Il MICB23, acronimo della Mostra Internazionale del Cinema di Bracciano, ha presentato per questa seconda edizione 26 opere. Sono cortometraggi (fiction, animazione e sperimentali), lungometraggi e videoclip. Un’assortita selezione di opere dal mondo fatta dall’associazione di promozione sociale Gasp, dal collettivo Papermoon – Cinema dalla carta alla luna, e da Cultura Movens.
Di seguito una panoramica sulle opere che sono state proiettate in questi due giorni (2-3 settembre 2023)
MICB23: le opere
Pina di Jeremy Depuydt e Giuseppe Accardo
Film d’animazione che unisce certo folklore siciliano, in questo caso lo spiccato dialetto, il vestiario e soprattutto la mafia, con la favola nera. Nella concretezza di una storia siciliana, dai toni accesi simili a Cavalleria rusticana, gli autori, prendendo spunto dal mito di Proserpina, innestano un personaggio magico, capace di generare vita dove la terra è arsa.
Terra secca intesa sia come terreno e sia come povera società depredata dalle razzie di banditi e padroni. Pertanto, nell’opera vi è anche una valenza politica. Pina ha un’animazione volutamente elementare, dai colori intensi ma dai tratti stilistici semplici, che rimandano alle illustrazioni dei libri di fiabe. Qualche simbolismo (l’ombra del cerbero per raffigurare il vero animo del mafioso) e un finale di speranza, in cui la terra fiorirà di nuovo.
Neighbour Abdi di Douwe Dijkstra
La tecnologia cinematografica odierna permette di poter riprodurre – quasi – esattamente la vita quotidiana, e anche poter ricreare e rendere veritieri fatti passati. Neighbour Abdi è la ricostruzione cinematografica del tragico e tormentato passato del somalo Abdi, poi fuggito in Olanda. Da giovane ha vissuto la guerra civile in Somalia, e lui stesso si è trasformato in criminale.
Ricostruire quel passato con la tecnologia per lui significa poter rivivere, dal di fuori, quei fatti di cui fu protagonista. Dare esattezza agli accadimenti (far ripetere una scena perché non esattamente realistica) e in certi casi riderci sopra.
Ma a lato di questa rivisitazione personale, il corto permette anche una riflessione su come certi film, nella fattispecie di guerra, cerchino di mostrare la cruda realtà di un conflitto ma altro non sono che posticce opere create con la CGI.
Ad esempio Black Hawk Down (2001) di Ridley Scott, ambientato durante la guerra civile somala del 1992, venne accolto come un efficace film realistico, ma dopo aver visto il corto di Douwe Dijkstra, si comprende che molte di quelle parti furono artificiosamente costruite.
La fine del mondo di Marco Locurcio e Stefano Cinti
Videoclip realizzato per l’omonima canzone di Cinti. Una pungente canzone, ideata dal cantautore romano (ma residente a Bruxelles) durante il lockdown, che illustra come gran parte della società stia diventando sempre più alienata e menefreghista. Un pericoloso lassismo da cui è necessario scrollarsi.
Il videoclip procede su due piani: da un lato le scene in cui Cinti che suona, ripreso in penombra, come uno stand-up commedian, e dall’altro la storia di un uomo, chiuso in casa, che se ne sbatte di quanto sta accadendo nel mondo.
Postcards from Mostar di Maja Zećo, Asad Herić e Roman Stolyar
Titolo volutamente beffardo quello scelto dai tre autori. La cartolina è sinonimo di meravigliosa foto per promuovere un luogo; e ugualmente medium per poter inviare un messaggio di saluti, di amore o di amicizia lontano.
Sebbene in Bosnia la guerra sia terminata da quasi trent’anni, le città, in particolare Mostar, portano con sé quel trauma. Il governo cerca sempre di promuovere la città con incantevoli cartoline, ma i due autori mostrano, in maniera poetica, quali sono le vere cartoline – con messaggio – da inviare all’estero.
Il personaggio principale, interpretato dalla stessa Zéco, è una specie di Pierrot fotografato in questa serie di “cartoline” in bianco e nero, che mostrano la desolazione e la distruzione di Monstar. La foto di gruppo iniziale – in cui era presente anche la protagonista – è un passato ormai svanito, lasciando sola e girovagante questo solitario personaggio.
