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‘Nicola Nocella’: intervista su cinema, ambiente e critica

Intervista al Presidente di giuria di Cinema e Ambiente Avezzano, nonché apprezzato attore. Una piacevole e verace chiacchierata.

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Durante lo svolgimento di Cinema e Ambiente Avezzano, abbiamo avuto la possibilità di intervistare Nicola Nocella, che da 3 edizioni ricopre il ruolo di Presidente di giuria.

Vincitore di un Nastro d’argento, Nocella sin dall’esordio ha dimostrato le sue versatili capacità d’attore. Tra i film più noti, e in cui si può notare la finezza recitativa: Il figlio più piccolo (2010) di Pupi Avati; Rudy Valentino – Divo dei divi (2017) di Nico Cirasola; Il maledetto (2021) di Giulio Base.

Più che un’intervista, una piacevolissima chiacchierata, con Nocella che ha sempre risposto meticolosamente alle domande sfoderando un’innata simpatia e una giusta puntualizzazione.

 

Nicola Nocella: l’intervista

Sei Presidente di giuria di Cinema e Ambiente Avezzano. Come nasce questo rapporto, contributo con il festival?

Tutto nasce dal cortometraggio Da capo di Paolo Santamaria, in cui ero protagonista. Mi sono trovato molto bene con Paolo, umanamente, artisticamente e anche tecnicamente.

E dopo quell’incontro lavorativo, Paolo mi ha invitato a Cinema e Ambiente Avezzano per fare il Presidente di giuria, e non me ne sono andato più (ride). Semplicemente questo.

Ormai so che c’è questo appuntamento d’inizio d’estate, e anche il mio agente lo sa, quindi incastriamo le date per fare in modo che io sia qui, perché per me è una cosa importante, cioè unire il cinema e l’ambiente.

Quando sono venuto qui la prima volta, tre quattro anni fa, un festival del genere mi sembrava una cosa troppo avanti, avveniristica. Voglio dire: il cinema con l’ambiente, lo capirà la gente? Gli interesserà? Invece mi sono reso conto come adesso siamo quasi fuori tempo massimo.

Finalmente si sta sviluppando questa tematica, anche e soprattutto quando fai il cinema, cercando di fare set il più ecosostenibili possibili, come ad esempio fa Paolo Santamaria. È giunto il momento che ce ne occupiamo e ce ne preoccupiamo.

Il Presidente di Giuria è un ruolo. È più difficile questo oppure quello d’attore?

Assolutamente quello d’attore! So che ti aspettavi questa risposta (ride)

Veramente pensavo il contrario (sorrido)

Esatto, ti aspettavi il contrario. In realtà il Presidente di giuria è un ruolo molto semplice per me, perché la giuria è eterogenea, è fatta da tanti ragazzi, e ognuno di loro ha una sua opinione. Io mi faccio la mia opinione e ormai, come ti dicevo, è il terzo anno di fila quindi so come farlo.

Guardo tutti i lavori, e cerco di vederli nelle proiezioni quando c’è il pubblico, in maniera di vedere anche le reazioni del pubblico. Ovviamente da Presidente non imponi niente. Accogli quelli che sono i voti altrui, capisci qual è il parere e, diciamo, diventi dirimente soltanto nel momento in cui c’è un fifty fifty… ma devo dirti che non succede quasi mai.

Al massimo, ogni tanto mi innamoro di qualcosa, e quindi do una menzione. Ecco, una cosa che devo evidenziare: noi ci prendiamo del tempo per giudicare le opere, non diamo il giudizio domenica sera [ultimo giorno del festival, ndr].

Per la premiazione c’è una serata apposita, verso settembre-ottobre, che si svolge in streaming, perché sono moltissimi questi lungometraggi diretti e prodotti da nazioni molto lontane.

Alla premiazione possono collegarsi tutti i registi, e quindi diviene una cosa che ha veramente una fruizione globale. Ovviamente la premiazione in streaming è aperta a tutti, anche ai comuni spettatori.

Il tuo rapporto con la realtà ambientale abruzzese, però, era già avvenuta con La città invisibile.

Assolutamente si! Nel 2009 stavo facendo il film di Giuseppe Tandoi, che era la sua opera prima. L’Abruzzo era stato appena colpito da quel catastrofico terremoto, e L’Aquila era ancora distrutta e ferita.

L’Aquila stava appena riemergendo dalle macerie, e vedere quella realtà distrutta, ma con gli abitanti grintosi, per me è stata un’esperienza veramente umana.  Ho avuto un approccio con L’Aquila bellissimo, perché ho scoperto l’umanità. Ho capito chi sono gli abruzzesi.

