Sul portale per cinefili MUBI, la recente scomparsa di Jean-Luc Godard può celebrarsi con la visione de Il maschio e la femmina, una delle sue opere cardine, di certo una delle più significative nell’ambito di un cinema improntato a sondare le inquietudini e le insoddisfazioni della gioventù in pieni anni Sessanta.
La condizione dei giovani nella Francia di metà anni Sessanta
Le vicissitudini del giovane ventenne Paul e della sua fidanzata Madeleine ci vengono illustrate attraverso quindici capitoli, che intendono far luce sull’insoddisfazione che colpisce gran parte della gioventù francese nella seconda metà degli anni Sessanta, ove il boom della società del consumismo sta per iniziare, specie in centri nevralgici come Parigi, che anticipa tendenze, mode e modalità di comportamento di massa.
Paul fa il magazziniere, ma nulla gli interessa della propria mansione. I suoi ideali sono ben altri, e nemmeno la tessera del Partito Comunista lo convince più. La sua posizione di anarchico, contrario ad ogni corrente di pensiero, lo rende sempre più scorbutico, intrattabile e predisposto a vedere cospirazioni in ogni angolo.
“Andavamo spesso al cinema.
Lo schermo si illuminava e noi avevamo un fremito.
Ma il più delle volte, Madeleine ed io restavamo delusi…
Le immagini erano datate e saltavano.
E Marilyn Monroe era incredibilmente invecchiata.
Eravamo tristi.
Non era il film che avevamo sognato.
Non era il film totale che ci portavamo dentro.
Il film che avremmo visto fare, oppure, forse più segretamente, quello che avremmo visto vivere.”
Il giovane ama Madeleine, che tuttavia lo frequenta più per abitudine, che per sincera predisposizione amorosa. Più intenta a garantirsi la posizione di cantante emergente, impegnata come è a registrare un suo primo 45 giri che potrebbe definitivamente lanciarla nel mondo della musica, almeno a livello nazionale.
Il giro dei compagni e degli amici di Paul non lo aiuta a trovare soluzioni al mal di vivere che lo assilla e lo rende intrattabile, persino nei dettagli apparentemente più futili. Siano il formato in cui viene proiettato un film al cinema, sia nei confronti di chi mette al centro di ogni argomento la guerra nel Vietnam.
E, tra episodi semiseri che si alternano ad atteggiamenti tra il folle e l’inquietante di chi entra in contatto del nostro sclerato giovane, la vita di Paul subisce un brusco e definitivo contraccolpo a causa di un episodio, apparentemente senza una spiegazione plausibile, che ci verrà raccontato solo attraverso le testimonianze, nemmeno troppo accorate, di chi ha avuto occasione di vivergli vicino.
Il maschio e la femmina – la recensione
Un ottimo Jean-Pierre Léaud impersona alla perfezione l’inquieto protagonista. Preso a tal punto nella lotta ideologica contro un sistema che non tollera più, ma che non sa riconoscere (né individuarne le contraddizioni), da divenire una sorta di simbolo sacrificale destinato ad immolarsi per la causa.
Logico per lo spettatore identificarlo con l‘Antoine Doinel che l’attore ha impersonato, crescendo e maturando assieme al suo personaggio, sotto la direzione di Truffaut (basti pensare a Antoine e Colette del 1962 o a I baci rubatiI del 1968).
Léaud, anche questa volta, dà vita a un personaggio simile, di giovane curioso e predisposto a cacciarsi nei guai, ma più tendente alla nevrosi, alla intolleranza verso chi non riesce più a comprendere, risultando completamente incapace di trovare la misura e la dialettica per risolvere con pacatezza la sua inquietudine.
“Questo film potrebbe intitolarsi “I figli di Marx e della Coca Cola”
Entrambi i personaggi interpretati da Léaud probabilmente impersonano il carattere che contraddistingue rispettivamente i due grandi registi. Figli di una stessa epoca e fautori di una medesima corrente cinematografica, ma diametralmente opposti quanto a carattere e attitudine nell’affrontare le faccende impervie di ogni vita.
Emblematica è la reazione che il personaggio di Paul ostenta nei confronti del proiezionista, colpevole di aver sbagliato il formato della proiezione, o nei confronti degli amanti omosessuali scoperti per caso nei bagni, tacciandoli sdegnato di codardia.
Il personaggio controverso e combattuto di Paul scopre, suo malgrado, che l’ideologia marxista che lo ha sempre galvanizzato non corrisponde più alle attitudini di vita e ancor meno ai desideri dei suoi coetanei, presi nel vortice consumistico che li sta allontanando da una consapevolezza per lui scontata.
Nel vigilare e studiare le contraddizioni che gli si presentano dinanzi, Paul si fa forza di utilizzare alcune linee guida come principi di approccio alla vita.
Teorie secondo le quali “Un filosofo è un uomo che oppone la sua coscienza all’opinione“, oppure “Avere una coscienza significa ritrovare il mondo“, “Essere fedeli significa fare come se il tempo non esistesse“, e ancora “La saggezza è solo vedere la vita. Vederla davvero. É quella la saggezza“, si rivelano nulla più che ingannevoli palliativi, che portano il protagonista sino a un baratro senza uscita.
Da questo punto di vista, il film è inevitabilmente lo specchio dei tormenti di un regista da sempre inquieto, ostile e nemico di un mondo futile nel quale si sentiva da troppi decenni come un alieno.
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