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‘Bang Bang Baby’ conversazione con Lucia Mascino

Reduce dal successo di Bang Bang Baby, Lucia Mascino è stata sin dal principio un’attrice in bilico tra diversi mondi

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Reduce dal successo della serie Bang Bang Baby e in questi giorni impegnata sul set de I delitti del Barlume, Lucia Mascino è stata sin dal principio un’attrice in bilico tra diversi mondi. Di questo e altro abbiamo parlato nella conversazione che state per leggere.

Lucia Mascino oltre Bang Bang Baby

Per questa conversazione ho rivisto molti dei tuoi film. In particolare mi ha colpito il tuo esordio in Un altro pianeta di Stefano Tummolini.

Il film di Stefano ha rappresentato la scoperta di un nuovo linguaggio. Da allora non l’ho più rivisto e forse adesso è arrivato il momento.

L’avevo visto in sala ai tempi della sua uscita e, nonostante mi fosse piaciuto molto, solo oggi mi rendo conto di quanto fosse necessario e premonitore rispetto ad alcuni dei tempi più scottanti e dibattuti del nostro tempo, primo fra tutti quello relativo all’identità di genere. 

Sì, il film è un’occasione per parlare dell’incontro profondo e intimo che può avvenire tra due persone al di là della questione del proprio orientamento sessuale. È un film libero e toccante in questo senso.

La scena finale esprime bene il senso del film, con l’amplesso amoroso chiamato a sublimare ciò che sembrava dividere gli amanti. 

Un altro pianeta mi ha regalato tanto. La scena finale mi sembrava così difficile da affrontare, ma ci siamo arrivati piano piano, percorrendo il film in senso cronologico e facendo 15 giorni di prove a tavolino. Poi una volta arrivati sul posto, la spiaggia di Capocotta vicino Roma, lo abbiamo girato tutto di fila. Eravamo solo noi attori, l’operatore Raul Torresi che curava anche la fotografia e Stefano Tummolini, il regista.

La scenografia erano le dune di sabbia, i costumi di scena dei costumi veri e propri da bagno. Non c’era nient’altro. Lo abbiamo girato senza risorse economiche, solo dopo è entrata una produzione, per alcune migliorie di suono e immagine, quando è stato scelto al Festival di Venezia. Questo piccolo grande film ha avuto un destino fortunato: è stato scelto, dopo Venezia, al Sundance film festival di Robert Redford nel 2009 come unico film italiano. Il lancio del cuore oltre l’ostacolo aveva funzionato. Anche allora come adesso, per Bang Bang Baby, sapevo del progetto alcuni anni prima di farlo e mi ci ero immaginata dentro fin da subito. Mi sembra di poter dire che entrambi i progetti fossero nel mio destino, anche se non sapevo esattamente quando.

Lucia Mascino fino a Bang Bang Baby

Un altro pianeta e Bang Bang Baby sono il primo e l’ultimo lavoro di un corposo corpus filmico e televisivo di Lucia Mascino. In entrambi sono presenti alcune costanti della tua carriera artistica. Penso alla coralità delle storie, alla sperimentazione dei progetti, ma anche alla condivisione del lavoro inteso come sforzo collettivo per il raggiungimento del medesimo obiettivo. Con Filippo Timi e, per esempio, con Alessandro Rossetto era come se tu facessi parte di una compagnia teatrale. 

Mi ritrovo in quel che dici. Mi capitano spesso situazioni in cui è possibile sperimentare qualcosa di nuovo. Come prima web series italiana anche Una mamma imperfetta lo è stata, diventando un vero e proprio caso. Ed è vero che Un altro pianeta era una specie di compagnia teatrale, non solo perché eravamo un gruppo ristretto di attori sempre presenti in quell’unica giornata al mare che si racconta, ma anche perché lo abbiamo provato per 15 giorni prima di iniziare. Il protagonista era Antonio Merone che ha scritto il film insieme a Stefano Tummolini e poi in primo piano c’era l’incontro con Daniela, il mio personaggio. Nel caso di Una mamma imperfetta eravamo 4 mamme protagoniste, ma il filo del racconto lo portavo io, in quel caso con un vero e proprio video diario.

