Con le trasformazioni sempre più radicali dell’industria cinematografica, nascono anche nuove forme di produzioni di cinema indipendente, che trovano nella casa di produzione A24 il loro idolo. Proprio loro hanno saputo ridare lustro e risalto alle opere di genere di cui il pubblico sembrava essersi stancato. Il loro genere forse più rappresentativo è senza dubbio l’horror.
Robert Eggers, Ari Aster e altri promettenti registi riescono a esordire grazie alla casa di produzione di New York e l’orrorifico filmico rivive in opere autoriali dal grandissimo impatto. E, fra tutti loro, si fa notare un cineasta che attualmente ha quarantotto anni, talmente fanatico dell’evoluzione storica dell’horror cinematografico da rendere multiforme e originale il suo linguaggio registico.
Il suo nome è Ti West, un uomo talmente ossessionato dal cinema da realizzare, nel giro di cinque anni, una trilogia di film dell’orrore che si conclude con l’imminente MaXXXine, in uscita nelle sale il 29 Agosto e distribuito da Lucky Red e Universal. In questo articolo approfondiremo non solo la spietata bellezza, ma anche l’importanza che ha e avrà la seducente Trilogia di “X”.
Ti West prima di “X“
Il regista di Wilmington debutta nel 2001, dopo aver finito gli studi presso la School of Visual Arts di Manhattan, con il suo primo cortometraggio, The Wicked, di cui è regista, sceneggiatore e montatore. Da lì, inizia a lavorare su produzioni a bassissimo budget, di cui alcune ricevono un discreto riscontro.
Tra i suoi sette film prodotti dal il 2005 al il 2016 rimangono degni di nota The House of The Devil (2009), The Innkeepers (2011) e The Sacrament (2013), che rendono West un nome di spicco nell’underground dell’horror statunitense.
Nel 2016 lavora per la prima volta con la Blumhouse Productions nella lavorazione de Nella valle della violenza, con Ethan Hawke e John Travolta, e da lì trascorrono sei anni prima del suo film successivo, anche a causa del blocco pandemico di inizio anni ’20.
West inizia le riprese di X – A Sexy Horror Story nel marzo 2021 in Nuova Zelanda, per poi cominciare, incredibilmente, quelle di Pearl pochi mesi dopo, sempre nelle stesse location del film precedente.
X – A Sexy Horror Story

Nel Texas del 1979, una troupe di sei persone si organizza per girare un film porno all’interno di un casolare in una vecchia fattoria data in affitto dall’anziano e sinistro proprietario.
La prossima più preoccupata della situazione è Maxine Minx (Mia Goth), fidanzata del produttore Wayne Gilroy (Martin Henderson), che, mentre gira per la fattoria, conosce la vecchia moglie del proprietario, che le dice di rivedersi molto in lei.
Da lì a poco, la situazione inizierà a sfuggire di mano e le tinte rosse dell’erotismo si mescoleranno a poco a poco con quelle del sangue e della carne lacerata.
Il film, anche a causa della lenta risalita dei botteghini mondiali, fatica a imporsi a livello economico, e di critica, divisa molto dalle scelte pecuniarie di Ti West.
Ma, proprio grazie a queste scelte, emergono la conoscenza filmica e il talento del regista. X – A Sexy Horror Story si racconta sotto gli occhi di un avido fruitore di cinema, per cui gli Anni ’80 devono essere resi con l’occhio registico degli ’80, con Non aprite quella porta di Tobe Hooper e Hardcore di Paul Schrader come riferimenti assoluti.
Così appare l’America degli Ottanta, dove il sogno di successo marcisce, dove l’American Dream deve passare per il mercato del porno, e dove il sogno femminile di fama e celebrità si tramuta in una truculenta ossessione spasmodica.
E l’ossessione di fama diviene un tutt’uno con l’ossessione sessuale, miscelando il cinema d’intrattenimento con quello pornografico, e di conseguenza le ambizioni artistiche ad essi legate. Ne è simbolo il personaggio di R.J Nichols, interpretato da Owen Campbell, che trova nel porno un nuovo modo per raccontare il suo cinema d’autore.
Il gruppo di vittime sacrificali rappresenta ancora di più la caduta progressiva della moralità americana, come la santarellina Raine Day (Jenna Ortega) ed il produttore Wayne Gilroy, personaggio praticamente uscito da Boogie Nights. Così come Maxine Minx, la protagonista, una Mia Goth che diverrà musa di West per i prossimi due anni.
I sogni di successo e di fama cinematografica di Maxine si scontrano con quelli infranti dell’anziana Pearl (la stessa Mia Goth perfettamente nascosta dal trucco prostetico), così come l’invidia della bellezza giovanile e la necessità di amore di una si scontrerà con il ripudio dell’empatia che l’altra possiede.
Tutto questo adoperato da un Ti West schietto nel suo modo di generare violenza e paura, mai troppo spettacolare e mai finto o fuori dal plausibile. Il suo montaggio è affilato, con scene splatter che paiono proiettili, pronte a colpire in un secondo lo spettatore al cervelletto.
West, rifacendosi al cinismo del cinema di inizi ’80, affonda il colpo e infrange il ricordo di un sogno che pare oramai appassito. Ma per comprendere (e avvelenare) ancora di più la speranza della gioventù americana bisogna scavare ancora più alla radice.
Pearl

