fbpx
Connect with us

Approfondimenti

‘Trash’: 5 (s)capolavori del cinema spazzatura

Cinque classici del cinema spazzatura selezionati, tra moltissimi altri, per confutare il termine Trash, vocabolo usato, a tutt'oggi, con prodigalità e non in maniera adeguata.

Pubblicato

il

Il trucco ipnotico di Madame Estrella

Quando un film si può considerare Trash? Benché questa stigma critica sia ben evidente, il suo impiego non sempre è opportuno. Usualmente il termine è adoperato con – eccedente – facilità. Un frettoloso metro di giudizio per cestinare un film non rientrante in determinati canoni estetici, tecnici e narrativi.

Un “termine ombrello” in cui sono confluite erroneamente – poiché a volte è difficile tracciare un benché labile confine – alcune sfumature stilistiche simili ma certamente non uguali. Kitsch, Exploitation, Camp, Grindhouse e B Movie sono forme espressive distinte, come alcuni registi/autori hanno saputo ben dimostrare.

Ad esempio, benché John Waters sguazzi nel Trash, specialmente nel primo periodo artistico, il suo approccio è conscio e filologico: gli ambienti e i personaggi trattati sono essi stessi spazzatura.

Divine raccoglie la cacca del cane

Pink Flamingos

Definizione di Trash

Per comprende l’espressione Trash, molto esplicativa la definizione vergata dal critico Marcello Garofalo nell’Enciclopedia del cinema Treccani:

[…] il termine (letteralmente: spazzatura, ciarpame, sciocchezze) è stato usato, a partire dalla metà degli anni Sessanta, in una gamma di accezioni così ampia da rendere complesso riconoscerne il significato ultimo. […] Un’opera cinematografica può quindi meritare oggettivamente o soggettivamente la qualifica di trash, rispettivamente quando possiede elementi costitutivi ‒ dalla regia all’interpretazione degli attori, dall’impianto luministico alla partitura musicale ‒ di chiara matrice dilettantesca, oppure quando anche uno solo di tali elementi evidenzia, agli occhi di chi guarda, un risultato non all’altezza delle ambizioni dichiarate.

A questa definizione ritagliata, si può aggiungere quanto il saggista Tommaso Labranca edificò nel libro Andy Warhol era un coatto (1994). Cinque pilastri costitutivi che sorreggono il Trash:

  1. Libertà di espressione
  2. Contaminazione
  3. Incongruità
  4. Massimalismo
  5. Emulazione fallita

Sostegni che possono spuntare, come già evidenziava Garofalo, separatamente o in una sola scena; oppure manifestarsi tutti assieme, rendendo il film un trash assoluto.

Lady Rowena (Elizabeth Sheperd) ha conquistato Verden Fell (Vincent Price)

La tomba di Ligeia

Mutazione storica e terminale del vocabolo Trash applicata ai film

Questa ignominiosa etichetta qualitativa, ma che al contempo può rendere molto appetibile un film per una determinata platea, trasformandolo finanche in un cult, con il passare dei decenni ha variato i parametri di giudizio.

Perentori e denigranti verdetti che, sovente, venivano principalmente stilati da critici di second’ordine. Quei famigerati Vice spediti a vedere e recensire questi prodotti freaks relegati nei cinema di seconda o terza visione.

Il primo film considerato spazzatura fu La tomba di Ligeia (The Tomb of Ligeia, 1964) di Roger Corman. Divenuta con il passare del tempo una pietra miliare dell’horror gotico, la pellicola alla sua uscita fu bollata, dal critico Kevin Thomas, come Grade-Z Movie.

Per inciso, quello che noi etichettiamo come “cinema trash”, nei paesi anglofoni è definito Z Movie. Il tassativo giudizio di Kevin Thomas, a suo tempo, non aveva l’accezione totalmente spregiativa di oggi, se non quella di posizionare la pellicola al grado (categoria) Z.

Lo Z Movie (Trash) comincerà ad acquisire il precipuo valore semantico odierno a cominciare dal volume saggistico Kings of Bs di Todd McCarthy, edito nel 1975 da Dutton e a tutt’oggi rimasto inedito in Italia.

Nell’introduzione McCarthy spiega le necessarie distinzioni qualitative, che possono derivare anche dalla consistenza dei budget, e utilizza il termine Z Movie per raccogliere quei film che, al netto di un Low Budget, sono nettamente scadenti perché carenti di un pur minimo valore estetico.