Anche Bang Bang Baby è un progetto corale, ma in questo caso il punto di vista del racconto è quello di una ragazza adolescente, mia figlia, in lotta tra bene e male.

Prima di fare l’attrice dipingevo molto, scribacchiavo, disegnavo, ma sentivo il desiderio di fare qualcosa di artistico insieme agli altri, non più da sola. Credo sia nata da lì la spinta per abbracciare questa strada. Dunque, ragionando sulla tua domanda, dico che ci deve essere qualcosa che vado cercando. Tutto questo, essendo consapevole che ognuno, all’interno di una coralità, deve poter incidere la sua singolarità e la sua impronta nello spazio che gli viene dato. La Gabriella di Bang Bang Baby è una figura struggente, ingenua, allegra, bisognosa di appoggi, che crede nell’indipendenza, ma fa fatica a indossarla. È un personaggio distante dai ruoli a cui sono più spesso abituata.

Una Lucia Mascino sempre in movimento in Bang Bang Baby

Rispetto ad altri personaggi quello di Gabriella ti offre la possibilità di privilegiare l’azione alla riflessione. Nel film ti muovi molto e in generale ti confronti con una dimensione da action movie assente in altri lavori.

Sono una fan “dell’azione” nelle scene. Piccola o grande che sia. In Marriage Story ad esempio gli attori non smettono mai di muoversi mentre parlano. Durante la lavorazione della serie Bang Bang Baby a un certo punto ho detto a voce alta non mi fate stare ferma; solo l’azione ci libera dalla retorica. Adriano Giannini, che era in scena con me in quel momento e con il quale mi sono trovata molto bene è scoppiato a ridere. L’azione di Gabriella è quella di stare in un difficile equilibrio, tra le bugie che ha detto per 10 anni e quindi il suo senso di colpa, e il legame puro e sincero con la figlia. L’azione è quella di strapparla dal mondo dove l’ha fatta nascere e crescere per i primi cinque anni della sua vita di bambina.

Consideravo l’azione anche in termini di action, legata cioè ai codici di genere.

Considera che ne I delitti del Barlume interpreto un commissario di polizia che a volte si presenta con una pistola in mano, ma è vero che Bang Bang Baby è una serie immersa ancora più nell’action, anche se, alla fine, scava scava, il cuore del racconto è nel bisogno che ha una figlia di essere amata dal proprio padre e di capire il suo posto nel mondo. La commistione di generi tra Crime Comedy noir melodramma, non toglie nulla alla profondità di sentimento, di cui, tra l’altro, avevo grande voglia come interprete. 

Anche quello di Gabriella come altri ruoli da te interpretati appare inizialmente dimesso per poi aprirsi a un’evoluzione psicologica che la porta su posizioni opposte. Qui come in Un altro Pianeta i tuoi personaggi rivelano un impegno addirittura militante.

Concordo. In generale anche nelle persone mi piace molto la capacità di sorprendere. Parlo della possibilità di tirare fuori un aspetto non così visibile al primo sguardo e che dopo aver covato dentro al protagonista all’occorrenza si rivela. D’altronde i personaggi che si trasformano come fanno a non essere affascinanti? Il cambiamento ti dà la possibilità di esplorare più aspetti della personalità umana.

Lo sguardo

Fin dal primo film una costante delle tue performance è quella di partire da una neutralità espressiva in cui sono soprattutto gli occhi a restituire il mood dei personaggi.