Avevano bisogno di essere accolti, invece erano loro ad essere accoglienti. Devo dire grazie all’Abruzzo. E aggiungo: secondo me è una regione misconosciuta, ed è un errore grave che fa la gente…

L’Abruzzo non è soltanto arrosticini, e bisognerebbe iniziare a spiegare che l’Abruzzo è tantissima roba. Io sono molto felice di essere qua e contribuire nel mio piccolo a pubblicizzarlo.

Ecco, l’Abruzzo non viene mai considerato adeguatamente. Essendo una regione geograficamente periferica, viene considerata come una regione marginale, di “Serie B”. La Puglia è ugualmente periferica, ma le considerazioni e il rispetto nei suoi confronti sono ben più positivi.

Il problema è… se posso essere molto…

Puoi anche dire le parolacce, non c’è nessun problema (rido)

Tanto so che poi le censuri (ride)… No, volevo dire molto pratico.

È una questione d’investimenti. Non soltanto di denaro, ma investire anche sulle persone. Restando in ambito cinematografico, è necessario impegnarsi per far si che anche l’Abruzzo diventi centrale nel cinema, nella cultura e nel turismo.

Questo però è un lavoro che fai: A) Nell’arco del tempo. Non è una cosa che fai dalla sera alla mattina; B) Costruendo sul territorio delle risorse umane, non portando da fuori le persone che devono gestire la ricchezza del luogo, ma far crescere nel territorio gli autoctoni.

Adesso in Puglia non ti devi più portare i macchinisti, gli elettricisti, le sarte, perché ormai ci sono i più bravi d’Italia. Tutto ciò perché c’è stato un grande investimento economico, e anche una giusta visione dell’allora Presidente di Regione Nichi Vendola, nell’essere stato capace di intercettare e investire i fondi europei.

Questa è una cosa che l’Abruzzo dovrebbe fare: intercettare i fondi europei, e fare in modo che siano ben investiti. Ripeto: non portando sempre professionisti da fuori, ma che questi comincino a formare le persone che sono sul territorio. Spiegare alle persone abruzzesi che di cinema si può campare, anche restando a Ovindoli, Avezzano o Tagliacozzo.

Ricollegandomi al discorso degli arrosticini, uno dei piatti tipici abruzzesi, e facendo una connessione con il film Le frise ignoranti, in cui eri co-protagonista, non pensi che si potrebbero descrivere le peculiarità di una regione anche dal cibo?

Riguardo ciò… diciamo che mi viene più in mente Mine vaganti, o meglio ancora Focaccia Blues del compianto Nico Cirasola. Focaccia blues raccontava la storia di questo panificio che era riuscito a battere il McDonald’s (sorride).

Ma sai cosa, cibo e cinema sono due cose che hanno una connessione importante. Se tu parti da un cibo tipico, da lì poi sviscerare anche tutto il modo di fare cinema. Cibo e cinema sono due cose carnali, perché hanno bisogno di tecnica, di preparazione… Carnali nel senso di concreto e reale.

Hai citato Nico Cirasola, tuo conterraneo, e ti chiedo: non pensi che la Film Commission della Puglia dovrebbe investire maggiormente su questi autori autoctoni, che fanno un cinema identitario? Cirasola è stato sfortunato, perché ha sempre dovuto arrabattarsi.

In realtà Nico era un combattente, un guerriero da guerriglia, non so se riesco a spiegarmi (ride). Nico aveva il suo modo di fare cinema, di fare le cose e… aveva un suo modo di essere curioso.

Aveva uno sguardo ancora da bambino, ma allo stesso tempo quello sguardo… vorrei avere il tempo per trovare il sinonimo di paraculo, se mi dai un secondo lo trovo (e sbotta a ridere). Però, si è quello. Cioè era furbo.

Io ho avuto la fortuna di essere nel suo ultimo film che è Rudy Valentino ed era una cosa così strana. Quando venne da me mi disse: “Voglio che fai il Rodolfo Valentino”, anche se in realtà il mio ruolo era l’alter ego di un piccolo regista di provincia che dice: “Io voglio fare Rudy Valentino” pur non avendo il physique du role.

In ogni modo capisco quello che vuoi dire. Ci sono registi che non hanno la fortuna che hanno altri. Mi diceva Antonio Parente, una persona che mi piace citare e che è il Direttore della Film Commission della Puglia, uno di quelli che capisce veramente di cinema s 360º tra quelli che conosco.