Horror vacui di Boris Poljak
Il termine horror vacui significa orrore del vuoto, e fu coniata da Aristotele, che asseriva l’inesistenza di spazi vuoti, perché la natura riempie i medesimi. E, con l’urbanizzazione, l’ampliamento delle società, il vuoto tende ad essere sempre più a scomparire.
E giocando su questa paura del vuoto che attanaglia sovente l’umanità, ecco in immagini nitide e asfissianti, la metafora di come la società per non soccombere a quel terrore, si sta sempre più militarizzando.
Le divise, i mezzi militari, le sgargianti bandiere, ecc., potrebbe dare conforto a qualche d’uno, perché riempiono quel vuoto visto come nemico. Ma questo flusso d’immagini militaresche più che dare sicurezza, trasmettono terrore, perché pare un enorme blob agguerrito, che sovrasta ogni libertà.
Io di Antonio Michele Stea
Corto d’animazione realizzato in Stop Motion, Io è una rappresentazione visionaria e angosciosa del sub-inconscio. Una riflessione sulla perenne ricerca della soggettività da parte di un individuo. Il piccolo personaggio stilizzato (creato con colla calda e argilla) è un essere che cerca la propria personalità attraverso dubbi e paure.
Rinchiuso in un “labirinto” con tante porte/scatola (e sopra ognuna c’è scritto la parola “io” in diverse lingue), cerca una propria libertà. Un crogiolarsi interiore che lo costringe anche a confrontarsi con un altro da sé.
Idris di Bachir Abou Zeid
Una iniziale panoramica sulla realtà rurale del Libano, in cui l’unico cruccio per un bambino è quello di non perdere una pecora e, fonte di sussistenza della povera gente, e subire le ire del padre.
Una parte centrale in cui i due bambini, nel ricercare questa pecora, scherzano e giocano, come è normale per la loro età. Anche con scherzi terribili. Dopotutto, nell’innocenza dell’infanzia, non conoscono il male.
Ma a un certo punto ecco che entra in tutto il suo fragore la realtà. Quel mondo bucolico, sebbene sotto la cappa della povertà e delle ingiustizie politiche, perde la propria verginità e appare la guerra.
L’improvvisa tragedia, però, mette precocemente fine all’infanzia; e getta anche gli spettatori nel presente del Libano, ancora in guerra.
At a Glance di Ruud Satjn
L’autore inizia il corto in media res, e guardando quelle prime scene ci facciamo un’idea su quello che vediamo. Certamente molti di noi subito trarranno un giudizio errato. È proprio questo l’intento di Satjn, mostrare come spesso siamo assoggettati al pregiudizio.
Ci soffermiamo su quello che vediamo a prima vista (come recita il titolo), ma non sempre è così. Il corto mette in evidenza, unendole, sia la discriminazione e sia il razzismo. Il protagonista è di colore, quindi sicuramente è uno spacciatore e/o un violentatore. Mentre i bianchi, soprattutto se borghesi, sono persone intonse, non capaci di azioni riprovevoli (spaccio, violenza, ecc.).
Old Tricks di Edoardo Pasquini e Viktor Ivanov
Che cosa fare per ammazzare il tempo quando si è costretti a restare chiusi in casa causa pandemia? Fare una gara a due facendosi degli scherzi a vicenda. Ed è quello che fa un’anziana coppia, attraverso celie non proprio leggere.
Con poco minutaggio, e senza eccessivi ed inutili ghirigori registici, il duo dei registi imbastisce un corto che è un piacevole divertissement con del buon humour nero. Soprattutto per l’imprevisto finale.
North Pole di Marija Apcevska
Un Coming of age al femminile. La perdita della verginità come ultimo step per lasciarsi alle spalle l’età infantile e farsi accettare anche dalle altre coetanee. Ma è veramente necessario accelerare i tempi?
Forse c’è ancora tempo, come evidenzia il finale, con la giovane protagonista che per un attimo ha un solare e innocente sorriso alla Antoine Doinel. Benché North Pole abbia uno stile narrativo acerbo, la regista riesce anche attraverso queste insicurezze a raccontare vivamente questa delicata storia d’adolescenza. Restando sempre in una narrazione pudica, ellittica.
Il paese delle persone integre di Christian Carmosino Mereu
Documentario girato in Burkina Faso da Mereu a partire dal 2014. Il suo focus attuale – la sua forma di narrazione – nasce casualmente mentre il regista si trovava in loco, quando scoppiano le proteste da parte del popolo contro il Presidente Blaise Compaoré.