Ciò che dici mi lusinga e allo stesso tempo spiega la mia ritrosia a vedere le serie nel cellulare che è uno spazio troppo piccolo per poter cogliere queste cose. Il cinema mi affascina proprio perché è una lente di ingrandimento. Un viso guardato nel grande schermo permette di calarti come uno speleologo dentro gli occhi di chi guardi. La mia attività preferita direi. Per questo, come attrice, mi piace siano loro, gli occhi, a parlare, perché sono quelle le finestre del corpo, quelle da cui si affaccia ciò che provi. Certo è vero che tutto quello che viviamo e sentiamo è contenuto nel nostro corpo, non si vede solo negli occhi, però se tu mi chiedi se mi piace l’idea di recitare con quelli ti rispondo di si perché il cinema è lasciarsi guardare, il teatro è farsi vedere. Come spettatrice mi affascina entrare nelle vita dei personaggi così come nella vita mi piace entrare in quella delle persone. Guardare negli occhi le persone che incontri è forse il viaggio più grande che si possa fare. Mi accorgo parlando con te che questa storia degli occhi è molto presente per me, sarà per il nome che porto. Santa Lucia li protegge.

Della tua recitazione lo spettatore si porta a casa gli occhi e quindi l’anima del tuo personaggio. 

Caterina Carone in Fräulein – Una fiaba d’inverno, in cui ero una zoticona di montagna, scontrosa e burbera, mi ha regalato una scena finale dove all’ultimo mi fa guardare in camera dritta negli occhi degli spettatori, che è un po’ come dire che lei, il personaggio del film, Regina, dopo anni di isolamento ricomincia a vivere e quindi a far coincidere il suo sguardo con quello di chi guarda. È come baciarsi in bocca. È la simultaneità che emoziona. Non prima uno e poi l’altro, come il bacio sulla guancia, ma nello stesso istante.

L’hai fatto anche ne La mamma imperfetta.

Al cinema mi è capitato solo nel film di Caterina. Ed era uno sguardo senza aggiunta di parole. Ma anche nel La mamma imperfetta mi è piaciuto farlo. È come se si andasse dritti al punto, senza girarci intorno.

Alcuni elementi dei personaggi

L’equilibrio tra le diverse nature dei tuoi personaggi emerge anche dall’uso degli accessori, e per esempio dalla mise dei capelli. Non appari mai del tutto bionda. Il più delle volte la chioma castana lascia intravedere solo sfumature di biondo. Così succede con la foggia dei vestiti che solo in parte esaltano l’armonia della tua figura. Questo per dire come i tuoi personaggi siano costruiti per aprirsi un poco alla volta, partendo da una posizione che rimane sempre in bilico.

Bello il bilico; è una definizione che mi piace perché spiega bene da dove nasce la volontà di movimento. Se fossimo totalmente in equilibrio credo che non potremo muoverci. L’instabilità ti obbliga a fare qualcosa e per esempio a spostarti per trovare una nuova posizione.  

Anche dal punto di vista della sensualità i tuoi sono personaggi in bilico.

Intendi che sono un po’ esposta e un po’ no… 

Esattamente.

Probabilmente sì, perché poi Gabriella come donna non esita a mettersi la minigonna. A questo proposito voglio sottolineare il grandissimo lavoro ai costumi di Luca Canfora, come anche quello  al trucco e ai capelli. Sono entusiasta dell’equipe artistica di Bang Bang Baby, perché ci ha dato un’ulteriore possibilità di comunicare.

Peraltro la gonna sottolinea l’evoluzione psicologica del tuo personaggio nel momento in cui per recuperare la figlia decide di prendere in mano la propria vita. Gabriella è l’unica figura normale in un panorama umano che non lo è.  

La gonna, anzi la minigonna, è abbastanza onnipresente in Gabriella. Invece l’idea di essere l’unica figura normale in un panorama non umano mi colpisce. Anche Alice però combatte tra i due mondi ma in fondo è un po’ bionica pure lei nel senso di saper fare cose che una ragazza della sua età non sa fare.