Antonio Parente mi diceva che la filmografia di Nico è niente rispetto alla miriade di progetti che aveva presentato e cercava di portare avanti, ma che purtroppo si arenavano.

Però Nico era così, era un entusiasta. Credo che quel modo di fare cinema si sia un po’ perso, anche se questo sarebbe il momento giusto in cui dovrebbe esplodere.

Ad esempio con questo affarino che è il cellulare, puoi girare in 4K, cioè a una qualità altissima. Un programmino di montaggio lo scarichi velocemente, e quindi credo che questo sia il momento di fare guerriglia cinematografica.

Ecco perché mi arrabbio molto con i giovani che non lo fanno. Andate in giro, uscite di casa, girate, studiate sceneggiatura, studiate regia… Nico per fare tutto questo doveva comprare la pellicola, fare i buffi… però aveva una grande passione.

C’erano delle volte in cui s’incantava a vederci e non dava lo stop, perché gli piaceva quello che stava vedendo. Questo tipo di emozione dobbiamo ritrovare.

Passando dall’altra parte della barricata, da giudicato a giudicante, questa nuova veste ha apportato qualcosa al tuo modo di recitare? Ti ha fatto capire cosa fare e non fare?

Questo si, assolutamente. Perché quando sei Presidente di giuria guardi un sacco di opere, che arrivano da tutte le parti del mondo. L’anno scorso mi è capitato di vedere un corto cileno che ho rivisto 3 volte!

Non perché fosse bellissimo, ma perché ero incuriosito dal modo che avevano i due protagonisti di recitare. Era diverso rispetto al mio, quindi cercavo di capire. Dopo la visione di ogni film, mi sento più ricco.

Riguardo i giudizi, ricordo che nella tua rubrica su Best Movie avevi raccontato quando, quasi esordiente con Il figlio più piccolo, ti eri fissato su una recensione negativa, sebbene molte altre avevano lodato il film e la tua recitazione. Ricordo che avevi scritto che lo dicesti a Pupi Avati e lui ti sgridò.

Pupi Avati mi diede proprio uno schiaffo, per svegliarmi. Però permettimi, qui devo divagare un secondo.

Il problema è questo: Mark Zuckerberg ci ha lasciato la possibilità su Facebook di condividere “Cosa stai pensando?”.

Ci ha convinti che quello che pensiamo noi sia importante per il mondo. Certo, può anche essere vero, ma fino a un certo punto. Credo che i famosi sei gradi di separazione siano ormai bruciati, non esistono più. Fra me e Mattarella ce ne è uno solo. Tramite la tecnologia ho un modo rapido per arrivare a Mattarella.

Tra l’altro noi abbiamo questa abitudine: quando cerchiamo un locale su Tripadvisor, magari il locale ha 200 recensioni positive però noi ci fissiamo a guardare le uniche 3 negative. Perché siamo fatti così.

C’è il meraviglioso monologo finale di The Big Kahuna che dice: “Scordati le critiche negative, pensa solo alle cose positive. Se capisci come si fa spiegamelo”. Cioè è impossibile per noi farlo.

Le critiche negative oggi sono solamente cattive e brutte per il gusto di esserlo. Più sei cinico e più fai visualizzazioni. E quindi si cerca di essere più cattivi del solito, e tutto diventa una cazzata perché poi di costruttivo non rimane niente.

Oggi come oggi le critiche le leggo molto poco, e la cosa che faccio, se mi permetti, è trovare chi ha la credibilità. È ovvio che se mi stronca Maurizio Porro ci rimango peggio piuttosto che se mi stronca Victor Laslzo.

Fortunatamente nel settore ci sono ancora dei baluardi della critica credibile: c’è Sentieri selvaggi, Taxi Drivers, e molte altre.  Da tempo io leggo soltanto 25 critici, e non perché sono amici miei o perché parlano bene di me, anzi… ma perché sono i miei riferimenti.

Secondo me è una cosa che bisogna ricercare è la credibilità. E la credibilità è una cosa che bisogna scavare per trovarla. No?

Nel mio caso le critiche negative ricevute… lasciamo stare (rido)

Tu hai fatto il Centro Sperimentale. Non credi che sia giusto che, oltre alle canoniche lezioni sulla tecnica cinematografica, si comincino a fare discorsi di produzione green?

Si fanno, e come se si fanno. Anche perché i numero sono quelli. Più stai attento al fattore green, più risparmi nelle produzioni. È semplicemente una questione d’attenzione. Bisogna metterci solo un po’ di cura. Battiato usava, in una delle più grandi canzoni d’amore della storia italiana [La cura], non la parola amore, ma cura.