Con Pearl Ti West fa un passo temporale all’indietro, e così il suo cinema. Niente più Anni ’80. Ora si torna nei ruggenti ’20, dove la realtà sognante alla Il mago di Oz regna sovrana, e con essa anche quella dei primi musical.
Ci troviamo nel Texas di fine Anni ’10, nella stessa fattoria delle vicende di X – A Sexy Horror Story, dove la giovane Pearl (Mia Goth), con il marito Howard (Alistair Sewell) impegnato in guerra in Europa nelle fasi finali del Primo Conflitto Mondiale, un padre (Matthew Sunderland) paralizzato e ridotto allo stato larvale e la dispotica e bigotta madre Ruth (Tandi Wright) che la opprime continuamente, vive tranquilla in campagna, sognando una vita di soddisfazioni e di successo come ballerina, rivedendosi nella giovani danzatrici del cinematografo.
Pian piano, i suoi desideri le appaiono sempre più irraggiungibile, e Pearl inizia a reagire in modo sempre più violento, cercando di reprimere i suoi piccoli attimi di rabbia dando da mangiare al suo coccodrillo e sbarazzandosi di chiunque consideri ostacolo al suo sogno di gloria.
La maestria di West con cui passa da un linguaggio stilistico a un altro totalmente differente è a tratti sorprendente. Dal buio lercio della tipica notte slasher di X, la fattoria di Pearl si ridipinge di colori sempre luminosi e vivaci, ed il terreno diviene una bucolica cartolina della vita di campagna americana, fatta di falsi sorrisi e dell’obbligo di trovare il meglio da ciò che si ha.
Ma di mezzo c’è il Fattore X, il sogno di successo irrealizzabile di Pearl che, lentamente, corrompe non solo la mente della protagonista ma anche il lato visivo della pellicola. Più vicino cerca di avvicinarsi al successo, più incontra ostacoli che le impediscono di proseguire e di cui presto dovrà liberarsi.
Ancora una volta, West gioca eccellentemente sul tema dell’ossessione e del desiderio. Questa volta con una loquela talmente irreale da divenire ben presto inquietante, mostrando come anche alle sue radici il grande American Dream fosse talmente irraggiungibile da divenire mortale.
Da sottolineare come West si occupi interamente del montaggio di tutti e tre i film, qualità che ne contraddistingue non solo la versatilità, ma anche l’intera carriera filmica.
MaXXXine

Due anni dopo l’uscita back-to-back delle prime due parti, si completa il cerchio con l’ultima della trilogia, MaXXXine, nuovo capitolo della storia della protagonista di X – A Sexy Horror Story.
Sei anni dopo il massacro della fattoria in Texas, Maxine (Mia Goth) è una persona nuova. Vive a Los Angeles, anelando ancora a divenire attrice nonostante il passato da pornoattrice.
Nonostante ciò, riesce a ottenere la sua prima parte importante nell’horror La Puritana II, grazie al sostegno della regista Elizabeth Bender (Elizabeth Debicki). Ma quando tutto sembra andare per il verso giusto, qualcuno inizia a osservarla nell’ombra, mandandole una cassetta con dentro le prove della polizia del violento incidente di anni fa.
Maxine non è più la ragazzina impaurita di una volta, e inizia a dare la caccia al misterioso stalker, con l’obiettivo di abbandonare per sempre i traumi del suo passato per dare inizio a un nuovo, luminoso futuro.
Maxine ha raggiunto la città dei suoi sogni, pronta a sfondare a Los Angeles, la città degli angeli, o in questo caso, del Diavolo in persona.
Hollywood cambia ancora una volta la forma artistica del cinema di West, portandolo in una realtà marcia fino al midollo, dove il mondo dell’eccesso, di abusi di droghe e della pornografia sempre più presente diviene la normalità rispetto al marciume nascosto dietro alle false promesse dei massimi sistemi, quello religioso e quello cinematografico.
Con la struttura del thriller puramente alla Brian De Palma (Vestito per uccidere, Omicidio a luci rosse), West crea l’antagonista perfetto ai sogni di Maxine: Hollywood e di conseguenza il Cinema stesso, che cerca di ostacolarla in tutte le forme conosciute di antagonismo cinematografico.
Con un’ultima dichiarazione d’amore al cinema (con citazioni mai velate alle opere di Hitchcock e di tanti altri), il regista pone Maxine, figura simbolica del sogno cinematografico, di fronte al suo incubo peggiore, il Cinema stesso, le sue trame, i suoi sotterfugi, tutti attuati a nascondere il volto vero ed ipocrita, che non fa che opacizzarne la lucentezza.
Il Sogno Americano diviene un Incubo, e da questa trilogia dell’Incubo potrà uscire vittoriosa solo la Final Girl per antonomasia, pronta a tutto per sconfiggere il passato (suo e del Cinema) che la logora e divenire la star che desidera essere.
Editing: Margherita Fratantonio