Lo spazio

Come in Un altro pianeta anche in Bang Bang Baby sei tramite di mondi diversi. Il tuo personaggio vive in uno spazio reale mentre gli altri in quello creato dagli autori della serie. Se non fosse per te sarebbero dimensioni destinate a restare separate.  

Questo non lo so, ma certo l’idea di avere quella qualità che si studiavano alle medie a proposito dei metalli mi piace. Sono un conduttore. L’elettricità mi passa attraverso e la restituisco a chi mi è vicino. Infatti nella vita sento spesso il bisogno di toccare le persone. Non avevo mai riflettuto su questa cosa, ma adesso che me lo dici inizio a metterla a fuoco. Non pensavo a Gabriella in questi termini, ma è vero, anche lei cerca di mettere in comunicazione mondi diversi e che sembrano incompatibili. Ne ha bisogno deve fare pace con parti separate della sua vita. Devo ammettere che interpretarla non è stato per niente facile perché non riuscivo a capire come rendere la sua natura ingenua e allo stesso tempo il suo essere “compromessa” allo stesso tempo. Non sapevo se alleggerirla o darle peso, se darle una forza o una debolezza. Ho deciso di scegliere l’allegria come strada iniziale perché volevo che la freschezza dei suoi modi alleggerisse il peso e la colpa delle sue bugie. Poi lentamente negli episodi abbiamo cercato la sua forza. Tutto, ovviamente, in accordo con il racconto e confrontandomi con il regista Michele Alhaique. Lavorare insieme è stato bello, è stato ritrovarsi. Avevamo recitato insieme anni fa ne La prima Linea di Renato De Maria. Essendo stato attore Michele sa capire come parlarci e questo è sicuramente stato importante. Come dicevi, Bang Bang Baby è stata una scommessa, perché abbiamo sperimentato un terreno mai battuto prima, e mi sembra di poter dire che sia una scommessa riuscita.

Alcuni riferimenti in Bang Bang Baby

La sperimentazione ha riguardato anche l’eterogeneità della materia cinematografica in cui è possibile riconoscere autori e generi diversi: dal Kusturica di Underground alla Wertmuller dei film con Giancarlo Giannini ma anche il cinema americano. Uno su tutti Sin City di Robert Rodriguez. Se ci pensi la coppia formata da Nereo Ferraù e Belfiore è quanto di più vicino a quella composta da Marv e Nancy, interpretati rispettivamente da Mickey Rourke e Jessica Alba. A suo modo entrambe le coppie sono una rivisitazione de La bella e la bestia

Interessante.

Ciò che vediamo in Bang Bang Baby non dipende solo dalla rappresentazione che ne danno i personaggi, ma anche dal concept che c’è dietro a cui contribuisce l’insieme del cast tecnico. Volevo chiederti in che maniera la tua recitazione è stata chiamata ad armonizzarsi all’eccezionalità del contesto?

Più elementi artistici ci sono, maggiore è il nutrimento che si riceve a recitarci dentro. È un po’ come recitare con la musica accesa. Quando mi è capitato di farlo, non al cinema ma ne Il piccolo Principe, spettacolo del Maggio fiorentino – in cui dividevo il palco con Filippo Timi, e in cui avevo curato la composizione del testo e di testo e musica, è stato trascinante perché le note portavano con loro una serie indicibile di emozioni da cui era naturale farsi trasportare. Nel cinema sono la fotografia, le scenografie, i costumi a fare la stessa cosa. Sono loro a farti sentire ancora di più dentro l’atmosfera della storia. Specialmente quando lo stile non è naturalistico come era per Un altro pianeta.