A differenza di molti B movies, che nelle loro ristrettezze di budget spesso hanno delle riuscite intuizioni autoriali, come evidenziarono i critici dei Cahiers du cinéma o anche Martin Scorsese nel suo affettuoso documentario Un secolo di cinema – Viaggio nel cinema americano di Martin Scorsese (A Personal Journey with Martin Scorsese Through American Movies, 1995).

La metamorfosi del concetto di Trash è ravvisabile anche nell’eclatante giudizio sferrato dal feroce critico Pauline Kael, che marchiò – a suo tempo – 2001: odissea nello spazio (2001: A Space Odissey, 1968) di Stanley Kubrick come:

Trash masquerading as art

(spazzatura mascherata da arte)

David (Keir Dullea) sta disinnescando la memoria di HAL.

2001: odissea nello spazio

La difficoltà di stilare una lista – seppur minima – di film Trash

I film trash sono molti… troppi. E come scritto nell’introduzione, a volte non è facile definire risolutamente determinati film, che lambiscono certi confini con altre categorie.

A ciò va aggiunto che sarebbe giusto fare un distinguo tra “Trash involontario” (quello puro, accidentale) e “Trash volontario” (spurio, intenzionale).

Molte produzioni degli ultimi due decenni, come ad esempio il fortunato franchise dedicato agli squali (Shark), sono consapevolmente Grade-Z Movie.

E altrettanto lo sono le produzioni della Troma, che deliberatamente sforna pellicole spazzatura, sulla falsariga del primo John Waters. Un cinema che mira di proposito al basso istinto degli spettatori.

In questi goliardici prodotti si possono ravvisare soltanto quattro pilastri sui cinque evidenziati da Labranca.

Manca il quinto pilastro, ovvero l’emulazione fallita, perché non c’è minimamente nessun proposito di imitare attentamente il film nobile da cui si trae spunto.

Lo scopo precipuo è soltanto quello di realizzare un prodotto che possa divertire/spaventare/emozionare/arrapare lo spettatore, pigiando sull’assurdità del plot e/o sulla voluta povertà produttiva.

La breve lista che segue, quindi, mette assieme cinque pellicole che sono state riconosciute come capisaldi del Trash (Z Movie).

In esse sono palesemente individuabili sia le caratteristiche vergate da Marcello Garofalo e sia i pilastri costitutivi di Tommaso Labranca. E facilmente reperibili su YouTube.

Toxic Avenger (Mitch Cohen) e Sarah (Andree Maranda) vivono assieme.

The Toxic Avenger

Plan 9 from outer Space (1957)

La nomea di “Worst film ever made” – e “Worst Director of All Time” – deriva dal sondaggio indetto dai fratelli Harry e Michael Medved, poi inserito nel goliardico libro The Golden Turkey Awards (1980).

A posteriori il film di Edward D. Wood Jr. (1924-1978), sebbene sia un validissimo esempio per constatare il concetto di trash puro, non andrebbe considerato come il “peggiore film mai realizzato”.

La ignominiosa stigma che gli hanno riservato i fratelli Medved, a ridosso della prematura e improvvisa morte di Ed Wood, deceduto per infarto nel 1978 sul divano della casa di un amico, dopo che aveva ricevuto lo sfratto e altre umilianti delusioni artistiche, ha però fatto si che il film venisse resuscitato e trasformato in leggenda.

Una popolarità, benché derisoria, che ha trasformato Plan 9 from Outer Space in un cult inamovibile, e dato notorietà postuma a Ed Wood, un maldestro regista che ha cercato con tutti i mezzi reperibili (finanziari e tecnici), come un novello Orson Welles in sedicesimo, di poter realizzare i suoi film. Un “autore” sempre contro tutto e tutti.

Perché spendere una vita a realizzare i sogni di qualcun altro?

È quanto dice Orson Welles (Vincent D’Onofrio) a Ed Wood (Johnny Depp) nel biopic Ed Wood (1994) di Tim Burton. Un incontro totalmente inventato, mai accaduto nella realtà, ma scena chiave per descrivere la frustrazione del povero regista, non dissimile da quella del grande autore hollywoodiano.

Ed Wood, benché non esente da esagerate licenze poetiche, è un amorevole biopic con cui Burton (ci) mostra il perché è impossibile non apprezzare questo freak e i suoi (di)sgraziati lavori filmici.

Opere realizzate certamente in maniera pedestre, però con passione cinefila.  Ad esempio, il profondo rapporto d’amicizia con un ormai decaduto Bela Lugosi. Oppure l’indefessa dedizione al lavoro anche nelle situazioni peggiori: la perenne mancanza del necessario materiale tecnico.

