Presentato al Festival di Roma nella sezione Freestyle, e proiettato al Festival dei Popoli di Firenze, Manfredi Lucibello tenta di dare una risposta a un quesito secolare: Che cos’è l’arte? Realtà o finzione? E se ci avessero truffato tutti, critici compresi?
Affrontare un tema così intricato non è semplice, ma il regista opta per una vicenda fuori dal comune: Il Complotto di Tirana. Il documentario è prodotto da Small Boss, con il supporto della Regione Emilia-Romagna. Nel cast: Oliviero Toscani e Marco Lavagetto, Bebo Storti.
Il Complotto di Tirana, la folle vicenda
Dicembre, anno 2000. Il grande fotografo Oliviero Toscani accetta, sotto invito dell’amico e critico Giancarlo Politi, di curare una sezione della prima Biennale di Tirana. Il progetto presenta quattro artisti, abbastanza controversi: Dimitri Bioy, un presunto pedofilo; Marcello Gavotta, un pornografo dichiarato; Bola Equa, un’attivista ricercata dal governo nigeriano; e Hamid Picardo, il fotografo ufficiale di Bin Laden. È l’inizio di una delle più grandi beffe della storia dell’arte contemporanea. Ora che i reati sono prescritti, i protagonisti possono finalmente raccontare la verità.
L’inizio di una gigantesca truffa
A scatenare questa follia, una lista di nomi presente nella rivista Flash Art, tra le più influenti a livello globale e diretta dal critico Giancarlo Politi. Siamo nel 2000 quando, nella sua edizione italiana, viene presentata questa spietata “graduatoria” che contiene i peggiori artisti del momento. Nonostante la fama mondiale, al penultimo posto troviamo Oliviero Toscani. Non tardano gli insulti. Uno scambio di bollenti mail tra i due artisti viene placato qualche mese dopo con una sorta di armistizio: Politi invita l’amico fotografo a curare una sezione della prima Biennale di Tirana.
Toscani accetta immediatamente, con un progetto estremamente azzardato. Il fotografo seleziona quattro artisti dal passato controverso, capaci di scuotere ogni coscienza. E anche il manifesto non è esente da scelte controverse. Ma d’altronde, cosa ci si può aspettare da un fotografo che naviga da sempre nell’arte della provocazione?
Tutti si fidano, nessuno replica né si accerta del materiale concordato per l’esposizione. Lo scambio di mail tra Politi e Toscani intercorre serenamente prima dell’inizio della Biennale, programmata per il 15 settembre 2001. Un avvenimento importante, però, cambia le sorti di questa storia. Un pacco arriva nella residenza Toscana del fotografo, quello vero.
“Il complotto di Tirana”, di Manfredi Lucibello. Credits Clara Vannucci
Il Complotto di Tirana: un’operazione geniale?
Politi non comprende la confusione di Toscani nel vedere quell’invito. “Ci siamo scritti per un anno“, dichiarerà attonito il critico. Il problema (o la genialità) è che si trattava di una truffa: non era il vero Toscani a scrivere quelle lettere, ma qualcuno che gli aveva rubato l’identità. La situazione si fa più fitta quando incombe sul mondo la catastrofe dell’11 settembre, con l’attentato alle Torri Gemelle. Toscani viene accusato di cospirazionismo, in quanto tra gli artisti che aveva selezionato c’era un possibile estremista collegato alla figura di Bin Laden.
Il celebre fotografo spera sia l’amico Maurizio Cattelan, ma l’artista si dissocia. E la faccenda non migliora: i quattro artisti non sono mai esistiti. Sono stati inventati di sana pianta dallo sconosciuto che ha messo in piedi questo gigantesco imbroglio ai danni dell’Arte.
Le ricerche da parte della procura di Milano portano a un sospettato: Marco Lavagetto. Definire chi sia questo personaggio è impossibile: oltre a identificarsi in tanti alter ego come artista, Lavagetto lavora a Cogoleto (Genova) come imbottitore di bare. Ma soprattutto, nella famosa lista nera di Politi, l’artista occupava l’ultimo posto.
L’arte che non ha morale
Oliviero Toscani, quello vero, nonostante il giustificato timore vede un’opera sensazionale, riuscita in tutto e per tutto e che per lui può tranquillamente essere definita arte. Anzi, ripensandoci bene parla di “un’azione di happening molto interessante“. Una performance nella performance: quella che passerà alla storia come Il Complotto di Tirana tocca i punti nevralgici della contemporaneità: la pedofilia, il terrorismo ed il terzo mondo. E per Toscani potrebbe avere anche senso: in fondo “l’arte non ha morale“, non si deve preoccupare della sua essenza.
Il messaggio dietro questa azione artistica inquietante e incredibile è chiaro per la critica d’arte Demetra Santini: sbeffeggiare con eleganza e ingegno un sistema di persone che all’epoca aveva in pugno la gestione dell’arte tutta. E allora Lavagetto è un genio, un artista o solo un bizzarro risentito dal giudizio ricevuto?
Lucibello tenta di scoprire chi sia la mente brillante dietro a tutto questo gigantesco imbroglio, ma invano. Marco Lavagetto era ed è un artista in continua evoluzione e, per quante domande possiamo porci, non può esserci una risposta definitiva. Realtà e finzione si intrecciano, in un gioco concettuale estremamente complesso. Non comprendiamo fino in fondo se lo stesso artista si prende sul serio o si stia divertendo nell’essere ciò che è: una moltitudine di alter ego che creano opere senza una fine. E allora ha senso definirlo tale, un talento puro? O ancora: che cos’è l’arte? O forse è arte solo quella che interessa all’establishment di quel sistema? Chi definisce un’opera tale?
“Il Complotto di Tirana, di Manfredi Lucibello. Credits Clara Vannucci.
Il Complotto di Tirana : l’opera nell’opera
Manfredi Lucibello tenta, in un’ora o poco più, di rivalutare insieme allo spettatore il concetto stesso di arte e artista, finzione e realtà. Alla fine ne derivano alcuni spunti: lui stesso asserisce che non sente di avere e volere una risposta, perché alla fine rimarrà un enigma indecifrabile. Anzi, finito nella rete del vorticoso imbroglio, un dubbio lecito gli balena in testa: “Ma se la realtà non esistesse? Non mi resta che rappresentarla per quello che è: una menzogna.”
Il regista, nel raccontare questa assurda vicenda storica, si pone anche un altro quesito: “Che cos’è il documentario?”. Lucibello si abbandona ad una regia libera e autentica, che deve necessariamente avvicinarsi alla verità. Lo spettatore deve sapere che, in una storia di beffe e menzogne, ciò che sta vedendo è la trasposizione reale dei fatti. Fa ricorso all’enciclopedia Treccani, e sotto al termine si legge: “nel d. lo spettatore dirà piuttosto: “ciò che vedo è vero, e non solo verosimile, e per questo ci credo”.
In questo delirio di verità, anche Lucibello si è divertito a creare la sua personale performance nella pellicola. Nel tentativo tangibile di descrivere il puro gioco dell’arte, in cosa consiste e quanto siamo influenzabili dalle parole di alcune figure illustri, solo perché tali.
Nel racconto, riecheggiano le lezioni dell’eterno Andy Warhol, maestro della critica sull’originalità nell’arte: “In futuro, tutti saranno famosi per 15 minuti”. D’altronde, nemmeno siamo certi se Warhol abbia pronunciato queste parole o se gliele abbiano attribuite. Non ci interessa se sia un falso d’autore: siamo disposti comunque a credere che lui lo abbia fatto.