Bang Bang Baby, invece, è quasi difficile classificarlo, sfugge alle definizioni di una sola parola. È molte cose insieme, ma al di là della costruzione complessa e ricca di citazioni, l’importante è che il sangue che scorre nelle vene del racconto sia vero. La paura sia vera, come pure la profondità dell’amicizia, il bisogno di essere riconosciuti e amati da chi ti ha messo al mondo. Per abbattere lo stile fine a se stesso, quindi, al centro devono esserci ondate di emozioni vere, di paure vere, di bisogni veri. Le emozioni, insomma, devono rompere l’artificio della scena; un po’ come succede in The Truman Show, quando alla fine si squarcia il cielo di carta e si sente la vita al di la della finzione. Molte serie che vedo mi sembrano costruite su ricette già scritte, mentre, credo non ci siano formule che bastino da sole per fare un’opera. Deve sempre restare viva l’ispirazione e bisogna avere il coraggio, là dove si sente, di muoversi su un terreno indefinito e sperimentale. Non ci sono ricette per l’arte. Deve accadere. Si può solo studiare tanto e preparare tutto perché accada ma non si può prevedere. E poi c’è un altro tema di cui mi piacerebbe parlare. Vorrei che ai personaggi che interpreto si possa voler bene, o quantomeno, per un attimo, si possa stare dalla loro parte. Perché accada devo farlo io per prima, bisogna smettere di giudicare e di guardare le persone (o i personaggi) da fuori. Anche con Gabriella ho fatto lo stesso, sperando di trovare come consegnarla a chi guarda con l’interezza della sua dignità emotiva, dei suoi come e dei suoi perché. 

Un’altra opera con Lucia Mascino prima di Bang Bang Baby

A proposito di azzardo artistico, di sperimentazione e di senso collettivo del lavoro, non posso non chiederti di Favola, un film che alla pari di Bang Bang Baby presenta un apparato formale ed estetico che affianca gli aspetti emotivi della recitazione. Ancora una volta ad accompagnarti è stato Filippo Timi. 

Favola è nato come spettacolo teatrale rimanendo in scena per 5 anni con più di 300 repliche. Faceva morire dal ridere e nel corso degli anni abbiamo avuto attestati di stima da pubblico e colleghi  al punto che anche Mariangela Melato venne in camerino per farci i complimenti. La pièce è stata scritta e interpretata da Filippo prendendo spunto, in alcune parti, da dei miei ricordi personali. Il film invece è stato diretto Sebastiano Mauri. È stato bello farlo al cinema perché la settima arte è riuscita a immortalare e a trattenere l’essenza dello spettacolo teatrale evitando che questa finisse con la conclusione delle repliche. Di Favola ho appeso il poster a casa perché per me è un lungo pezzo di vita. Lo spettacolo è iniziato nel 2010, il film si è concluso con l’uscita al cinema, nel 2017; e poi dentro c’è tutto il mondo, anche quello più folle e surreale. Insomma ci sono proprio legatissima, e sono molto grata a Filippo che l’abbia scritto e diretto in teatro. Emerald, il mio personaggio, è diventata una specie di parente molto prossima, di cui conservo in armadio persino le scarpe con dentro il suo nome. 

A livello di make up e di accessori Favola ci dà la possibilità di scoprire una Lucia Mascino come non si era mai vista. A un certo punto appari in una una versione contemporanea di Marilyn. 

Tieni conto che con noi hanno lavorato Aldo Signoretti e Maurizio Silvi, che hanno lavorato in Mouline Rouge. Parliamo di due persone che hanno fatto capelli e trucco a Nicole Kidman e che adesso hanno appena realizzato Elvis sempre di Baz Luhrmann. Nel nostro caso ci hanno trasformato in due splendide signore americane degli anni cinquanta. Mi sono divertita tantissimo a indossare vestiti e bustini anni cinquanta perché aiutavano il mio corpo a stare in una super femminilità totalmente classica. Per me si è trattata di una trasformazione a 360 gradi, all’interno di un contesto del tutto anomalo in cui non sai se ridere o piangere.

