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Approfondimenti

‘Hard core’: 5 film porno autoriali della Golden Age

Una cinquina di pellicole selezionate per mostrare alcuni tentativi autoriali durante l'età d'oro del genere hard

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Linda Lovelace con Harry Reems

Hard core, Hard-core, Hardcore, Hard, oppure semplicemente porno. Piccolissime variazioni del famigerato termine che bolla un genere ritenuto a tutt’oggi infame. Secondo alcuni, degradazione totale dell’uso della sublime arte del cinematografo. Dopotutto, il fine ultimo di una pellicola Hard Core è quello di mostrare scene di sesso non simulato, e quindi tutto il découpage cinematografico, altrove usato sovente con dedizione, è ampiamente genuflesso a quei culmini copulativi.

Exploitation dura, dunque, proprio perché un film Hard Core è principalmente un prodotto lucroso, realizzato per incassare. Sin dagli albori, quando era ancora totalmente clandestino, si giravano filmini porno perché c’era una forte richiesta. A conferma di questo remunerativo commercio, da mettere in evidenza come l’imprenditoriale mafia italo-americana, per riciclare i soldi sporchi e guadagnarci, ha finanziato molti film pornografici durante la Golden Age.

L’unica legge che da sempre ha regolato l’Hard Core – ma sostanzialmente anche il cinema mainstream – è quella della domanda e dell’offerta. Un committente (il pubblico) chiede un determinato genere Hard per saziare la sua libidine? Lo si realizza, lo si vende e si va avanti finché c’è richiesta. E con il passare delle decadi all’interno del porno sono aumentate le categorie, che hanno cercato di accontentare le incessanti e svariate domande.

Categorie che spaziano dall’etero all’omosex. Dall’amatoriale alla parodia di film e/o serial di successo, passando per miriadi di combinazioni tecniche e pratiche sessuali, che hanno creato all’interno del porno generi a se stanti. E nei lungometraggi queste categorie sovente sono messe assieme, rendendo più varia l’offerta. A discapito della trama, che deve raccogliere tutte queste varianti con storie molto elastiche e bislacche.

Marlene Willoughby

Pandora… il sapore della carne

L’hard core… raramente è valido

Già censire gli Hard Core realizzati solamente durante la Golden Age – pressappoco dal 1970 al 1984  è impresa improba, figuriamoci dalle origini. Giacché la produzione si è sempre svolta in maniera industriale. E a ciò va aggiunto che moltissime pellicole sono andate disperse, poiché sostanzialmente erano prodotti usa e getta. Spesso veri e propri manufatti Trash.

Sebbene questo quindicennio sia denominato “l’età d’oro”, suddetto dorato termine va attribuito alla proficua produzione. Raramente le pellicole prodotte in quei tre lustri sono riuscite a equilibrare il mero commercio della pornografia con una certa qualità cinematografica. Quindi, è più adeguata l’espressione Porno chic per radunare quei film che hanno tentato, nei limiti imposti del genere e del budget, un elevamento artistico del porno.

Pellicole che tra una scena di sesso e l’altra inserivano tematiche importanti per l’epoca, conseguenza dei capovolgimenti che la società occidentale stava vivendo. Già lo sdoganamento – sebbene per un breve periodo – del porno era effetto della rivoluzione sessuale. Ma all’interno di alcune pellicole si ravvisano temi come l’esistenzialismo, la liberazione della donna o finanche le paranoie.

Ad esempio, Pandora… il sapore della carne (Pandora’s Mirror, 1981) di Warren Evans – alias Shaun Costello, ben rappresenta il tentativo – non del tutto riuscito – di inserire le tre tematiche sopracitate.

La lista che segue, però, non vuole essere un granitico elenco dei cinque migliori Hard Core della Golden Age. È soltanto un listino che accorpa cinque pellicole con delle specifiche virtù cinematografiche. E al contempo una funzionale cinquina per una concisa panoramica su come si è cercato di unire il porno con altri generi.

Pandora si osserva allo specchio

Pandora… il sapore della carne

La vera gola profonda

La prima posizione spetta a La vera gola profonda (Deep Throat, 1972) di Gerard Damiano. Non perché il miglior del genere, ma per aver segnato un’epoca. Uno dei rari Hard Core ad aver avuto realmente un enorme impatto sulla società. Basterebbe citare, ad esempio, come Deep Throat fu usato per appellare l’informatore che fornì ai giornalisti Woodward e Bernstein le carte segrete che generarono lo “Scandalo Watergate”.

