Wanted di Fabrizio Ferraro ragiona sullo statuto dell’immagine preconizzando le derive della nostra società. Con Denise Tantucci , Chiara Caselli e Fabrizio Rongione di Wanted abbiamo parlato con Fabrizio Ferraro.
Distribuito da Vivo FilmWanted di Fabrizio Ferraro è adesso nelle sale.
Wanted di Fabrizio Ferraro
L’apertura di Wanted è emblematica sotto più punti di vista. Si tratta di una sequenza immersa in un buio contingente all’azione che si sta svolgendo e dunque all’interrogatorio della prigioniera da parte degli agenti di polizia. Soprattutto però si tratta di una mancanza di luce che si rifà alla condizione esistenziale dei personaggi poiché quello di Wanted è soprattutto un buio dell’anima.
Sì, assolutamente. Come sai, il buio ha delle ambivalenze continue. In Wanted rimanda anche a un carattere oscuro del potere, alle cose che pensiamo di sapere ma non sappiamo, e che forse vorremo conoscere meglio. Allo stesso tempo ha risvolti percettivi ed esistenziali, cosa che è molto importante per il film e, in generale, per il cinema. Il buio è un elemento indispensabile per contattare la luce. Senza il primo non avremo il secondo. Per questo è necessario saper vedere nel buio, per riuscire a guardare la vita dentro il cinema e nella nostra essenza intima.
Nel film il buio nasconde qualcosa che esiste ma che non si percepisce, rimandando così all’importanza del fuori campo. Non è un caso che raccontando la lotta di potere all’interno di una società collocata in un prossimo futuro ciò che non si vede è più importante di quello che sta di fronte ai nostri occhi.
Sono molto contento di quanto hai detto perché si tratta di un’affermazione centralissima per il film, ma anche per comprendere il mondo in cui viviamo. Parliamo di qualcosa che sta dietro l’immagine, per cui, riuscendo a definire meglio il fuori campo, potremmo fare un passo in avanti nella conoscenza della realtà, per riuscire a vedere non solo quello che abbiamo davanti agli occhi, ma anche ciò che c’è dietro, sopra, sotto. D’altronde tra le funzioni del cinema c’è quella di potenziare i nostri sensi.
L’oscurità del nostro tempo
Wanted inizia portandoci nel mezzo dell’azione, con il personaggio di Denise Tantucci interrogato da quello di Chiara Caselli. La scena è paradigmatica perché racconta un bisogno di conoscenza che coinvolge tanto i personaggi del film – attraverso l’indagine svolta dalla polizia – tanto lo spettatore, interessato a sapere come hanno fatto i personaggi ad arrivare fin lì. La coerenza del film sta anche nel non fornire una soluzione al mistero della storia facendosi portatore di ciò che Wanted vuole raccontare, ovvero l’oscurità del nostro tempo.
Queste riflessioni colgono il ragionamento che c’è dietro Wanted. Ad alcuni lo sguardo del film potrebbe apparire poco chiaro o enigmatico. In realtà, il film è una sorta di radiografia del nostro presente. La questione che ho cercato di porre all’interno della storia è che degli eventi abbiamo conoscenza solo attraverso quello che succede prima e quello che succede dopo, nell’analizzare gli effetti di una determinata azione. Il dato immediato è cieco, la cronaca è cieca perché non ha possibilità di essere letta in profondità. Per decifrare il mondo non dovremmo fermarci al dato della cronaca, ma analizzare anche gli effetti e le conseguenze.
Hai più volte accennato agli agganci del film con la realtà contemporanea. Mi sembra che uno degli aspetti più evidenti sia la presenza di uno stato di polizia che la nostra epoca sta preconizzando con il nuovo ordine imposto dall’ascesa della politica populista. Wanted ci mette in guardia sulla direzione che stiamo prendendo.
Ho scritto il film insieme a Carando prima della pandemia e, quando ho presentato la sceneggiatura, qualcuno avrà pensato che si trattasse di una storia astratta, frutto della mia fantasia. Poi, una volta deciso di ambientarlo all’interno degli stabilimenti cinematografici di Cinecittà, ancor di più, ma, subito dopo le riprese, è scoppiata la guerra in Ucraina e i famosi stabilimenti cinematografici di Sebastopoli sono stati occupati per fare esercitazioni militari, come per l’appunto succede nel film. A quel punto è stata la realtà a fare un balzo in avanti rispetto a ciò che avevamo raccontato, in un quadro generale in cui a prevalere è il disciplinamento di un apparato che promuove dogmi e comandamenti a cui sottomettersi. Per me è tutto molto chiaro, anche perché si tratta di un processo che investe anche il cinema, sempre più azzerato nei termini della semplificazione.
Fabrizio Ferraro: il cinema come megafono del potere
Ho trovato davvero interessante che tu abbia collocato la centrale dell’organizzazione poliziesca all’interno degli studi cinematografici di Cinecittà e in particolare nel mitico Studio 5 dove si ipotizza avvengano gli interrogatori più pesanti. L’allusione al cinema e in generale ai media come megafoni del potere appare evidente.