Cinema e teatro

Favola è anche l’esempio dell’osmosi tra teatro e cinema che ti ha permesso di portare nel secondo la voglia di sperimentare del primo. In questo senso Una mamma imperfetta, web series suddivisa in pillole di quindici minuti ma anche I racconti del Barlume, da anni presente sugli schermi televisivi con due episodi a stagione, vanno nella stessa direzione. 

Proprio adesso mi trovo a Marciana Marina per girare nuovi episodi del Barlume. Anche se non così sperimentale stiamo parlando di un progetto che non si è mai interrotto neanche durante la pandemia e che per quanto mi riguarda presenta un personaggio, il mio, che in Italia non si era mai visto: una donna un po’ all’americana, con la piega perfetta e una buona dose di ironia. Anche qui abbiamo un incrocio di qualità poco presenti sia nelle serie americane che in quelle italiane. 

Un personaggio, quello del commissario Vittoria Fusco, con un privato anche trasgressivo rispetto all’ordine e alla legalità di cui si prende cura.

Sì, esatto (ride, ndr). Ovviamente è un personaggio in cui mi sento comoda. È una che osserva il mondo intorno e da come lo guarda si può capire come lo sta valutando. È una che al posto degli occhi ha dei raggi infrarossi; è lei la macchina da presa che osserva e elabora le cose. I delitti del Barlume è una serie indiscutibilmente leggera, senza alcuna pretesa né intenzione di raggiungere una profondità emotiva. Il suo bello, oltre la capacità di stare in una leggerezza che non è mai superficialità, è che i personaggi sono tutti dei perdenti come quelli dei fratelli Coen. Io dicevo sempre che eravamo l’arma spuntata di Gomorra (ride, ndr). Non ci è richiesta una profondità emotiva, ma solo una certa purezza propria dei personaggi. Per questo in Bang Bang Baby mi ha fatto piacere ritrovare un personaggio opposto dal punto di vista estetico ed emotivo a quello di Vittoria, perché potrebbe essere sempre pericoloso ripetere lo stesso tipo umano.

Fortunatamente Roan Johnson nei nuovi episodi ha deciso di metterci tutti in situazioni nuove. E comunque stare nella leggerezza non è mica una cosa sciocca. Anzi, è anche quello imparare a volare. E spesso a suonare una musica. La commedia è ritmo, l’umano è riempire quel ritmo di te.

La trasformazione in un personaggio popolare

Certo è che il successo di queste serie ti hanno portato a confrontarti con la ripetizione e la riconoscibilità. In termini di recitazione è qualcosa di cui hai dovuto tenere conto. Da lì in avanti sei diventato un personaggio popolare. 

Eh sì, esatto. Non sono mai stata una che voleva necessariamente esserlo. La prima volta che ho spedito le foto a un’agenzia mi sono detta che non avrei mai voluto diventare popolare, poi negli anni ho capito che era una carta necessaria per poter lavorare. La mia fortuna è stata di iniziare nello stesso anno serie in cui interpretavo figure antitetiche: da una parte dovevo essere una mamma affannata e affaticata, con una vita quotidiana fatta di figli, marito e amiche. Parliamo di un personaggio buffo e caldo. Esattamente l’opposto di ciò che è il commissario de I racconti del Barlume. Questo mi ha impedito di essere associata a una sola cosa: iniziare con questa biforcazione ha evitato che i registi iniziassero a chiamarmi per fare sempre lo stesso personaggio. Credo che anche questo faccia parte di quello che sottolineavi, e cioè del mio essere in bilico tra elementi diversi. D’altronde come persona un giorno posso essere ultra socievole, pronta a condividere pensieri e cose, il successivo invece cammino da sola e sembro un husky. 

Se uno non ti conoscesse e si riferisse a te solo attraverso i lineamenti potrebbe perfino credere che tu non sia italiana. La tua fisiognomica conferma l’eterogeneità degli elementi che convivono in te. Alla freddezza della tua figura nordica aggiungi il calore dei tuoi occhi. Ancora una volta parliamo di una personalità in bilico. 

