrebbe ripulire la città con i sistemi più drastici, scavalcando le trame fitte dei potenti che controllano dall’alto.

L’arte della felicità è finalmente una storia all’italiana di un taxi driver, stratificato e misterioso così come la struttura narrativa stessa. Ma soprattutto è un film di animazione italiano, dal tratto graffiato, piovoso e scrosciante, che si avvale di una scrittura molto profonda, e, non si spreca qui il termine, filosofica; è un racconto avvincente sui percorsi di autoscoperta e coscienza, sulle relazioni fraterne e sui sensi di colpa che rendono questa animazione un compendio di virtù umane idealizzate. Dal punto di vista produttivo, poi, è uno di quei miracoli all’italiana inspiegabili, un’essenza dell’artigianato che qui sta tra l’arte e la tecnologia, con la lista troupe più corta della storia, sulla quale ovviamente troneggia il contributo manuale e intellettivo di Alessandro Rak: un esordio olistico tutto napoletano.

Rita Andreetti

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