The Apprentice – Le origini di Trump, diretto da Ali Abbasi, èla prima opera in lingua inglese di questo acclamato regista iraniano naturalizzato danese e affronta l’ attualissimo tema dell’ascesa di Donald Trump nella torbida New York degli anni ’70. Il film è sceneggiato da Gabriel Sherman, giornalista all’esordio nel cinema, ed è prodotto tra gli altri da Scythia Films, Profile Pictures e Tailored Films. Fin dalla sua presentazione al festival di Cannes, è stato duramente osteggiato dallo stesso Trump e dal suo entourage ed è stata accusata la produzione di mistificazioni e calunnie. In Italia è distribuito da BiM Distribuzione.
Cohn (Strong) e Trump (Stan)
The Apprentice – la trama
Donald J. Trump (Sebastian Stan) è l’ambizioso rampollo di una famiglia di costruttori edili che cerca di farsi strada nel complesso e spietato mondo dell’edilizia newyorkese. Il ragazzo ha la giusta avidità ma è impacciato e poco carismatico per muoversi nei gangli della giustizia e della pubblica amministrazione. Per sua fortuna, entra nelle grazie del massimo principe del foro del periodo, lo spietato e feroce avvocato Roy Cohn (JeremyStrong) che apprezza la determinazione e i modi del ragazzo. Tra i due si crea un legame mentore e allievo, che aiuterà Donald a carpire i segreti di come farsi strada pur non avendo particolari abilità o meriti: con aggressività e arroganza. Tutto quello che vede lo deve possedere, che sia un terreno, una città o una donna, come la giovane modella cecoslovacca Ivana (Maria Bakalova). L’impianto, quindi, è quello che di solito si usa per raccontare l’ascesa dei gangster, ma qui non si passa dalla perdita dell’innocenza, ma da una spirale di voracità senza fondo, o almeno il fondo nessuno lo ha ancora visto…
Abbasi aggiunge un nuovo ritratto alla sua collezione di “mostri” socialmente accettati
Dopo il nerissimo racconto della cattura dello stupratore di Holy Spiders, Abbasi torna con un biopic all’apparenza convenzionale, se non riguardasse uno degli Americani più controversi di sempre. Come si può raccontare Donald J. Trump? Ali Abbasi sceglie di partire dalle basi, scavando alla radice di un personaggio apparentemente inafferrabile. Per farlo è necessario tornare ai primi anni ’70, quando un trentenne Trump vaga nei club esclusivi di NY alla ricerca della svolta sociale. Sebastian Stan è perfetto come giovane pacioso che maschera sotto l’aspetto ordinario un profondo cinismo. Il mentore ideale non può che essere l’avvocato Roy Cohn, un demone del foro più a suo agio con stratagemmi illeciti che con le abilità retoriche. Un altro uomo che vuole dominare la società abbracciando una tragica spirale individualista.
Tra i due si instaura una fruttuosa amicizia d’affari, che fornisce a Trump gli strumenti persuasivi per farsi spazio in una città in disarmo. Donald è il businessman rampante di un’America che vuole tornare grande, anche calpestando le classi povere. A suo modo un mostro socialmente accettato, come il ragno sacro che “ripuliva” i marciapiedi iraniani o i troll di frontiera dei precedenti film di Abbasi. Nello sguardo del regista iraniano, Trump è un ingranaggio del capitalismo totale che mastica società e rapporti sociali. Un uomo che perde un rapporto sano anche con il suo stesso corpo, in continua trasformazione tra innesti di cuoio capelluto e liposuzioni addominali. Un fisico in continua trasformazione per tenere il passo della voracità del suo proprietario. Una fame che passa indististamente dal junk food, ai palazzi di marmo o ai corpi femminili.
Maria Bakalova è Ivana Trump
The Apprentice ci ricorda il bisogno della comunità per resistere alle esistenze tristi plasmate dal capitalismo totale
Abbasi è attento nel descrivere una parabola autodistruttiva che vede Donald progressivamente tagliare i “rami secchi” in ambito familiare, amicale e amoroso. Il personaggio di Ivana è emblematico nell’esprimere la presenza vampiresca di Donald, che sembra dissanguare chiunque per placare una sete di grandezza fine a sé stessa. Vediamo Bakalova, infatti, trasformarsi da eccitata nuova ragazza a New York a spettrale concubina di Donald. Persino un uomo apparentemente inscalfibile come Cohn si disgrega progressivamente accanto a DT, che non esita a liberarsene come un rifiuto. Jeremy Strong è perfetto nel costruire un personaggio dai nervi d’acciaio che viene corroso da una malattia inconfessabile. Sorte ancora più malinconica tocca al fratello Fred, anch’egli escluso dalla vita di Donald una volta divenuto nocivo e inutile. Nel mondo di Donald non ci sono difficoltà o problemi, solo soluzioni a qualunque prezzo.
Il film è decisamente orientato verso l’affastellarsi di brevi quadri della biografia di DT che portano tutti alle stesse conclusioni sul giudizio morale sul personaggio. In alcuni momenti sembra incardinato su una sceneggiatura fin troppo esile che però centra il cuore del personaggio. Nel film vediamo tantissime vittorie di Trump, ma mai sconfitte esplicite, che arrivano come il prezzo speso nelle vite di alcune persone care. Una vita simile a quella di un buco nero da cui bisogna stare a distanza di sicurezza per non farsi risucchiare. Un corpo celeste solitario, da cui è bene stare lontani per non essere risucchiati.