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Il cinema messicano: dieci film da vedere

Breve focus sulla cinematografia messicana, sempre più apprezzata e conosciuta grazie a un gruppo di registi divenuti famosi nel mondo

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L’uscita in sala dell’interessante Totem – Il mio sole di Lila Avilés, regista quarantaduenne di Città del Messico, offre lo spunto per un breve focus sulla cinematografia messicana che, da qualche anno, sta producendo film di grande valore artistico realizzati da alcuni registi divenuti famosi nel mondo e apprezzati nei vari festival internazionali.

Un po’ di storia

Una storia, quella del cinema messicano, che lega le sue vicissitudini alle varie situazioni politiche che, nel corso degli anni, si sono succedute nel paese, fra spinte riformatrici e altre più moderate. Con alternanza di periodi di crisi economica ad altri di grande sviluppo economico.

A partire dagli anni Trenta del secolo scorso, dopo il fallimento del muto messicano, troppo condizionato dalla concorrenza hollywoodiana, il cinema in Messico inizia a prendere quota. È in questo periodo che arriva nel paese latino-americano Sergej Michajlovič Ejnzenštein, fra i maggiori cineasti sovietici, per realizzare, con fondi statunitensi, ¡Que viva Mexico! , un film sulla rivoluzione zapatista.

È nel clima di fervore degli anni Trenta, sino alla metà degli anni Cinquanta, che si affermano in Messico registi importanti quali Julio Bracho, Alejandro Galindo, Roberto Galvadón, Emilio Fernández, che vincerà la Palma d’Oro a Cannes nel 1946 con Maria Candelaria.

L’arrivo di Buñuel

È proprio nell’anno del trionfo in Francia del film di Fernández che sbarca in Messico, proveniente dalla nativa Spagna, Luis Buñuel. L’autore di Un chien andalou, L’âge d’or e Las hurdes, si trasferisce nel paese americano dopo la sconfitta della Repubblica nella Guerra civile spagnola. In Messico rimarrà per circa una ventina d’anni, realizzando ventuno lungometraggi, alcuni “veramente brutti” come affermerà egli stesso, ma altri di grande valore artistico, come, per citarne alcuni, Los olvidados (1950), El (1953), Nazarin (1958), Viridiana (1961), Simon del deserto (1964).

Dalla metà degli anni Cinquanta il cinema messicano affronta una lunga crisi che si protrae per un decennio, con il proliferare di film di genere, spesso di livello medio-basso, in cui però emergono alcuni registi che propongono film autoriali. Oltre allo stesso Buñuel, vanno citati Fernando Mendez, Rogelio A. Gonzales e, soprattutto, Luis Alcoriza, uno spagnolo trapiantato in Messico che inizia la sua carriera cinematografica come sceneggiatore per poi dedicarsi alla regia.

Dai Sessanta ad oggi

Gli anni Sessanta e i Settanta sono quelli che vedono svilupparsi un cinema indipendente, slegato dalle grandi case di produzione, che prende spunto dalla “Nouvelle vague” francese, dando vita a una nuova generazione di cineasti. Sono anni in cui lo stato sostiene e promuove un cinema d’autore, ottenendo diversi risultati fra cui la nascita di un gruppo di sei autori esponenti di un vero, nuovo cinema messicano.

Registi quali Felipe Cazals, Arturo Ripstein, Jaime Humberto Hermosillo, Jorge Fons, Eduardo Mendoza e Paul Leduc, realizzano un cinema che ha, come tematiche principali, un’ aspra critica sociale che mette in discussione le varie istituzioni quali la famiglia, il patriarcato, il carcere.

È l’inizio di un percorso che porterà, in poco più di un decennio, agli esordi di vari autori quali Alfonso Cuarón, Alfonso Arau, Guillermo Del Toro, ai quali si aggiungeranno, nel corso degli anni Duemila, i vari Alejandro Gonzales Iñarritu, Michel Franco, Carlos Reygadas, Lila Avilés, Gael García Bernal (più conosciuto come attore per aver lavorato con vari filmaker fra cui il cileno Pablo Larrain), Diego Luna e Alonso Ruizpalacios.

Dieci film provenienti dal Messico da non perdere

Lampi sul Messico (Sergej M. Ejnzenštein, 1933)

Il più famoso fra i quattro film realizzati con il materiale girato da Ejnzenštein per ¡Que viva Mexico! e mai finito di montare dal regista sovietico, richiamato in patria senza che il materiale gli venisse mai restituito.

Sullo sfondo della Rivoluzione zapatista, Ejnzenštein racconta la vicenda di un giovane peone che si ribella alle violenze e allo sfruttamento del padrone in un disperato quanto sterile sogno di libertà.