Cioè amare significa accudire, avere cura. E quindi noi per amare il pianeta dobbiamo averne cura. Quasi sempre ormai sui set usiamo un boccione d’acqua con i bicchieri, oppure le borracce. Certo, è una fatica, perché bisogna spostare il boccione, andare tutte le volte a riempirlo….

È molto più semplice prendere una bottiglia di plastica, però così creiamo solo spreco. Ecco, invece tutti ci siamo abituati a questa cosa, un passo alla volta.

Aspetta, mi fai solo dire una cosa su Best Movie? Sulla mia rubrica? Prima mi ero dimenticato.

Si certo.

Io sono molto contento di tenere quella rubrica là. So che sono concorrenti tuoi, ma al massimo questa risposta la tagli (ride)

No no… io no, al massimo il Direttore potrebbe farlo (rido)

La cosa che mi piace di più è la libertà. Con questa rubrica ho iniziato a raccontare di me. Ho cominciato a raccontare cosa significa questo mestiere. E via via ho tolto la retorica. Ad esempio due mesi fa ho cominciato a raccontare dei miei attacchi di panico sui set.

Faccio questa rubrica tutti i mesi perché per me è una boccata d’aria. Quell’oretta e mezza, due ore in cui mi metto a scrivere questa paginetta, per me è una boccata d’aria perché mi rimette in contatto con la gente e con il mio mestiere. Quindi è una cosa a cui tengo tanto tanto e ringrazio il direttore Vito Sinopoli che me lo fa fare. Poi se te la taglia il tuo direttore…

No, ma non penso (ridiamo insieme)

Prossimi progetti?

I miei prossimi progetti… questa è una bella domanda. La gente quando non ci vede in giro pensa che non stiamo lavorando. Quando ci vede in giro, invece, pensa che stiamo lavorando. È l’opposto.

Quando tu sei in giro a promuovere, è in quel momento preciso che non stai lavorando. Quando invece sei nascosto per 6 mesi è perché stai lavorando. Io vengo da 2 anni di nascondismo (ride) come direbbe Guzzanti.

Ho fatto prima, come protagonista, un film italo-tunisino per la regia di Mourad Ben Cheikh, che è andato a Cannes. È una commedia romantica, pensa. Poi ho fatto l’opera seconda di Stefano Landini, un film sul jazz.

Adesso il mio prossimo progetto sarà Lo chiamavano Rock ‘n’ Roll di Saverio Smeriglio, che abbiamo scritto insieme. È la storia di una amicizia in cui io non ho un ruolo da protagonista, e considera che me lo sono scritto io, quindi pensa (sorride).

Però è una storia necessaria che mi ha proposto Saverio Smeriglio. Ci siamo incontrati e l’abbiamo scritto insieme. Ecco, io voglio fare le cose che mi urgono.

E poi fra poche settimane, il 6 luglio, uscirà il film in cui sarò protagonista, e che ho anche scritto. Si chiama Rido perché ti amo. È una commedia romantica anche questa. Ci tengo molto a questo film, perché diventa un film politico.

Non ricordo un’altra commedia romantica in cui il protagonista è in un involucro di 140 kg ed è figo. Cioè: quello che ha la ragazza più bella del paese… è quello grosso (sorride); il più bravo pasticcere del mondo è… quello grosso.

È anche un opera manifesto, per dire che vorrei smettere di fare l’amico sfigato. Penso sia giunto il momento di spiegare al mondo, come diceva John Belushi, che i miei personaggi non devono sempre far sentire a disagio il pubblico.

Il mio progetto politico è quello di spiegare ciò, attraverso i miei personaggi. Ok, forse mi proporranno meno film, lavorerò di meno, però voglio sperare che un sedicenne obeso vedendo me possa dire “Ok, posso farcela!”.

Hai citato John Belushi. Lui è uno dei tuoi attori preferiti, e nella sua sfortunatamente breve carriera c’è anche un film ecologista, Chiamami aquila.

Che probabilmente è il suo film migliore diciamoci la verità.

Dicendo questo credo che i fan di John Belushi ti ucciderebbero. (rido)

No, perché il vero fan di John Belushi sa che Continental Divide è il suo film migliore. C’era una critica sul Post, non ricordo bene, che diceva come Belushi e la sua partner erano come Spencer Tracy e Katherine Hepburn.

In ogni modo, si mi prendo la responsabilità: Chiamami aquila  è il suo film migliore.

