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Mubi Film

‘My Name is Joe’, su MUBI il Ken Loach che non ti aspetti

Disponibile su MUBI e su RaiPlay, "My Name is Joe" (1998) intercetta il disagio e la fierezza della working class e degli emarginati in una tenue romantic comedy che poi sconfina nel thriller, con una varietà di toni inedita per il regista britannico  

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Presentato in concorso al 51° Festival di Cannes, dove Peter Mullan vinse la Palma d’oro per la migliore interpretazione maschile, My Name is Joe, ora su MUBI e su RaiPlay, segna la seconda, fortunata collaborazione di Ken Loach con lo sceneggiatore Paul Laverty (longeva fino al recente The Old Oak).

Nella filmografia del regista si staglia per l’appropriazione ondivaga ma sempre coesa dei generi, la scioltezza del ritmo, l’adesione empatica ai personaggi, il dispiegamento tenero e umoristico di un’inedita e sincera storia d’amore che lascia spazio anche alla nota sensibilità civile dell’autore.

Sinossi

Joe (Peter Mullan) vive a Glasgow, è un ex alcolista privo di impiego che vive alla giornata e allena una simpatica e sconclusionata squadra di calcio, con disadattati e tossici. Quando le circostanze gli fanno incrociare Sarah (Louise Goodall), una dolce assistente sociale, nasce tra i due un’affettuosa amicizia che si tramuta ben presto in una relazione amorosa, con goffe incomprensioni ma anche con liete sorprese.

Fino a quando il Male irrompe nelle loro vite, nelle vesti di un malavitoso, McGowan (David Hayman), che minaccia per debiti di droga il giovane Liam (David McKay), uno dei giocatori della squadra, verso cui Joe ha una premura protettiva. Il protagonista viene a patti con il boss, ma i compromessi con la criminalità hanno un prezzo alto, anche verso Sarah.

La complessità di un uomo semplice

‘My name is Joe’ è la frase cui il protagonista esordisce nel suo intervento di apertura alla riunione degli alcolisti anonimi e la sua semplicità, così rilevante da dare il titolo alla pellicola, è emanazione di un personaggio che fin dai primi minuti si preannuncia per quello che sarà, nonostante l’estrazione sociale e l’ineleganza: sincero, vitale, altruista.

La pellicola quindi è Joe stesso, ancorata alla interpretazione empatica e modulata di Peter Mullan (meritamente premiato a Cannes), che pur lavorando senza enfasi e istrionismi riesce ad accollare sulla sua forma fisica asciutta e quasi anonima la rappresentanza di un intero ceto sociale con la sua generosa umanità fino al sacrificio, ma anche con le sue contraddizioni.

L’opposizione dei codici narrativi

Ken Loach costruisce una continua devianza delle apparenze, gira non un film di genere ma un flusso cangiante di generi, svoltando sempre verso l’imprevedibile. Inizialmente My Name is Joe si apre con i quartieri operari non poco fatiscenti e la goliardia truffaldina di un gruppo di nullafacenti che fanno presagire una tragicommedia di denuncia nelle corde conclamate di Loach.

Dopo poche sequenze però fa breccia la romantic comedy con le dinamiche di attrazione tra Joe e Sarah, con un distillato del cinema di Mike Leigh e persino con qualche riverbero di commedia commerciale britannica degli anni Novanta (delicata e spiazzante la scena in cui Loach declina tutte le difficoltà di uno squattrinato a un primo appuntamento).

Però, nell’intermezzo di un happy end con un’inaspettata promessa di felicità, sopraggiunge il livore della malvagità più avida, il cinismo irrecuperabile dei bassifondi, l’altro volto senza speranza dei reietti che non trovano espiazione neppure nella passione calcistica. E Loach, con piglio sicuro, insegue le logiche del thriller con accenti del gangster movie, facendo inoltrare il suo piccolo eroe del quotidiano nei meandri chiaroscurali del pericolo e poi della dannazione. E la romcom si sfalda inaspettatamente nella fase Boy loses girl.

 

Ombre non trascurabili

In quella che è una piccola epopea degli affetti e delle difficoltà degli umili e degli incompresi e una riproduzione fedele e disinvolta della mutevolezza dei toni della vita stessa, tra allegria e tragedia, Ken Loach non rinuncia a far emergere le problematiche e le urgenze politiche degli ultimi, quali retaggi del tatcherismo: alcolismo, disoccupazione, tossicodipendenza, piccola criminalità organizzata, assenteismo dello Stato. Un denuncia sociale integrata però nella piacevolezza di un racconto sciolto che non contamina ma accosta i generi, conducendo lo spettatore in altri varchi come se ci addentrassimo in altri film.

Così il regista indignato e impegnato di Riff-Raff, Piovono pietre e Terra e libertà firma una delle pellicole più riuscite e amabili, non scevra di speranza e rinascita in un epilogo aperto, di cui forse si sarà ricordato, insieme a Il terzo uomo di Carol Reed, Martin Scorsese (Presidente di Giuria a Cannes 1998) girando l’ ultima sequenza di The Departed. Ma siamo certi che altri classici contemporanei come Gran Torino di Clint Eastwood e Drive di Nicolas Winding Refn debbano qualcosa alla grazia umanista del salvatore defilato e grezzo di My Name is Joe.

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  • Anno: 1998
  • Durata: 105'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Regno Unito
  • Regia: Ken Loach