Pellicola costata un’inezia – intorno ai 25 mila dollari – tramite riciclaggio di soldi mafiosi, rimane a tutt’oggi l’Hard Core che ha incassato maggiormente: oltre 600 milioni di dollari. Facendo una proporzione tra costo e incasso, il film di Damiano ha avuto un introito simile a quello di Titanic (1997) di James Cameron.

Deep Throat, tecnicamente mediocre, è una commedia con una venatura di femminismo. La protagonista Linda (Linda Lovelace), depressa nel non riuscire a raggiungere l’orgasmo, scopre che il suo clitoride è situato nella gola. Una trama, come si evince, molto demenziale, atta a poter mostrare diverse tipologie di sesso, tra cui appunto la fellatio.

Con il passare degli anni la pellicola è ricordata anche – e soprattutto – per le violenze che subì la Lovelace sul set, con il marito che la picchiava e la costringeva a eseguire le scene di sesso contro la sua volontà. Dietro quella trama femminista (il raggiungimento dell’agognato orgasmo), si celava un violento sopruso maschilista.

Nel ruolo del dottore c’è Harry Reems (1947-2013), una delle prima pornostar. Fece anche una capatina nel cinema nostrano, partecipando alle commedie Luna di miele in tre (1976) di Carlo Vanzina e a Lettomania (1976) di Vincenzo Rigo, al fianco di Carmen Villani.

Riguardo il titolo italiano, i distributori furono costretti a specificare che si trattava del film originale – sebbene in versione soft-core – perché fu importato e proiettato soltanto nel 1976. Tra il 1972 e il 1976 fu realizzato Gola profonda (Deep Throat Part II, 1974) di Joseph Sarno, “sequel” non hard dell’originale.

Linda geme di piacere

La vera gola profonda

Le proibitissime viziose novelle di Canterbury

Sebbene sia uno sfoltito adattamento del romanzo di Geoffrey Chaucer, Le proibitissime viziose novelle di Canterbury (Ribald Tales of Canterbury, 1985) di Bud Lee è uno dei più godibili Hard Core di sempre. A livello pornografico e a livello di spirito.

Il paragone con I racconti di Canterbury (1972) di Pier Paolo Pasolini, adattamento colto e ideologico del romanzo di Chaucer, non vede la pellicola di Bud Lee completamente sconfitta. A differenza degli usuali limiti di budget che attanagliano le realizzazioni porno, questo film ha goduto di un sostanzioso budget. E sebbene il fine ultimo sia quello di mostrare le molteplici scene di accoppiamento tra i protagonisti, è un decente film in costume che rispetta a suo modo il testo letterario d’origine.

L’età d’oro è tramontata, e i film Hard Core, già ampiamente sfornati annualmente, aumenteranno con le realizzazioni direttamente per l’Home Video. Pertanto Le proibitissime viziose novelle di Canterbury si potrebbe definire il canto del cigno di questo cinema porno con il “vezzo” della qualità.

Quattro episodi, più la cornice ambientata in una taverna, compongono questo colto Hard, e il miglior episodio è quello del mugnaio (preferibile a quello di Pasolini). Offre una buona base per l’inserimento dell’elemento porno. Divertente anche quello incentrato sulla Lady di Bath (Colleen Brennan), che palesa la ninfomania del personaggio.

Il film è sceneggiato dalla pornostar Hyapatia Lee, che interpreta il ruolo dell’ostessa. Anche dopo aver abbandonato la carriera porno, ha confermato le sue spiccate doti artistiche, come scrittrice e musicista.

La taverna dove vengono raccontate le quattro storie

Le proibitissime viziose novelle di Canterbury

I pomeriggi privati di Pamela Mann

In piena Golden Age, ecco il Porno Chic per eccellenza: I Pomeriggi privati di Pamela Mann (The Private Afternoons of Pamela Mann, 1974) di Herny Paris, alias Radley Metzger. Realizzato elegantemente, anche questo Hard Core ha dei limiti. Si nota lo sforzo del regista di trattare il porno come un film mainstream, con le scene di sesso che, prima ancora di sollazzare lo spettatore, devono essere funzionali alla psicologia dei personaggi.

La qualità che innalza la pellicola, rispetto alle altre coeve, è anche per l’attenzione rivolta alla recitazione. La protagonista è Barbara Bourbon, meteora del porno, che ha buone capacità espressive, dando spessore al personaggio. E nel cast ci sono anche Jamie Gillis (1943-2010) e Georgina Spelvin, noti performer capaci di stare in scena anche nei momenti non porno.