Da semplice documentario etnologico su una società africana resa povera dalla dittatura, si è trasformato in strenuo reportage su ciò che stava accadendo. Un avvenimento molto raro, perché un popolo in Africa non sempre si ribella.
La realtà entra di straforo nell’idea di partenza, e il regista, come un vero reporter, segue quanto sta accadendo, rischiando spesso. Un documentario che rispetta le misure narrative e fotografiche del genere, e che principalmente vuole informare il mondo esterno su cosa sta accadendo in Burkina Faso.
Garrano di Vasco Sá e David Doutel
Prendendo spunto dai continui incendi dolosi che scoppiano in Portogallo, Garrano è uno stupefacente corto d’animazione che mostra sia le differenze di classe e sia la perdita d’innocenza da parte del giovane protagonista.
Un corto d’animazione con uno stile visivo fatto di colori violenti, come appunto la storia, e che ricorda nell’ambientazione selvaggia, nella definizione dei personaggi (i volti e i caratteri duri) e nel tragico finale, gli stilemi del Cinema novo brasiliano.
Shan Shan di Shen Gao
Alla base del cortometraggi ci sono le esperienze personali della regista. Per riportare e condividere quel suo malinconico e logorante passato, l’autrice utilizza l’animazione, e disegna una favola di breve durata che possa essere d’aiuto a tutte quelle ragazze che patiscono lo stesso problema d’integrazione e denigrazione.
Se da un lato la narrazione, con voce fuori campo, evidenzia il lato mesto delle esperienze, lo stile e qualche piccola scenetta, tendono al sorriso. Un’opera, quindi, che in pochi minuti, con pochi tratti, affronta le difficoltà gender.
Dear Animal di Younes Kafashian
Anche questo altro corto d’animazione trae spunto dal vissuto personale, ma in questo caso dall’ammirazione di Kafashian nei riguardi del poliedrico artista – e disubbidiente – Bahman Mohasses (1931-2010).
Una riflessione animata, con morale finale, su come gli anziani siano ancora utili alla società, e non egoisti. Pronti a sacrificarsi anche per salvare un predatore. E su come i giovani, usualmente sfaccendati, dovrebbero imparare da loro. Nel cartoon, come ha rivelato il regista, l’anziano rappresenta Mohasses, mentre il giovane che alla fine rimane estasiato dall’impresa dell’anziano, è Kafashian medesimo.
TargeT di Alix Delmas
Viviamo in una società in cui la privacy è sempre più messa a rischio. Uno degli strumenti tecnologici più presenti e invadenti è il drone. Un essere che vola sopra di noi, e con le sue piccole dimensioni può intrufolarsi in piccoli spazi o volare a bassissime quote. Munito di telecamera, il drone osserva, scruta, registra.
Ed ecco che il corto immagina un incontro ravvicinato – del terzo tipo – tra una ragazza (essere umano) e questo drone dalle fattezze aliene, in un’ambientazione sospesa. Per tutto il tempo si guardano, si studiano. Ma alla fine di questo serrato vis-á-vis, chi è che sta indagando chi?
Alétheia di Eleonora Cutini
Alétheia in greco significa verità, rivelazione. La protagonista, interpretata dalla stessa Cutini, si risveglia (da un sogno? Dalla realtà?) e si muove in spazi vuoti, silenti, tra la natura e ambienti costruiti dall’uomo e ormai abbandonati.
In questo suo pellegrinare verso la ricerca di una verità, la ragazza cerca di instaurare un dialogo con Dio, ma che resta muto. È un viaggio panico, di scoperta in cui si cerca la verità, la propria essenza/significato.
Come con il precedente corto, la Cutini realizza l’opera come se principalmente fosse video arte, e potesse essere proiettata in loop. Cesellato con una raffinatissima fotografia in bianco e nero, conferma le ottime qualità visive della regista.
Anaklia di Elisa Baccolo
Anaklia è una città situata in Georgia. Luogo originariamente di matrice contadina, una spregiudicata speculazione ha trasformato Anaklia in un immenso resort, con enormi edifici futuristici. Nelle intenzione dei costruttori doveva essere un luogo paradisiaco per i turisti, ma nei fatti si è trasformato in una città fantasma, con questa urbanizzazione enormi semi-abbandonata.
