Quest’anno il Festival internazionale del cinema di Berlino ha voluto rendere più di un singolo omaggio a uno dei grandi maestri della storia del cinema americano: Martin Scorsese. Oltre al prestigioso Orso d’Oro alla Carriera, la Berlinale ha scelto di onorare il regista, presentando nella sezione Classics la nuovissima versione, restaurata in 4k, di Fuori Orario. Un vero e proprio gioiello, troppe volte oscurato dall’ombra dei grandi e celebri titoli che costellano la filmografia di Scorsese, ma che, per il suo intramontabile fascino grottesco, meriterebbe sicuramente maggiore attenzione.
Il ritorno di Martin Scorsese a una produzione indipendente
After Hours, questo il titolo del film in lingua originale, prese forma in un momento molto particolare della vita e della carriera del regista americano. Nel 1983, reduce sul piano personale dal divorzio con Isabella Rossellini e su quello lavorativo dallo scarso successo di Re per una notte (1982), Scorsese si ritrovò ad affrontare una grande delusione. L’ultima tentazione di Cristo, quello che a posteriori si sarebbe rivelato uno dei suoi progetti più ambiziosi e travagliati, aveva subito la prima battuta d’arresto, poiché tacciato come blasfemo da parte di numerose associazioni religiose.
Il duro colpo spinse il regista a lasciarsi Hollywood alle spalle, per ritornare nella città natia, New York, dove si ritrovò a vivere in un loft a Soho. La previdenziale combinazione, tra le atmosfere bizzarre del quartiere, le conseguenze emotive di una carriera di fronte a un’impasse e la lettura di Lies, una sceneggiatura scritta da Joseph Minion come saggio d’esame, fornì a Scorsese l’ispirazione per un nuovo lavoro. Il regista si rimboccò le maniche e rispolverò i dettami sul “cinema a basso costo” appresi alla scuderia Corman in cui si era formato. Ripiegò quindi su una produzione indipendente, che significava una semplice cosa: minore interesse economico a monte, ma maggiore libertà creativa a valle. Si avvalse della fedele collaborazione di Thelma Schoonmaker al montaggio e del prezioso aiuto di Michael Ballhaus, storico collaboratore di Rainer Werner Fassbender, alla fotografia; assegnò il ruolo di protagonista a Griffin Dune, detentore di una parte dei diritti su Lies, nonché impegnato nel finanziare parzialmente il film. In otto settimane di riprese nacque così Fuori Orario, un unicum all’interno del mondo “scorsesiano”, che ancora oggi splende per la sua singolarità.
‘Fuori Orario’: l’odissea notturna di un programmatore informatico
Paul Hackett (Griffin Dunne) lavora, come programmatorie, in una delle tante aziende che hanno sede a Manhattan. Una sera decide di uscire dalla solita routine. Alza la cornetta del telefono e chiama Marcy (Rosanna Arquette), una ragazza conosciuta casualmente in un bar, con la speranza che esca assieme a lui. Lei accetta e lo invita in un loft a Soho. Quella che doveva essere una serata promettente si trasforma presto in un incubo. Paul si ritrova intrappolato in una serie di eventi sempre più assurdi e inaspettati, in un quartiere popolato da personaggi stravaganti e inquietanti.
La dark comedy si nutre di estraneità kafkiana
Fuori Orario segna, ancor più del precedente Re per una notte, un quasi totale abbandono da parte di Martin Scorsese delle tematiche che avevano alimentato la sua produzione dagli esordi a Toro Scatenato (1980). La dialettica di matrice cattolica tra “peccato” e “redenzione”, così come le pulsioni nichiliste e autodistruttive dei protagonisti non sono più centrali in questo film. Il concetto chiave su cui ruota l’intera vicenda narrata in Fuori Orario e da cui la dark comedy trae linfa vitale è: l’estraneità kafkiana. Paul Hackett si ritrova catapultato in un mondo a cui non appartiene: quello eccentrico di Soho. Dove cultura underground anni ’80 e gentrificazione artistica si impongono come alternative alla compostezza giacca e cravatta delle aziende che hanno sede nel resto di Manhattan. L’inabilità di Soho prende rapidamente il sopravvento su Paul.