Nel film c’è un ampio ventaglio di situazioni sessuali (etero e lesbo) e pratiche sessuali. Contesti che saranno svelati soltanto nel finale. I pomeriggi privati di Pamela Mann è una riflessione sul guardare (il porno è voyeurismo al massimo grado) e sulle relazioni coniugali. Sono questi due temi, purtroppo, che sono poco sviluppati dal regista, che firma la sceneggiatura utilizzando il nickname Jake Barnes.

Pamela e il marito, alla fine, hanno trovato la loro serenità

I pomeriggio privati di Pamela Mann

Water Power

Tra le moltissime pellicole sfornate durante la Golden Age, ecco un valido esempio di porno che si distacca nettamente dalle usuali trame da commedia. Water Power (1976) di Shaun Costello (1944-2023) è un film cupo, sporco, in cui il sesso non è affatto gioioso.

Prendendo spunto dalle criminose azioni di Michael H. Kenyon, denominato “The Illinois Enema Bandit” (Frank Zappa comporrà l’omonima canzone), il film di Costello si rifà nelle atmosfere a Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese.

Un’ispirazione che non si ferma alle sole ambientazioni notturne e angosciose (fotografia di Bill Markle), ma anche nella scansione narrativa (diaristica), nel personaggio paranoico alla Travis Bickle (Robert De Niro), e all’utilizzo di un pezzetto di un brano di Bernard Hermann.

Le somiglianze, in ogni modo, terminano qui, perché la pellicola di Costello, finanziata dalla famiglia mafiosa Gambino, non ha lo stesso spessore psicologico e la medesima attenzione sociologica di una società allo sbando. E sovente la qualità registica è scarsa, tagliata con l’accetta.

Rimane la convincente prova di Jamie Gillis, nel ruolo del protagonista psicopatico che ama praticare clisteri. Azione violenta che dovrebbe essere metafora di pulizia dai peccati, ma che invece diviene una perversa esibizione sessuale, per accontentare quel determinato pubblico amante di pratiche invasive.

Clisteri, tra l’altro, fasulli. Come si evince nella scena in cui il protagonista Burt pratica con brutalità un clistere a una ragazza nella vasca da bagno. Si vede fugacemente il tubicino da cui esce il liquido marrone.

Burt legge una rivista dedicata ai clisteri

Water Power

Pandora… il sapore della carne

È uno degli ultimi Hard Core di una certa qualità realizzato durante la Golden Age. Diretto da Warren Evans, alias Shaun Costello, è un porno esistenzialista, incentrato sulla difficile ricerca del piacere da parte di Pandora (Veronica Hart). Anche in Pandora… il sapore della carne (Pandora’s Mirror, 1981) Costello punta su atmosfere cupe e mette al centro della vicenda un personaggio profondamente infelice.

Pandora è una donna che vive appartata. Tendenzialmente frigida e con bassa autostima, brama avere rapporti sessuali che possano soddisfarla. Anche il suo fidanzato Peter (Jamie Gillis) non riesce a scuoterla, infatti per appagare le sue voglie carnali va con la migliore amica di Pandora. Un antico specchio, che ha il magico dono di mostrare ciò che nei secoli ha visto e memorizzato, esaudirà il suo desiderio .

Lo specchio come schermo “televisivo” in cui Pandora vede donne del passato che hanno potuto godere dei piaceri della carne, con gioia e libertà. Da un Settecento “formalmente” debitore di Barry Lyndon (1976) di Stanley Kubrick, a un episodio da Gangster movie. Da un provino per uno spettacolo di Broadway, a un affollato locale di scambisti.

Ciò che ha visto l’ha liberata dalle sue remore, e alla fine lo specchio esaudisce il suo desiderio di avere un passionale rapporto a tre con i due culturisti dirimpetto al suo appartamento. Ma a caro prezzo.

Peccato che un interessante spunto narrativo, che riesce a tenere insieme i cruciali momenti porno, sia trattato da Costello, anche sceneggiatore, con poca attenzione. Le scene di sesso sono troppo tirate per le lunghe, e l’atmosfera angosciosa che circonda Pandora non è ben sfruttata fino in fondo. Con un ambiente newyorkese sporco molto simile a quello tetro e malsano di Cruising (1980) di William Friedkin.

Jamie Gillis ricopre nuovamente il ruolo di un uomo a cui piace il sesso duro, ossia sottomettere la donna. La protagonista è Veronica Hart, definita da Paul Thomas Anderson la “Meryl Streep del porno”, perché ottima performer anche nella recitazione. E in un piccolo ruolo un ancora sconosciuto Ron Jeremy: è l’uomo con la mascherina nel club degli scambisti.

Pandora guarda per l'ultima volta lo specchio

Pandora… il sapore della carne

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