Pare anche a me, nonostante qualcuno abbia imputato al film poca chiarezza. Chi scrive queste cose pensa che il pubblico sia veramente stupido. Per fortuna non è così, gli spettatori incontrati – e con cui ho parlato – avevano il quadro molto chiaro. Collocare il centro del potere a Cinecittà stimola simmetrie interessanti, tra la propaganda e certe immagini del cinema. La relazione tra la struttura produttiva del cinema e quella militare ormai è totalmente sovrapposta. Oggi si è arrivati a girare e pensare i film proprio come una struttura militare, togliendo di vista ogni carattere imprevedibile. Si toglie dal set la vita per poi ricostruirla dall’esterno, attraverso il supporto delle macchine digitali. Il nuovo statuto dell’immagine abbandona la processualità della visione. Mi fa piacere che la tua domanda colga tutto questo. Pensa che a me Wanted sembrava fin troppo diretto nell’imputare comunque un j’accuse a questa macchina che ci sta togliendo la vita.
Wanted è chiaro anche quando si mantiene coerente al suo assunto non fornendo risposte definitive ai dubbi che solleva. Come accade nella realtà, il film rimette al centro della scena la complessità dell’esistenza destinata a diventare sempre più intellegibile quanto più ci si addentra nei suoi meandri. Così è la narrazione, che con il passare dei minuti sembra togliere certezze allo spettatore moltiplicando direzioni e cambi di percorso.
Certo… anche nella relazione spaziale con il potere abbiamo perso l’individuazione di un centro, con i suoi riferimenti. In questa condizione, così frammentaria, ogni volta che pensiamo di aver risolto un problema, in realtà, la questione si complica maggiormente, proprio perché frutto di una ramificazione continua e replicabile infinitamente. Lo stesso succede con gli scontri all’interno del potere. Reti e sotto reti sono talmente stratificate da rendere sempre più difficile la possibilità di intercettarle e trovarne i punti decisionali.
Richiami in Wanted di Fabrizio Ferraro
In taluni passaggi l’insondabilità dell’agire umano lascia intendere la presenza di un regista occulto in un contesto che anche per le sue venature grottesche fa pensare al Castello Kafkiano.
Quando il senso perde la relazione con i sensi finisce per assumere questi toni indecifrabili e grotteschi, in cui ogni cosa è codificata solo all’interno di un sistema impermeabile, mentre al di fuori di esso assume caratteristiche sfuggenti e per certi versi non rappresentabili. Nelle pieghe del racconto, ovviamente, c’è sempre una motivazione apparente, però a emergere principalmente è la figura affascinante, ma molto complessa, del grande labirinto, un labirinto che ognuno di noi ha modo di sperimentare nelle proprie giornate.
Pensavo a Kafka anche perché i personaggi non hanno un nome, ma come nel romanzo si identificano con il ruolo svolto all’interno dell’ingranaggio. Muovendosi quasi sempre nel buio i protagonisti sono i fantasmi della nostra umanità.
È un aspetto centrale, nel senso che i personaggi attraversano il film come semplici funzioni/figure. Siamo di fronte a una sorta di autopsia, un movimento autoptico su un corpo, però, solo apparentemente, morto. In realtà persistono elementi di vita, ma sono appunto sotterranei rispetto alla funzione loro assegnata.
Altri richiami
Abbiamo detto come Wanted abbia numerosi rimandi alla storia del Cinema. Uno di questi lo troviamo anche nella prigioniera interpretata da Denis Tantucci. Quando a un certo punto le tingi i capelli di biondo e la vesti con un trench bianco per farle assumere una nuova identità sembra di vedere La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock.
Nel film ci sono continui riferimenti, continue bussole che, all’interno di questo mondo di immagini, apparentemente senza senso, permettono di ritrovare un ordine di relazione propedeutico allo sviluppo della storia e connesso con i fantasmi della storia.
A questo proposito ho trovato che dietro la scelta di Denise Tantucci e Chiara Caselli ci sia anche una corrispondenza fisica in cui una è specchio dell’altra. Questo è così vero che a un certo punto le identità dei loro personaggi finiscono per coincidere.
Certamente. Nel film esiste questo continuo riflesso, questa continua ambivalenza nella posizione che si assume dinanzi alle funzioni del potere. La sovrapposizione di cui parli trova attinenza all’interno di uno spettro molto ampio di possibilità recitative, in cui la corrispondenza dei corpi, si sviluppa all’interno di presenze che risuonano consonanti e dissonanti. C’è sempre qualcosa che si sdoppia e sfugge a ogni presa. L’apparato di cattura produce continuamente anche le sue fughe.
Il cinema di Fabrizio Ferraro
Parliamo del cinema che ti piace.
Spazia molto, passa da Jaques Tati a Buster Keaton, per come lavorano sul corpo, a De Sica e Rossellini, per arrivare a Straub/Huillet e Godard. Ce ne sono tantissimi. Penso che esista una sorta di cineasta plurale a cui rivolgersi. L’importante è non creare degli steccati rigidi ma riuscire a essere connesso con questo cineasta che parla in noi al di là di ogni autore.
Vedi anche: la video intervista di Taxi Drivers a Paolo Sorrentino
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