Plan 9 from Outer Space inizialmente doveva essere un horror, dal titolo Tomb of the Vampire, con protagonista assoluto Lugosi.

Morto improvvisamente Lugosi, e con soltanto un paio di minuti di scene girate, Wood elaborò rapidamente un’altra trama: Grave Robbers from Outer Space. L’accattivante titolo fa comprendere l’intenzione di contaminare l’horror con la fantascienza.

Le poche immagini di girato con Lugosi restano – come sentito omaggio e perché per Wood non si butta via nulla – e per completare il film mantenendo il suo caro amico nel plot, scatta la genialità del regista: la controfigura scelta è il chiropratico di sua moglie.

Secondo la visionaria concezione di Wood, questo chiropratico aveva la stessa forma cranica dell’attore ungherese.

L’importante è che questo Tom Mason (non accreditato) mantenga il volto celato dal mantello, e lasci intravedere soltanto la fronte “lugosiana”. Già questo fantasioso quanto goffo escamotage sarebbe un pilastro trash, ma a ciò se ne aggiungono molti altri:

  1. Le pauperistiche scenografie (le croci di cartone; la base aliena assemblata in una stanza tappezzata di tende; i costumi degli alieni molto più medievali che avveniristici);
  2. La pessima recitazione degli attori;
  3. Gli ufo, realizzati con delle borchie della Cadillac, con i fili ben visibili che le sostengono.

E a cotanto materiale si aggiunge il tratto distintivo di Ed Wood: i dialoghi. Vezzo dell’autore, dalla prima pièce teatrale fino all’ultima opera cinematografica che è riuscito a dirigere, è stato quello di infarcire con altisonanti discorsi e soliloqui le sceneggiature.

Dialoghi ritenuti talmente mediocri che Vampira, in Plan 9 from Outer Space per meri motivi alimentari (il suo noto programma Tv fu improvvisamente cancellato ), pretese che il suo personaggio zombi non proferisse parola e restasse muto.

Una menzione a parte, ugualmente trash e riportata brevemente, merita tutta la fase pre-produttiva.

Non riuscendo a farsi finanziare il film da nessun produttore, perché le sue opere precedenti furono dei fiaschi, Ed Wood riuscì a convincere un gruppo di predicatori di fede battista, che accettarono a patto che l’intera troupe si battezzasse, e quindi si convertisse al battismo.

Perché è Trash? Benché contenga i 5 pilasti di Labranca, prevale il massimalismo, poiché anche in questa pellicola dal plot prettamente commerciale prevale quella pervicacia velleitaria di Ed Wood nel tentare di fare un capolavoro.

Le borchie usate per simulare gli ufo, sorrette da un visibile filo bianco.

Plan 9 from Outer Space

“Manos” – The Hands of Fate (1966)

A pari (de)merito con Plan 9 from Outer Space c’è Manos: The Hands of Fate di Harold P. Warren.

Anch’essa fu una pellicola divenuta cult assoluto soltanto molti anni dopo. Fu riportata in vita durante una puntata di Mystery Science Theater 3000 del 1993. Era una trasmissione della BBC che scovava, irrideva e dava nuova esistenza a B movie e Z movie terminati nell’oblio.

Horror a bassissimo costo, con un budget stimato intorno ai 19.000 euro, Manos: The Hands of Fate fu auto-prodotto, scritto e interpretato da Warren, di professione commerciante di fertilizzanti ma con l’hobby delle piccole rappresentazioni teatrali.

La realizzazione del film nacque da un’infausta scommessa con lo sceneggiatore Stirling Silliphant, che vincerà l’Oscar per La calda notte dell’ispettore Tibbs (In the Heat of the Night, 1967) di Norman Jewinson. Warren affermò che sarebbe stato capace di girare un vero film in poco tempo e con pochi soldi.

Manos: The Hands of Fate può destare sbalordimento quanto costernazione, nel riuscire a mettere in fila tanti errori pacchiani di regia e pessima recitazione.

Ma l’esiguità del budget c’entra relativamente. Molti anni dopo Robert Rodriguez dimostrerà con El Mariachi (1992) che con soli 7.000 dollari si può realizzare un prodotto più che dignitoso.

In ogni modo, la colpa degli svarioni non va addossata al solo Warren. I menzogneri consigli della troupe lo convinsero ad accelerare le riprese perché gli errori sarebbero poi stati corretti in fase di montaggio/missaggio.

L’affrettare il lavoro sul set era dettato dal fatto che il salario era molto basso, e quindi la crew non avrebbe percepito nessun extra.

