‘The Holdovers’, il racconto di un nuovo inizio

Arriva un momento in cui ognuno di noi deve fare delle scelte, dimenticando i compromessi lasciati sul proprio cammino. Succede anche quando credi di aver trovato un equilibrio, un riparo tranquillo, la sintesi di quello che, se non ti rende felice, almeno ti fa vivere in pace. Succede a Paul Hunham, professore di storia nel perstigioso ed eslusivo liceo Barton nel New England, a uno dei suoi allievi, Angus Tully, forse il più sensibile di tutti, e a Mary, la cuoca che ha appena perso il figlio in Vietnam. Sono le vacanze di Natale che celebrano l’entrante 1971. È il nuovo bello e delicato film di Alexander Payne. È un altro inizio, un modo diverso di essere famiglia, di sentirsi uniti. Presentato fuori concorso al 41 Torino Film Festival, The Holdovers è prodotto da CAA Media Finance.

La mimica dei dialoghi

La sceneggiatura di David Hemingson è un manufatto di assoluto pregio che coincide perfettamente con le volontà della macchina da presa di Payne. La collocazione dei punti di svolta, la facile identificazione di tutti i personaggi, e, soprattutto, i dialoghi animisti sono il volano che decide la forza di questa storia, raccontata con l’eleganza, l’ironia e la grande umanità dei suoi protagonisti. Al di fuori dei propri ruoli, Paul, Angus e Mary si trasformano in un nucleo di mutua assistenza. Il dolore di ognuno è la chiave di volta per stringere il legame con l’altro e serrarlo sempre più forte. La posta in palio è la stima per la propria esistenza, per quella che è e per quella che sarà. Paul Giamatti, l’esordiente Dominic Sessa e Da ‘Vine Joy Randolph nei loro ruoli sono semplicemente perfetti, con la fotografia di Eigil Bryld dedita ad amplificarne le raffinate espressioni dei sentimenti.