Non è una scoperta vedere come il Vermiglio di Maura Delpero sia un’opera già matura nonostante si tratti della seconda opera di finzione della regista che vanta, però, una carriera ventennale dietro la macchina da presa. Maura Delpero dimostra grande coraggio e soprattutto grande padronanza del mezzo cinematografico che utilizza sapientemente come una vera e propria veterana.
Vermiglio dimostra, ancora una volta, che il cinema italiano è in grado di raccontare tanto, in un modo unico.
La trama di Vermiglio di Maura Delpero
In quattro stagioni la natura compie il suo ciclo. Una ragazza può farsi donna. Un ventre gonfiarsi e divenire creatura. Si può smarrire il cammino che portava sicuri a casa, si possono solcare mari verso terre sconosciute. In quattro stagioni si può morire e rinascere. Vermiglio racconta dell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale in una grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato rifugiato, per un paradosso del destino, essa perda la pace, nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria. (Fonte: Biennale)
La recensione
Per poter parlare di questo film è inevitabile un richiamo al precedente lavoro della regista trentina, Maternal, dal quale riprende alcuni dei tratti principali rielaborandoli e mostrandoli da un altro punto di vista.
Se in Maternal, rispetto ai primi titoli non di finzione, la regista ha la possibilità di portare al centro ed elaborare in maniera più precisa il tema della maternità, in Vermiglio, che pur non taglia il cordone che lo lega al primo, sono tempo e spazio i coprotagonisti della vicenda.
Aprendosi nel silenzio e mostrando lo sterminato paesaggio che si stende davanti agli occhi dello spettatore e a quelli dei protagonisti, la Delpero ci mette subito di fronte al fatto compiuto: quella che vedremo sarà una storia semplice eppure complessa, dalla quale riuscire a trarre insegnamenti così come i bambini e gli adolescenti del paese tentano di fare seguendo le lezioni di un maestro progressista o presunto tale.
Un mondo naturale, rurale e contadino, quello che Maura Delpero descrive e mostra in Vermiglio, ma anche un mondo che cerca di andare avanti nonostante la guerra che continua a incombere. Come i suoni degli animali e della natura rompono improvvisamente il silenzio, così anche tutte le conseguenze della guerra (e non solo) arrivano all’improvviso e colpiscono senza fare distinzioni. Eppure la guerra non è colpa di nessuno. Ma anche senza colpe ha ripercussioni inevitabili. E la famiglia Graziadei ne è la dimostrazione.
Una guerra silenziosa
Apparentemente una storia semplice: una famiglia che cerca di sopravvivere nel suo paesino di pochi abitanti. In realtà dietro a VermiglioMaura Delpero nasconde molta più sensibilità di quanta si possa pensare.
Usando come tramite, prima l’infanzia e l’adolescenza, poi l’innocenza e l’ignoranza del mondo contadino, la regista tratteggia quello che è il quadro generale dell’intero film: la scoperta del mondo, attraverso i legami, l’amore e anche la sessualità.
Con un incedere molto lento e delicato, come se il tempo si fermasse o fosse inesorabilmente bloccato, o meglio congelato, si dipanano le guerre di tutti coloro che sono rimasti a casa e che devono obbedire o far fronte alle problematiche che si vengono a creare.
Forse se fossero tutti vigliacchi non ci sarebbe più la guerra.
Ma ci sono le ripercussioni che essa porta con sé e che non sono solo il soldato sopravvissuto che trova un nuovo amore, ma sono anche il condividere momenti, situazioni e comprendere quale sia la miglior decisione possibile per un futuro che non si può cambiare.
Individualità vs collettività in Vermiglio di Maura Delpero
Quello che aleggia nell’aria è l’odore della guerra, combattuta dai soldati e vissuta anche dai comuni cittadini. Una guerra, però, quasi al culmine che segna, oltre che un momento storico importante per l’Italia e per il mondo, anche un momento di passaggio, un passaggio da quella che era una sensibilità collettiva vissuta dalla famiglia intera alle prese con i tanti figli e le tante bocche da sfamare a una sensibilità individuale, come sottolineano i volti dei personaggi al termine.
E fa riflettere il fatto che nel momento in cui l’Italia, e il mondo intero conseguentemente, trova pace è la famiglia protagonista a perdersi e a non mantenere come parte di sé quella dimensione intima che fin da sempre l’aveva caratterizzata.
Parole e silenzi
A farla da padrone, come anticipato, non è la storia né tantomeno il personaggio, quanto piuttosto tutto ciò che circonda. Il paesaggio rurale e quello contadino, con le loro regole, diventano i veri protagonisti della storia dando modo a Maura Delpero di esprimersi in maniera superlativa nel suo Vermiglio, quando da uno specchio, quando dal pertugio di una finestra, quando da altri spiragli a disposizione.
Interessanti le interpretazioni dei protagonisti, molti dei quali alla prima esperienza, senza dimenticare un convincente Tommaso Ragno, nel ruolo di padre-insegnante, ma anche le, seppur brevi, presenze di Carlotta Gamba e Sara Serraiocco che, in perfetto stile con la storia mostrata, limitano al minimo le parole, andando ad aumentare quel silenzio quasi magico che aleggia nell’aria di Vermiglio. Un’aria dove sono le figure femminili a imporsi, a diventare quel qualcosa che fino a quel momento è solo rimasto in disparte. E la stessa Maura Delpero ne è la chiara dimostrazione.
Un’opera completa dove il non detto dice molto di più delle parole e dove, con qualche intermezzo semicomico, la responsabilità di un futuro migliore è nelle mani dei più piccoli.
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