Sovente le scene sono fuori fuoco; in una scena appare il ciak, per un errore di montaggio; il doppiaggio di tutti i personaggi è fatto da soltanto cinque persone, con la bambina doppiata da un’adulta.

Improvvisi passaggi dal giorno alla notte, e viceversa; le lunghe scene di guida iniziali girate per i titoli di testa rimaste “spoglie” perché non sono riusciti a mettere le truke con i nomi del cast…

E a questi problemi tecnici si aggiungono le perfomance degli attori, su cui spicca John Reynolds, nel ruolo del servo sbilenco Torgo.

Sempre sotto effetto dell’LSD, Reynolds aveva creato un marchingegno che si impiantò sulle ginocchia, per creare quella postura sghemba e dare al personaggio maggiore ambiguità (sic!).

Molto divertente anche la tubante coppietta di fidanzati, sempre seduta in macchina perché l’attrice aveva una gamba ingessata.

Perché è Trash? Emulazione fallita di un genere. In particolare nel non riuscire a produrre un film di livello professionale, benché tutti gli elementi costitutivi di un lungometraggio ci siano. Scommessa certamente vinta da Warren… ma a che prezzo.

Titoli di testa di "Manos": The Hands of Fate.

“Manos” The Hands of Fate

The Incredibly Strange Creatures Who Stopped Living and Became Mixed-Up Zombies (1964)

Titolo chilometrico, quasi kubrickiano, che riassume tutto d’un fiato la trama.

Quel quasi, perché la Columbia, produttrice de Il Dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (Dr. Strangelove or: How I learned to Stop Worryng and Love the Bomb, 1964), fece causa a Ray Dennis Steckler per un titolo troppo similare: The Incredibly Strange Creature: Or Why I Stopped Living and Became a Mixed-Up Zombie.

Forse la sfumatura verbale primigenia era migliore, ma tolto questo forzato cambio, il risultato è il medesimo. Il film di Ray Dennis Steckler è un bizzarro horror che si attiene ai principi del puro Trash.

Oltre che dirigerlo e produrlo, con una spesa di circa 38 mila dollari, Steckler ha vestito anche i panni del protagonista, dietro l’accattivante nickname di Cash Flagg (letteralmente: “denaro divertente”).

Peculiarità di Steckler è sempre stata quella di costruire i film utilizzando quello che aveva sottomano, senza dover spendere denaro o elargire troppa pecunia. Ad esempio, la Station Wagon che guida Jerry è quella della famiglia Steckler. Però molto più stramba la scelta d’inserire i numeri musicali nel film.

Non perché fosse necessario, ma perché casualmente Steckler strinse amicizia con tre coreografi che stavano smontando la scenografia di un balletto allestito al Moulin Rouge di Hollywood. In un colpo solo Steckler ebbe a disposizione scenografie, costumi e un’insinuante coreografia.

Per tornare a Kubrick, e creare una stravagante connessione, ne Il bacio dell’assassino (Killer’s Kiss, 1955) inserì, come flashback – sebbene non strettamente necessario –  il balletto solista di Ruth Sobotka, a quel tempo sua compagna.

Però The Incredibly Strange Creatures Who Stopped Living and Became Mixed-Up Zombies è divenuto anche noto, sebbene scarso a vari livelli, perché alla sua realizzazione contribuirono, come assistenti alla fotografia, Vilmos Zsigmond e László Kovács.

Zsigmond vincerà l’Oscar per Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close Encounters of the Third Kind, 1977) di Steven Spielberg. Kovács, di lì a poco, avrebbe curato la fotografia di Easy Rider (1969) di Dennis Hopper.

Perché è Trash? Il film di Steckler, al netto dello scadente risultato, pare un’opera che segue la libertà d’espressione. Quasi un film anarco-pop, se ci fosse maggior consapevolezza.

La commistione tra horror e musical sarà poi vincente per il videoclip/mediometraggio Thriller (1983) di John Landis. Che il regista abbia attinto anche dal film di Steckler?

Locandina di The Incredibly Strange Creatures Who Stopped Living and Became a Mixed-Up. Zombies

The Incredibly Strange Creatures Who Stopped Living and Became a Mixed-Up Zombies

La rabbia dei morti viventi (1973)

La rabbia dei morti viventi (I Drink Your Blood, 1973) di David E. Durston unisce – strambamente – il genere Hippie Movie (o LSD movie) con lo Zombie Movie.

Scritto dallo stesso Durston, trae spunto da un fatto realmente accaduto sulle montagne in Iran, dove un gruppo di lupi infettò con la rabbia il personale di una scuola.