In un certo qual modo tu potresti essere il John Belushi italiano

Fratello mio, ho compiuto 40 anni tre giorni fa [14 giugno 1981], e per tanti anni ho pensato che sarei morto a 33 anni. Poi non sono morto a 33 anni e mi sono sentito in colpa.

Ricordo che in quell’anno conobbi la moglie di John Belushi, che è Judith Belushi Pisano, al Biograph Film Festival. Tra l’altro festival bellissimo che fanno a Bologna. Avevo avuto questo briciolo di contatto con lei, e quando compii 34 anni gli scrissi un tweet in cui gli dissi “Judy ho fatto l’unica cosa che mi riuscirà meglio di tuo marito, ho compiuto 34 anni”.

Lei mi rispose “Si vede che sei stato più bravo di lui a far la spesa nei negozi di liquore”.

In ogni modo, sebbene la mia rubrica chi chiama Belushi vive, mi piacerebbe scrollarmi questa “somiglianza”. Anche perché io gli somigliavo tantissimo prima, ma adesso sono quello che lui non potrà mai essere.

I capelli si diradano, il naso un po’ si allarga, invecchio… Poi di mio sono strabico… Credo che fra vent’anni sarò quello che John Belushi sarebbe stato se non avesse fatto quella vita. Quindi probabilmente la risposta sarebbe “triste”. E poi se vedi la fine che hanno fatto artisticamente Chavey Chase e company…

 

 

Abbiamo menzionato Nico Cirasola, John Belushi… questa intervista sta diventando una camera verde, però credo che sarai contento se ti domando di Francesco Nuti, da poco deceduto. Ho letto che uno dei tuoi film preferiti è Tutta colpa del paradiso. Tra l’altro è anche un film green.

Ti ricordi Lunedì film? (accenna il motivetto scat di Lucio Dalla). Io ricordo che Tutta colpa del paradiso è il primo film che ho visto da bimbo. E poi è una storia anche green. Mi ricordo benissimo quando Roberto Alpi dice a Nuti “Cosa fai, fumi? Ma sei scemo? Sei nei boschi!” (ride sonoramente)

E mi ricordo anche la bellissima colonna sonora scritta da Giovanni Nuti, il fratello di Francesco. Lonely man, con quella discesa di piano, la ricordano tutti; arriva a toccarti il cuore.

Ecco, Nuti parlava al cuore delle persone. Nuti era un bambino, e come tutti i bambini aveva dei difetti. Magari ogni tanto era un po’ discolo, sai, quei momenti di cattiveria che i bambini a volte hanno, e credo che avendo raggiunto il grandissimo successo, non glielo hanno mai perdonato.

Per me i tre film con Maurizio Ponzi, su tutti Madonna che silenzio c’è stasera, e poi i suoi primi tre film da regista… credo siano pietre miliari della commedia… anzi del cinema italiano. E pensa che a me piace anche Occhipinocchio, che non gli è venuto proprio bene (ride).

Però credo che Nuti sia uno di quelli che siano stati dimenticati troppo presto. Uno dei miei migliori amici era Ennio Fantastichini. Io ciclicamente parlo di Ennio: ne parlo, lo cito, lo twitto, lo posto… perché Montanelli diceva che gli italiani sono un popolo senza memoria, e io non vorrei che ci si dimenticasse di queste persone.

Nuti da tanto tempo era scomparso, per tanti motivi suoi, e quindi hanno fatto finta quasi che non ci fosse più.

Ultima domanda: cosa pensi delle critica?

Guarda, è una domanda molto difficile, a cui dare una risposta. Non sto scherzando. Il problema vero è che in questo momento la critica avrebbe bisogno di credibilità.

Non mi interessa se sei un critico perché hai un seguito, mi interessa se sei un critico perché sei credibile. Allora quello che tu dici per me ha un senso.

Ti faccio nome e cognome. A Maurizio Porro il mio film migliore non piacque, e per me fu una ferita enorme. Sicuramente ad altre 50 mila persone il film non piacque, però di quelli non me ne frega un cazzo; di Porro mi dispiace tanto.

Oggigiorno si è persa la dimensione della critica e si è giunti al consiglio. Viviamo di consigli, di gente che parla, per il gusto di parlare o perché ha un seguito sui social. Questi hanno un modo di comunicare giusto per l’epoca. Fanno queste recensioni chilometriche di 40-50 minuti con un atteggiamento molto pop e…

Ecco non me ne frega un cazzo! Te lo dico proprio così, so che non lo scriverai così

No no, io lo scrivo uguale a come me lo dici

 

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