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Sedicicorto

‘Burul’. Un inedito sguardo sul Kirghizistan

Un film che fotografa una realtà culturale spesso lontana dai riflettori occidentali, attraverso la vicenda di una studentessa liceale e il suo amore per il wrestling

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Burul

Burul di Adilet Karzhoev è presentato alla ventunesima edizione del Sedicicorto Forlì International Film Festival.

Il cortometraggio è una curiosa finestra su un mondo ignoto, uno scorcio di neanche quindici minuti su una parte del nostro pianeta che raramente passa sotto i riflettori, almeno quelli occidentali. Testimoniando la virtù del cinema nel rendere ciò che non è definito e limitato dai confini geografici e socio-culturali a cui l’occidente è abituato, la storia si fa assolutamente necessaria.

Proprio per questo motivo, ciò che il regista sceglie di portare sullo schermo diventa, per certi versi, narrativamente straniante e non di immediata comprensione. Si percepisce il senso generale di quanto sta accadendo, ma non si ha l’assoluta sicurezza di leggerlo nel modo corretto. È un film che invita, quindi, all’approfondimento di una cultura diversa e, spesso,  taciuta. Un approfondimento necessario per chiarire certe dinamiche, che ci rende consapevoli dell’altro e di culture lontane da noi.

Una nostra prima impressione dal Dieciminutifilmfestival di Frosinone la potete trovare qui.

Burul – trama

In una zona rurale del Kirghizistan, una studentessa delle scuole superiori (Adema Iskenderova) nutre una forte passione per il wrestling. Nonostante la sua determinazione, l’allenatore della scuola non le consente di allenarsi nella palestra maschile. Si ritrova così costretta a esercitarsi da sola a casa, dove incontra,  però, la disapprovazione del padre. Il genitore, convinto che il wrestling non sia uno sport adatto a una ragazza, le vieta di proseguire con gli allenamenti. Nel frattempo, come se non bastasse, un giovane di un villaggio vicino continua a tormentarla. Dopo aver fallito ripetutamente nel tentativo di parlarle, il ragazzo decide di rapirla con l’intenzione di sposarla.

Il cinema che insegna. Un triste fenomeno conosciuto come “Ala kachu”

La limitata padronanza della realtà kirghiza porta l’occhio occidentale a domandarsi a cosa stia assistendo effettivamente in un certo momento del film. Si oscilla tra il pensare a un rapimento e credere a un innocuo rito d’iniziazione. La verità è che quanto raccontato da Adilet Kharzoev è esattamente entrambe le cose.

La rappresentazione della pratica kirghiza conosciuta come “ala kachu”, tradotto in italiano come “il ratto della sposa”, destabilizza e lascia di primo acchito interdetti. Un’usanza che affonda le sue radici nei secoli di un sistema estremamente maschilista e patriarcale. Moltissime donne sono vittime di questo abuso ancora oggi. Il fenomeno crea un vortice di supina accettazione da parte delle comunità e risulta sempre più intenso man mano che ci si allontana dai grandi centri urbani, dove comunque rimane tristemente molto presente. Burul per questo motivo è un film di denuncia e di impegno sociale. Aspetto chiaro fin da subito, ma che, dopo un’analisi più approfondita,  appare ancora più coraggioso e necessario. La generazione più giovane, schiacciata da un sistema troppo obsoleto e irrispettoso, vede nella giovane interprete una coraggiosa protagonista. Il suo “urlo” di indignazione diventa visivo, filmico e per questo più efficace e condivisibile.

Lo sport è metafora di emancipazione e libertà

In Burul lo sport, ancora una volta, come in molti film prima, diventa simbolo di libertà. Ostentare lo sguardo fisso sul manichino, con cui la protagonista si allena, assume così una molteplicità di significati che travalica le apparenze. Il wrestling è il modo più libero e al contempo violento con cui una giovane ragazza può esprimere la propria ribellione. Con il procedere dei minuti, lo sport da fine si trasforma in strumento e in questo il film non può essere più chiaro di così. Ed è lo stesso carattere universale dello sport, unito alla potente leva cinematografica, che permette di leggere il messaggio più vero fin da subito, nonostante la lontananza culturale. Il manichino diventa, secondo questa logica, sia trasfigurazione delle coercizioni a cui l’oppresso si oppone sia simbolo di speranza.

Burul rinnova la speranza di riconoscere e di promuovere cinematografie sempre più internazionali e non solo

Burul ci dovrebbe insegnare che quando non si trovano contenuti artistici validi, forse, è perché non li si sa cercare. Ci insegna anche come sia necessario parlare dell’attualità per rendere appetibile un cinema che spesso decidiamo di bollare a priori come “destinato al declino”. Saper rinnovarsi, parlando di ciò che è il presente, è forse uno dei grandi insegnamenti che andrebbero tratti da pellicole di questa portata.

Le ingiustizie vanno raccontate e raramente un corto è in grado di farlo con questa intensità e delicatezza. Il tempo a disposizione, in questi casi, è limitato rispetto a un lungometraggio.  Saper compendiare in poco spazio tematiche complesse, donandogli dignità, non è per niente semplice. Burul ci riesce, regalando una visione che promuove uno sguardo più completo sul mondo e che crede in un cinema incapace di voltarsi davanti alle prevaricazioni.

Burul

  • Anno: 2023
  • Durata: 14'
  • Genere: Dramma sportivo
  • Nazionalita: Kirghizistan
  • Regia: Adilet Karzhoev