In effetti sembro un po’ nord europea. Per certi versi è anche una buona cosa perché a seconda di dove ti affacci vedi i paesaggi diversi. Poi è vero che anche una donna dai lineamenti mediterranei può fare lo stesso più ruoli. Gli attori dipendono molto dal gusto degli altri, però,  essere più cose insieme a me fa piacere. La ritengo una dote, lo dico senza falsa modestia. 

Un altro film con Lucia Mascino oltre Bang Bang Baby

Un altro lungometraggio di cui volevo chiederti è Amori che non sanno stare al mondo. Non te ne parlo solo perché tra i tuoi lavori è forse quello che amo di più. Mi sembra infatti che il film di Francesca Comencini rappresenti qualcosa di a se stante rispetto ad altri film. Di quel cineromanzo sei assoluta protagonista ancora più di Thomas Trabacchi perché la metabolizzazione del lutto amoroso è raccontato tra dramma e commedia attraverso il tuo personaggio. 

Pensa che dopo il provino in cui dovevo recitare la lite notturna tra me e Thomas abbiamo dovuto aprire le finestre per la quantità di energia che avevo rilasciato. Considera che a un certo punto si era entrati in una fase di stallo in cui sembrava che il film non si potesse più fare. Francesca un giorno mi chiama dicendomi che di notte aveva sognato i miei occhi che la guardavano e gli dicevano di fare il film. Questo per farti capire perché Amori che non sanno stanno al mondo è stato il mio film del cuore. La protagonista aveva degli elementi tanto diversi dentro, un mix di dramma e comicità pazzesco e se vuoi anche un alto tasso di esposizione: nonostante la mia pudicizia il fatto di dover girare delle scene d’amore in cui dovevo apparire nuda non mi ha fatto dubitare neanche un momento sul progetto. Quando Francesca mi ha detto di non averne mai girate io gli ho risposto che anche per me era la prima volta, eccezion fatta per quella presente in Un altro pianeta. Nello scegliermi Francesca mi ha regalato la sfida più grande e più bella, quella di raccontare l’elaborazione di un lutto amoroso avendo vicino attori super come Carlotta Natoli Thomas Trabacchi. Francesca Comencini è una signora regista: con lei sentirmi sulle spalle la riuscita della storia mi ha fatto sentire bene per anni.

Peraltro uno dei punti di forza del film è stata la scelta di attori protagonisti come te e Thomas, che per la prima volta interpretavano i ruoli principali in una grossa produzione mainstream. Di solito produttori e registi preferiscono andare sul sicuro proponendo volti noti e popolari mentre Francesca ha capito che la freschezza dei vostri volti poteva dare maggiore forza a quello che dovevate raccontare. In effetti così è stato. 

Purtroppo quello di prendere un attore e spremerlo fino allo sfinimento nello stesso ruolo è un po’ il nostro difetto. È un grande segnale di insicurezza e di immobilità perché se un regista non riesce a scommettere su un attore che magari non ha fatto cento film da protagonista non ci sarà mai occasione di ampliare la possibilità di scelta e dunque di resa artistica. Io devo ringraziare Francesca di avermi dato quello spazio perché è qualcosa che mi ha fatto crescere tanto. Mi mancano ruoli come quello di Claudia: vorrei avere un’altra occasione come quella. Ne sento il desiderio e la necessità. Amori che non sanno stare al mondo l’ho portato dappertutto, in Italia e all’estero, riscontrando piccole e grandi reazioni in vari paesi del mondo. In Siberia un signore mi ha chiesto se poteva prendermi in braccio e tenermi sollevata tra le sue braccia cosi. Ho detto di sì.

Una scena

Per parlare del modo in cui costruisci le tue performance ho scelto di chiederti della scena finale di Un altro pianeta. Si tratta di una sequenza senza dialoghi in cui molto dipende da come gli attori riescono a incarnare il sentimento della storia che in quello spazio raggiunge il suo apice con un colpo di scena imprevisto. L’amicizia di Daniela e Salvatore si trasforma in una relazione intima e carnale resa verosimile da una performance in cui anche il corpo è chiamato a recitare. 