La pellicola veniva proiettata in Double Feature con Il woodoo dei morti viventi (I Eat Your Skin, 1971) di Del Tenney, anch’esso di matrice zombesca, ma soprattutto abbinato per l’assonanza dei titoli.

Horror trucido, perfetto per essere proiettato nei Drive In o nei Grindhouse. La pellicola inizia con l’usuale gruppo di vandali, in questo caso hippie facenti parte di una setta simile a quella di Charlie Manson, che giunge in una piccola cittadina per creare disordine.

Località che, come accadrà in Un tranquillo Week-End di paura (Deliverance, 1972) di John Boorman, sta per essere evacuata perché di lì a poco sarà costruita una diga che sommergerà tutto il territorio.

Su questo tentativo di descrizione di un mondo rurale che sta sparendo, e della montante crudeltà dei giovani dediti alle droghe e all’adesione a sette sataniche, s’innesta nella seconda parte l’horror, in tutta la sua rozzezza.

La trasformazione dei teppisti in pseudo zombi arrabbiati e famelici avviene dopo che il piccolo figlio della fornaia ha iniettato nel loro cibo la rabbia dei topi.

Una crudele punizione che pare anticipare l’estrema vendetta della piccola Cleopatra nei confronti della vecchia miliardaria in Lo scopone scientifico (1972) di Luigi Comencini. La bambina ha impastato il dolcetto da regalarle con del potente veleno per topi.

E sebbene La rabbia dei morti viventi nella seconda parte diventi Splatter (benché carente di validi effetti speciali), il regista vi inserisce, en passant, un discorso medico-scientifico, in cui l’anziano veterinario del luogo spiega gli effetti della rabbia.

Spiegazioni alla bisogna, poiché l’incubazione mostrata è completamente avulsa dalle reali tempistiche.

Perché è Trash?I Drink Your Blood, a cui la distribuzione italiana ha dato un titolo molto romeriano, è fulgido esempio della contaminazione. Interna, con la terribile infezione, ed esterna, con l’unione di due generi exploitation: Hippie Movie e Zombie Movie.

Romeriano nel titolo italiano, ma lontanissimo dalle riuscite e taglienti critiche sociali e politiche che Romero sapeva contaminare con l’horror.

Ormai infettati dalla rabbia dei topi, gli hippies uccidono con inaudita violenza.

La rabbia dei morti viventi

Santa Clause Conquers the Martians (1964)

Premessa: è uno dei cult (Guilty Pleasure) di Tim Burton. E ciò spiegherebbe, guardando il suo originale e visionario cinema, da dove derivi quella predilezione per i reietti, come ad esempio lo fu Ed Wood.

Santa Clause Conquers the Martians di Nicholas Webster è un film realmente freak. Un ambizioso e visionario, quanto sfortunato, prodotto nato con le migliori intenzioni pseudo disneyane, ma totalmente sgangherato.

Una favola natalizia mista alla fantascienza, che invece di dare gioia, felicità e altri sentimenti positivi, mette principalmente inquietudine per quei colori tendenti al cupo.

E in aggiunta a ciò prevalgono in tutta la loro – poco – consistenza, le miserrime scenografie e i pauperistici effetti speciali. Oltre al verdognolo Make-Up degli alieni.

L’unico merito attribuitogli, è quello di esser stato il primo film a inserire la figura di Mrs. Clause, interpretata da Doris Rich. Un encomio che, in ogni modo, poco aggiunge.

Ma il vero aspetto interessante è che vi compare, nel ruolo della bambina marziana, Pia Zadora. Cantante e attrice che non ha mai realmente sfondato nell’entertainment, tranne un effimero successo musicale nella prima metà degli anni Ottanta.

Butterfly (1981) di Matt Cimber fu il fallimentare tentativo di lanciarla come protagonista, in un ruolo di adolescenziale “femme fatale”. Però Pia Zadora, a tutt’oggi, è ricordata principalmente – e solamente – per Santa Clause Conquers the Martians.

Perché Trash? Per l’incongruità del risultato. Inadatto ai bambini, che potrebbero rattristarsi, e agli adulti, che lo troverebbe noioso e melenso.

Eppure, comparandolo con il dispendioso e vorticante Il Grinch (The Grinch, 2000) di Ron Howard e con un tonitruante Jim Carrey, si ha la conferma che i budget elevati non sempre conferiscono dignità qualitative alle storie di Natale.

Santa Clause viene prelevato dalla sua abitazione dagli alieni.

Santa Clause Conquers the Martians

Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers