Vincitore di vari premi nel circuito festivaliero internazionale, The Stupid Boy (2022) è il quinto cortometraggio del regista e scrittore britannico Phil Dunn, prodotto dalla sua casa di produzione Authentive e presentato al 17° IFF Integrazione Film Festival di Bergamo, arriva anche al Dieciminuti Film Festival.
The stupid boy: Trama
Una Londra distopica è pervasa dal suprematismo bianco con attentati per la capitale in nome del fanatismo cristiano. Uno studente neurodiverso, bullizzato a scuola e appassionato di fotografia, riuscirà a sventare il gesto kamikaze di un terrorista in un mercato a sud della città. Con due superpoteri: l’empatia e la comprensione.
Chi è lo stupid boy del titolo? Il ragazzo problematico che vuole progettare una macchina fotografica senza strumenti ottici o l’aspirante suicida fanatico e farneticante? Il corto struttura la dialettica drammaturgica tra i due in un costrutto chiastico. Con in apertura e in chiusura il giovane Michael nel suo contesto sociale (famigliare e scolastico) e incastonati centralmente la preparazione e il gesto folle del terrorista.
La relazione con l’altro
L’incontro a un attimo dalla bomba è girato con un senso della suspense accordato al dialogo paradossale tra i due. Ma è anche venato di tenerezza per il coraggio avventato e puro del protagonista. Il momento cardine del film rima con l’ideale religioso del Dio cristiano appreso da Michael in famiglia, nell’accezione di amore che egli tradurrà in relazione all’altro da sé, al diverso, grazie al varco di un abbraccio nel buio della solitudine. Senza retorica né paternalismi, Phil Dunn firma una parabola riuscita sull’inclusione contro ogni pregiudizio. Pur nella durata concisa del racconto, lavorando sulla pregnanza di ogni frase, di ciascuno sguardo degli interpreti.
Una riflessione sul cinema
The Stupid Boy avanza anche una riflessione sul cinema e sullo sguardo del dispositivo filmico, sulla sua intercessione nelle complicazioni di un mondo refrattario. Ma anche come accesso all’invisibile dell’umano. La non casuale passione quasi ingegneristica di Michael per la fotografia e il suo tentativo di costruire una macchina (con una sola scatola di cartone e una carta fotografica) diventa sineddoche e metafora del cinema stesso come costruttore di un approccio anticonvenzionale alle cose, di un’alterità di visione che è anche messa in atto per il cambiamento.
E i titoli di coda ambientati nella camera oscura dove Michael sviluppa le sue fotografie impossibili segnano l’urgenza della fede nei sogni e nell’utopia, tra cui quella per una civiltà multiculturale senza discriminazione alcuna.