Nel 1979 l’allora aiuto regista di Ejnzenštein Grigorij Vasil’evič Aleksandrov realizzò una versione di Que Viva Mexico! partendo dalle pizze originali e dagli appunti del grande regista.

Infine, nel 2015, il regista britannico Peter Greenway gira Eisenstein in Messico (visibile sulla piattaforma Mubi), che narra del periodo messicano del regista sovietico.

La versione di Alexandrov di ¡Que viva Mexico! è disponibile su Prime Video.

Los olvidados (I figli della violenza) (Luis Buñuel, 1950)

Fra i capolavori messicani di Luis Buñuel, Los Olvidados (letteralmente “I dimenticati”, ma in Italia è conosciuto anche con il titolo di I figli della violenza) è un film a sfondo sociale ambientato nella periferia di Città del Messico. La macchina da presa segue alcuni ragazzi di strada nel loro vagabondare in un mondo estremamente feroce, disseminato di anime perse per le quali la speranza di redenzione non esiste e dove trionfano la miseria e la lotta fra poveri per la sopravvivenza.

Dichiaratamente ispirato al Neorealismo italiano, Los olvidados è stato molto criticato alla sua uscita per la sua carica di ferocia e per l’assenza di soluzioni costruttive.

Il film, che ottenne il Premio per la miglior regia a Cannes, è visibile su YouTube e Prime Video.

Profundo carmesí (Arturo Ripstein, 1996)

Ambientato nella provincia povera messicana alla fine degli anni Quaranta, Profundo carmesí, diretto da Arturo Ripstein è un noir dalle tinte estremamente fosche in cui un’infermiera (Regina Orozco), madre di due bambini, si innamora perdutamente di un criminale (Daniel Giménez-Cacho) – che si spaccia per sosia di Charles Boyer, di cui la donna è perdutamente innamorata – diventandone complice. I due cominciano a orchestrare piani che prevedono che sia la donna ad avvicinare le vittime, per poi lasciarle in pasto al compagno.

Amores perros (Alejandro Gonzales Iñarritu, 2000)

Le storie di tre personaggi si incrociano in una caotica Città del Messico dove pesano le diseguaglianze sociali e, soprattutto, le molte solitudini.

Lo sguardo di Iñarritu, qui alla sua prima regia, è di quelli duri e spietati, privi di speranza. Amores perros è un film in cui trionfa la violenza e si dà sfogo alla rabbia accumulata attraverso combattimenti di cani cruenti e feroci. In una megalopoli da venti milioni di abitanti che mostra tutte le sue, profonde, contraddizioni.

Il film, che vede l’esordio come attore cinematografico di Gael Garcia Bernal, è disponibile su Prime Video.

Il labirinto del fauno (Guillermo del Toro, 2006)

Secondo film, dopo La spina del diavolo, di una dilogia fantastica scritta, diretta e prodotta da Guillermo del Toro.

Ambientato in Spagna nel 1944 dove sono in corso degli scontri fra i ribelli e i fedeli alla dittatura del Caudillo Francisco Franco, fra cui milita il feroce capitano Vidal (Sergi Lopez). Questi ordina alla moglie di raggiungerlo nel suo avamposto in mezzo al bosco per dare alla luce il figlio che stanno aspettando. La donna, obbedendo al marito, porta con sé Ofelia (Ivana Baquero), la figlia avuta da un precedente matrimonio. Ofelia, spaventata dal clima che si sta creando, inizia a viaggiare con la fantasia, entra in un bosco e lì incontra il fauno (Doug Jones) che la sottoporrà a tre prove di coraggio che serviranno a stabilire la vera identità della ragazza.

Film profondamente antifranchista Il labirinto del fauno è un film che tratta i temi tipici del regista, puntando sul contrasto fra la tragica realtà e un mondo fantastico e, per questo, felice.

Film disponibile su Sky Tv e Now Tv.

Roma (Alfonso Cuarón, 2018)

L’ultimo, sino ad ora, lungometraggio di Alfonso Cuarón, prende il titolo da Colonia Roma, il quartiere di Città del Messico in cui si svolge l’azione. Il punto di vista è quello di Cleo (Yalitza Aparicio), tata e domestica in una famiglia borghese nel 1970, l’anno delle rivolte studentesche contro il governo represse nel sangue.

Vita privata e sociale si alternano dandoci uno spaccato del Messico di quel periodo, così come, ben rimarcato, è il dualismo fra classi borghesi e classi meno abbienti.

Girato in bianco e nero, con scelte stilistiche particolari, il film ha vinto il Leone d’oro al Festival del Cinema di Venezia ed è stato definito dallo stesso Cuarón come semi-autobiografico, con scene che si rifanno alla sua infanzia.

La recensione di Roma

Film disponibile su Netflix.

