Il silenzio degli innocenti uscì nel febbraio del 1991 ed è l’undicesima opera da regista di Jonathan Demme, che due anni più tardi firmerà un altro cult come Philadelphia con Tom Hanks. Thriller psicologico interpretato da Anthony Hopkins e Jodie Foster, il film è tratto dal best-seller di Thomas Harris, che ha superato gli 11 milioni di copie vendute. L’anno successivo, agli Oscar, entrò nella storia diventando la terza pellicola in assoluto ad aggiudicarsi i cosiddetti “Big Five”, ovvero i cinque premi più prestigiosi: Miglior film, Miglior regia, Miglior attore protagonista, Miglior attrice protagonista e Miglior sceneggiatura non originale. Attualmente è disponibile su Netflix.
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Il silenzio degli innocenti: la trama
La trama è nota ai più. La giovane e tormentata Clarice Starling, tra le più promettenti reclute dell’FBI, viene incaricata dal suo superiore Jack Crawford di interrogare il pericoloso pluriomicida Hannibal Lecter, un tempo brillante criminologo e ora rinchiuso in un manicomio criminale, con l’obiettivo di ottenere informazioni utili alla cattura del brutale serial killer soprannominato “Buffalo Bill”.
I due avranno modo di conoscersi e stringeranno presto un patto: Lecter aiuterà Clarice a stanare l’assassino che ama “scuoiare gobbe” se lei, in cambio, gli aprirà la propria mente, consentendogli di risalire alla fonte dei traumi che la affliggono sin dall’infanzia. Ha così inizio un imprevedibile e inquietante duello psicologico.
Un capolavoro che ha fatto scuola
Il silenzio degli innocenti è la prima opera capace di elevare il genere thriller, sradicandolo dalla sua mera accezione commerciale e conferendogli un forte valore simbolico. Il film di Demme vive di metafore visive e concettuali: la farfalla-lepidottero come simbolo della transizione del killer, il grido degli agnelli come incarnazione delle angosce di Clarice, la semplicità del desiderio come origine del turbamento, tanto del mostro quanto della protagonista.
È, in questo senso, uno degli esempi più riusciti di thriller psicologico dell’era post-hitchcockiana. La caccia a Buffalo Bill si sviluppa infatti più nei percorsi psicoanalitici dei protagonisti che nelle classiche indagini di polizia. Il concetto di immedesimazione psicologica nell’assassino come strumento essenziale per catturarlo influenzerà profondamente il genere, aprendo la strada a opere come Seven di David Fincher.
La forza sta nei personaggi
Il rapporto tra Lecter e Starling è il vero perno della pellicola. Da un lato la fredda razionalità della giovane agente, spesso utilizzata per celare inquietudini e insicurezze; dall’altro la curiosità morbosa e l’approccio quasi paterno di Hannibal, che nasconde in realtà l’istinto del predatore intento a studiare la propria vittima.
Il rapporto tra poliziotto e criminale si trasforma rapidamente in quello tra medico e paziente, con un’inversione di ruoli sorprendente: è il dottore a prendere il comando, smascherando con dialettica implacabile le fragilità dell’animo umano. Il percorso di Clarice diventa così una riscoperta di sé, resa possibile dall’accettazione delle ombre del passato, da trasformare in una corazza per affrontare Buffalo Bill.
Un comparto tecnico ineccepibile
La vera forza del film di Demme risiede nel suo equilibrio. Pur affrontando temi filosofici e simbolici — dalle citazioni di Marco Aurelio alla claustrofobia ricorrente, fino ai rimandi artistici a Salvador Dalí e Francis Bacon — The Silence of the Lambs non rinnega mai la sua natura di thriller. La tensione resta costante fino all’ultima inquadratura, senza mai disperdersi in digressioni fuori contesto.
La regia è misurata e mai invadente, completamente al servizio della storia. Fondamentale il contributo della colonna sonora di Howard Shore, sospesa tra tensione e lirismo, e la fotografia di Tak Fujimoto, fredda ma allo stesso tempo accogliente, capace di amplificare l’inquietudine senza mai sovrastarla.
Il tempo lo ha reso immortale
A oltre trent’anni dall’uscita, Il silenzio degli innocenti continua ad affascinare perché il cuore del film non risiede tanto nella risoluzione del caso, quanto nel processo mentale che conduce Clarice a pensare come il killer. Un meccanismo che coinvolge direttamente lo spettatore e ha garantito alla pellicola una straordinaria longevità, influenzando cinema e letteratura contemporanei.
Indimenticabili due sequenze su tutte: il dialogo sugli agnelli nella prigione di Memphis e la spettacolare fuga di Lecter, dieci minuti di cinema ancora oggi capaci di mettere i brividi.
Il silenzio degli innocenti è un capolavoro senza tempo, in cui qualità cinematografica ed efficacia narrativa si fondono in modo esemplare. La sua forza risiede nell’introspezione psicologica dei personaggi, che relega in secondo piano l’indagine poliziesca tradizionale. Le interpretazioni sono memorabili, il comparto tecnico impeccabile e la regia di Demme resta un modello di equilibrio e intelligenza cinematografica.
Jonathan Demme: non solo;Il silenzio degli innocenti’