Impreparato dalla monotona alienazione lavorativa alle imprevedibili circostanze che gli si parano davanti, il protagonista rimane succube di un vortice grottesco di incomprensioni, incomunicabilità e sfortunate coincidenze, a cui non può che reagire con una fuga passiva e angosciosa. Il carattere paradossale di tutte le scene è costruito proprio su questo. Le deduzioni di Paul su ciò che lo circonda si rivelano costantemente errate. L’idea che hanno di lui gli abitanti del quartiere è sbagliata. E così l’incontro tra le parti non può che portare all’inevitabile equivoco. Memorabili in tal senso le scene con i due ladri ispanici e il fraintendimento sull’utilizzo di una corda a scopo sessuale.
Il manifestarsi di impotenza economica e sessuale in ‘Fuori Orario’
In Fuori Orario Paul e Soho danno vita a un elemento ossimorico e con esso il mito machista dell’uomo americano in carriera si sgretola sotto forma di impotenza economica e sessuale. La prima inizia a manifestarsi con il viaggio in taxi, splendidamente velocizzato in fase di post-produzione, durante il quale Paul perde venti dollari. L’emblema del capitalismo, l’arma con cui Paul è solitamente abituate a definire i propri confini sociali, ad autodeterminare il proprio status quo, e, in un certo qual modo, a difenderlo, viene meno. I soldi a Soho sembrano non contare, se non come materiale artistico con cui ricoprire statue umane urlanti. Per non parlare poi delle proprietà. Le case come harem personali, come spazi da solcare dopo un rigido iter di determinati riti pre-codificati dal sistema borghese. Non è un caso che Paul impazzisca quando non riesce a farsi restituire le proprie chiavi, prestate come pegno a un barista. A Soho le case sono diverse. Sono luoghi disponibili, le cui chiavi, invece, sono facilmente prestabili.
L’impotenza sessuale è l’ulteriore e inopinabile prova dell’incapacità di imporsi. Paul non è in grado di avere un rapporto con nessuna donna. In tutti i casi qualcosa, un destino di superiore entità si frappone fra il desiderio e il suo stesso compimento. Non importa se il primo sia coltivato da Paul o dalla donna in sua compagnia, entra in gioco sempre e comunque una negazione predeterministica dell’atto. In poche parole Scorsese in Fuori Orario non intende nascondere le sue riserve verso le previsioni di una deriva morale che il mondo sta subendo e la punisce goliardicamente, privandola di due dei suoi effimeri fondamenti.
Realismo scenico, impressioni, tecnica e narrazione si fondono in un peculiare tratto onirico
Fuori Orario è estremamente suggestivo da un punto di vista visivo. Lo splendido affresco notturno che Scorsese regala è frutto di una grande maestria nel bilanciare elementi diversi dell’apparato filmico. L’aspetto scenografico premia la volontà ferrea di Scorsese di scendere ancora una volta a riprendere nelle strade newyorchesi. Ciò che si staglia sullo schermo è per questo palpabile in tutto il suo sincero realismo che il regista potenzia con la consapevolezza del luogo in cui sta tenendo le riprese. I tipici metal trash can di Soho, il mattone vivo dei suoi loft e dei suoi palazzi, le sue strade notturne deserte, sono tutti particolari che Scorsese in quegli anni conosce in prima persona. Li abita, li vive, ma non si limita a darne una visione puramente tale e quale.
Grazie a una regia barocca, fatta di virtuosismi tecnici, Fuori Orario invita lo spettatore a partecipare alla sua impressione (la ripresa dal basso di un mazzo di chiavi lanciato da una finestra sembra preannunciare i pericoli a cui Paul andrà incontro). Lo schermo perciò finisce per incorniciare uno spazio estremamente reale, ma che, storpiato dall’occhio autoriale, oscilla nel surreale. Non risulta totalmente fallace l’interpretazione onirica del film. Potrebbe trattarsi tranquillamente di un sogno, vista l’ambientazione notturna, la stravaganza delle situazioni e il finale ambiguo. Ma questo non ci è dato saperlo e, come spesso accade, dal mistero consegue ancora più fascino.