La regista riprende questa realtà con riprese fisse, utilizzando come commento una musica/rumore che evidenzia lo status “post-atomico” della città e il suono del vento, che rileva la solitudine che spira. Una tenue speranza, come mostrano le scene finali, è che la natura forse riprenderà il sopravvento.
Le soleil dort di Pablo Dury
Una storia d’amore – completa – tra un ragazzo e una ragazza che inizia nel mondo virtuale, con loro due che si sono creati degli avatar favolistici, e poi dopo diversi dubbi di lui, continua nella realtà.
Ma il luogo reale in cui poi s’incontrano, si trasforma ugualmente in un mondo fantastico. La foresta, ambiente che rimanda a miti e leggende, diviene il riparo per questi due esseri umani. E se il protagonista ha paura del suo aspetto (parte del viso visibilmente ustionato), lei non è interessata questo difetto.
Il loro amore, il loro schiudere il proprio animo è avvenuto già per completo, parlando attraverso due avatar. Le soleil dort è una riflessione sulla difficoltà di comunicare, sul come rapportarsi. E di come sempre più spesso è facile relazionarsi tramite la realtà virtuale, dicendo tutto su di sé, piuttosto che parlarne tranquillamente di persona.
Fairplay di Zoel Aeschbacher
Il corto è una spietata fotografia sulla realtà del mondo, in particolare la società occidentale. Se vuoi sopravvivere, restare al lavoro, vincere qualcosa, devi essere competitivo, sgomitare, essere un vero e proprio squalo.
E questo tema violento è mostrato anche attraverso un montaggio aggressivo, che amplifica queste competizioni. Probabilmente i partecipanti che accettano queste mattanze credono di vincere, ma invece hanno solo perso. competizione.
Wall, the Wall di Yusuf Ölmez
Un cortometraggio che parte dalla concretezza (la costruzione di un gigantesco muro, la difficile vita lavorativa dei poveri turchi) e sfocia in un racconto metaforico. Questo altissimo muro che non permette di vedere cosa c’è al di là, diviene simbolo di divisori tra due nazioni.
E quando il protagonista, che è stato licenziato, cerca di poter parlare con il padrone, il racconto si tinge di rimandi kafkiani, perché non riuscirà mai a conoscere chi è il padrone (la mente oscura che ha ordinato la costruzione del muro). Non avrà mai risposte, come spesso accade.
FÁR di Gunnur Martinsdóttir Schlütter
Breve corto che inizialmente potrebbe sembrare una variazione de Gli uccelli (1963) di Alfred Hitchcock, mentre è una disamina sul cinismo che una persona può covare dentro di sé.
La giovane protagonista, sempre più apatica da quanto la circonda (le noiose chiacchiere lavorative dei colleghi), ha in quel casuale avvenimento una maniera per sfogare la propria rabbia interiore, adducendo scuse verso il gruppetto di persone che la sta osservando.
Le Roi David di Lila Pinell
Mediometraggio in cui si racconta di una ragazza, di estrazione proletaria, che cerca di uscir fuori dalla propria condizione sociale. Un tentativo di avanzamento che inizialmente è soltanto esteriore (il rifarsi il naso per sembrare più bella).
Ma questa voglia di fuggire, finanche all’estero, non si potrà mai attuare, perché dopotutto è lei stessa a non voler abbandonare quelle sue abitudini, che per quanto possano essere nocive, le hanno dato sempre un modo di vivere, di galleggiare.
Le Roi David rientrebbe nel Coming of Age, con la protagonista, sebbene non più adolescente – in modo stretto – che capisce la necessità di maturare, ma come sottolineano le battute finali, non ci sarà un vero e proprio cambiamento. Un mediometraggio realizzato in maniera lineare, a tratti documentaristico (la fuga dal centro commerciale, oppure le scene in strada), e dove le schegge artistiche (il Re Davide) sono appunto frammenti di sogno, di sublimazione.
Il disertore di Antonio Vezzari
Videoclip dell’omonima canzone di Turè Muschio che omaggia il poeta Bruno Misefari (1892-1936), soprannominato Furio il disertore. Misefari, anarchico e pacifista, disertò alla chiamata alle armi per la Prima guerra mondiale. E per tutta la sua vita si batté sempre contro le guerre.
Il videoclip ricostruisce, partendo dal testo, brevi pezzi della vita di Bruno, con uno stile fotografico che rievoca quel tempo passato.