Nuevo orden (Michel Franco, 2020)

In Messico, in un futuro distopico, una violenta rivolta sta imperversando nel paese. Durante una festa di matrimonio dell’alta borghesia messicana, con invitati vari rappresentanti della classe imprenditoriale e politica del paese, arriva un vecchio servitore per chiedere in prestito i soldi per operare la moglie gravemente malata. L’unica a prendersi a cuore la vicenda sarà Marianne, la sposa (Naian González Norvind) la quale, dopo aver racimolato un po’ di denaro, si allontana dai festeggiamenti per recarsi a casa dell’uomo che, nel frattempo, si era allontanato scoraggiato.

Successivamente, dopo la partenza di Marianne, nella villa irrompono i rivoltosi sparando all’impazzata, ferendo e uccidendo molti dei presenti.

Nuevo orden segue, così, l’evolversi della rivolta che, ben presto, si trasforma in una guerra. Molti giovani delle classi agiate – fra i quali anche Marianne – verranno imprigionati da un gruppo di militari e sottoposti a violente torture.

In un crescendo di violenza i militari prenderanno il potere, instaurando un regime di terrore e imponendo alla popolazione drastiche misure di limitazione delle libertà personali.

Nuevo orden è il racconto di un paese dilaniato da enormi diseguaglianze, in cui la stragrande maggioranza della popolazione è costretta dalla classe più facoltosa a vivere in condizioni di estrema povertà.

Con Nuevo orden Michel Franco pone l’attenzione sul fatto che, se le diseguaglianze sociali non vengono risolte in maniera civile, a prendere il sopravvento è il caos, con conseguenze devastanti per tutta una nazione.

La recensione di Nuevo orden.

Il film è disponibile su Prime Video, Rakuten e Apple Tv.

Selva tragica (Yulene Olaizola, 2020)

Ambientato negli anni Venti del secolo scorso nella selva al confine fra Messico ed ex Honduras britannico (ora Belize), Selva tragica segue la vicenda drammatica di Agnes (Indira Andrewin), una giovane e bellissima donna indigena fuggita dal suo tirannico padrone inglese, che cade nelle mani di un gruppo di estrattori di gomma che lavorano nella giungla.

La presenza della donna innesca fra gli uomini una serie di tensioni, stimolando in loro fantasie e desideri sessuali. Solo in un secondo tempo si renderanno conto di aver risvegliato nella giovane donna un leggendario demone femminile che si nasconde nella foresta e che, secondo le antiche credenze Maya, attira gli uomini con la propria bellezza portandoli alla morte dopo essersi accoppiata con loro.

Un film oscillante fra il drammatico e il misterioso, che sviluppa la sua storia con una tensione costante, instillando nello spettatore una disorientante inquietudine. Agnes, trasformandosi nel demone, diventa la vendicatrice di un mondo incontaminato, violentato dall’uomo, mettendo così in evidenza la tematica principale del film, cioè lo scontro fra uomo e natura che diventa scontro fra uomo e donna in una società prettamente patriarcale.

La recensione di Selva tragica.

Il film è disponibile su Netflix.

Un film poliziesco (Alonso Ruizpalacio, 2021)

Teresa e Montoya, coppia nella vita, sono entrambi poliziotti a Città del Messico. Nel film di Ruizpalacio i due si raccontano in un film che può essere considerato un reportage sulle forze dell’ordine messicane, con le testimonianze che si alternano alle scene d’azione.

Poi, improvvisamente, quello che sembra un documentario si trasforma in un film di finzione con due attori, Mónica Del Carmen e Raúl Briones, che si sovrappongono ai due veri poliziotti per entrare in polizia e filmare, di nascosto, la realtà che vedono.

Il film è disponibile su Netflix.

Totem – Il mio sole (Lila Avilés, 2023)

L’opera seconda di Lila Avilés si svolge quasi completamente in una grande casa padronale di Città del Messico ed è imperniata sulla figura di Sol (la piccola Naíma Sentíes), una bambina di sette anni che partecipa ai preparativi per la festa di compleanno del padre, un uomo debilitato dal cancro che lo sta consumando.

Durante la lunga giornata che precede la festa, fra l’arrivo di parenti e amici e con il padre malato chiuso in camera, Sol inizierà a rendersi conto di come, a breve, la sua vita cambierà definitivamente.

Totem – Il mio sole è un film che tratta in modo estremamente delicato e intimo vari temi quali la malattia, la morte contrapposta alla vita, i legami familiari e di amicizia. Lo fa secondo la prospettiva di Sol che si rivelerà essere forte come gli adulti, se non di più, dimostrandolo con quello sguardo che ci rivolge di fronte alle candeline della torta di compleanno.

La recensione di Totem – Il mio sole

L’immagine di copertina è tratta da un frame di Maria Candelaria (Emilio Fernández, 1944)

Gli articoli di Marcello Perucca