Ero al mio primo film e allora come oggi ero una persona pudica. Per superare l’imbarazzo mi sono immaginata che quella non fosse una sequenza amorosa. Ho pensato di mettere in scena una fame e una sete, che i baci fossero aria, ossigeno. La consapevolezza che quello era un gesto sessuale mi impediva di viverlo e dunque di replicarlo davanti alla macchina da presa. Mi sembra che la sessualità sia una cosa difficile da raccontare perché è qualcosa che o c’è o non c’è. È un pezzo di vita che non può essere citato quindi non riuscivo a capire come renderlo fino a quando non ho pensato di fare così. Per amori che non sanno stare al mondo avevo chiesto a Francesca di mettere una musica super struggente e alla fine l’abbiamo fatta in un solo ciak, vivendola come fosse una danza. Nella recitazione il problema è lasciarsi andare e per farlo rispetto alla materia sessuale ci vuole senno e ne deve valere la pena.  

Tante presenze

A differenza di altri attori tu sei presente in diverse piazze d’Italia: lavori spesso con Alessandro Rossetto nel nord est sei presente su Roma, ma anche a Milano dove collabori con il teatro Franco Parenti. In questo senso è come se appartenessi a tante comunità. 

Sì, è vero, appartengo a tante famiglie e questo forse deriva dal mio bisogno di sentirmi libera. Il Franco Parenti di Milano è tuttora uno dei teatri a cui sono assolutamente legata perché ha una programmazione ma anche un pubblico molto bello. Alla fine penso che l’imprinting teatrale me lo porto addosso, quello di spostarmi da un mondo all’altro chiedendomi a quali dei tanti appartengo. Alessandro l’ho conosciuto tantissimi anni fa in un laboratorio cinematografico. Lui faceva solo documentari io solo teatro per cui non avremo mai pensato di lavorare insieme. Poi ha fatto Piccola Patria e mi ha chiamato. 

Il cinema di Lucia Mascino

Parlando del mestiere d’attore Marcello Mastroianni diceva che bisognava prenderlo come un gioco. Orson Welles da parte sua affermava che gli attori dovevano essere persone poco raccomandabili per enfatizzare la necessità dell’arte di essere destabilizzante e pericolosa. Rispetto a loro tu dove ti poni?

Posso tenerle tutte e due? Un po’ Orson un po’ Marcello?

Per concludere ti chiedo qual è il cinema che preferisci?

Tra i film mi vengono in mente Quel pomeriggio di un giorno da cani, Stand by Me, L’albero degli zoccoli, Fargo, Parla con lei, Io e Annie. Ultimamente mi sono piaciuti Marriage story, Finale a sorpresa, Esterno notte.

I miei miti di sempre sono Meryl Streep, Frances Mac Dormand, Monica Vitti, Clint Eastwood, Adam Driver artefice di un percorso meraviglioso Olivia Colman mi entusiasma. Tra gli italiani mi è piaciuto moltissimo Fabrizio Gifuni nel film di Marco Bellocchio. Elio Germano ha il dono della freschezza e del trasformismo; Margherita Buy è trasparente, le leggo i pensieri. Teresa Saponangelo nel film di Sorrentino – film che mi ha riempito di emozione – è semplicemente fantastica, la dimostrazione che ci sono attori talentuosissimi a cui non sempre vengono date le occasioni che meriterebbero.  

Quelli che hanno lavorato con me in Bang Bang Baby sono tutti bravissimi. La qualità in Italia c’è. Bisogna solo avere più coraggio di inseguire l’ispirazione, la visione e molto meno le ricette scritte a tavolino.

Bang Bang Baby è disponibile su Prime Video.

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