Le 5 serie da guardare su Amazon Prime Video sono cinque eventi da non perdere assolutamente.
La concorrenza dello streaming è sempre più agguerrita: ma se Sky ha il prodotto più mainstream, e Netflix indubbiamente l’offerta più ampia, Prime Video si conferma come una piattaforma di qualità, scegliendo alla quantità la cura dei suoi prodotti.
THE BOYS
Solo qualche settimana fa, su Amazon Prime Video è stata rilasciata con successo The Boys Presenta: Diabolico!, una serie antologica ispirata ai personaggi di Garth Ennis e che offre un prelibato antipasto in attesa della prossima terza stagione.
The Boys è un’ode alla violenza e alla scurrilità, nel modo in cui di questi temi il postmoderno si è fatto bandiera: la messa in scena della violenza per puntare il dito contro la violenza è uno degli stratagemmi più vecchi al mondo, eppure la creatura di Seth Rogen utilizza ogni metodo metanarrativo per farsi accattivante nonostante (o forse proprio per) la sua grettezza, il suo essere cruda, sporca e spiazzante. Perché poi fondamentalmente The Boys è uno dei ritratti più disillusi del capitalismo sfrenato e del potere che alimenta gli impulsi più depravati che ognuno di noi nasconde a sé stesso sotto la corazza etica.
Ed è proprio il ritratto del capitalismo all’ennesima potenza che presta il fianco a una storia di revisionismo supereroico: quanto mai attuale nel 2020, anno di censure e crociate antirazzismo nell’America che ha creato il concetto stesso di vigilantismo, nel quale è insito l’uso della violenza per farsi giustizia da sé.
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DOOM PATROL
La serie DC Original decide furbescamente di pescare un po’ di qua e un po’ di là: idee dalla “prima vita” della Doom Patrol si uniscono a suggestioni del periodo Morrison (ad oggi, a fumetti, quello migliore e più conosciuto): Cliff Steele è un pilota di auto da corsa che a seguito di un brutto incidente vede il proprio cervello trapiantato nel corpo di un robot; Larry Trainor, ex pilota d’aerei, nasconde la sua omosessualità dietro un matrimonio di facciata, finché un’entità lo distrae e fa schiantare a terra un mezzo da lui guidato, si lega a lui e lo costringe a celare il suo corpo ustionato sotto metri di garze; Rita è un’attrice della vecchia Hollywood che scopre di tramutarsi in una massa informe quando perde la concentrazione; infine, Jane ha 64 diverse personalità, ognuna con un superpotere specifico.
Questo insolito gruppo di freak viene raggruppato da Chief, che dà loro ospitalità finché una minaccia dal suo passato non li travolgerà.
Il tema non è proprio originale: personaggi con superpoteri loro malgrado, che non vogliono le loro abilità, né hanno desiderio di servirsene per aiutare il mondo. Doom Patrol mette però a frutto il meglio del revisionismo supereroico che viene da lontano (esattamente, dal Wathcmen di Alan Moore) sposando un’ironia feroce e sarcastica che non risparmia niente e nessuno, arrivando a sfondare la quarta parete esattamente come Morrison faceva nei suoi volumi a fumetti. La serie allora vince perché gioca con le aspettative del pubblico e le sovverte
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INVINCIBLE
I primi episodi di Invincible non solo seguono l’ossatura del primo, secondo e parte del terzo ciclo narrativo del fumetto originale di Robert Kirkman (Affari di Famiglia, Otto Bastano e Perfetti Sconosciuti), ma ne traslano sul piccolo schermo anche l’apparato grafico e visuale: il segno chiaro, pulito e tradizionale ma allo stesso tempo ipercinetico e debitore delle influenze manga di Cory Walker prima e Ryan Ottley dopo, è il punto di partenza per creare l’Invincible Universe.
Sfruttando argutamente anche l’abitudine delle scene post credit, inserendo allora uno snodo fondamentale della trama dopo i titoli di coda, e rendendo anche stratificata la narrazione.
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VITA DA CARLO
Quello che stupisce di più è però forse il ruolo che si ritaglia il protagonista/demiurgo di Vita Da Carlo: come a voler ribadire ciò che chi lo conosce in privato sa bene, Carlo non è (più) un comico e non vuole esserlo, le note malinconiche che suonavano beffarde in coda alle sue prime produzioni -che non tralasciavano mai una vena di struggente malinconia- adesso sono una partitura estesa.
E quella tristezza inconsolabile è diventata prima rassegnazione, poi voglia di dare un tono più maturo a un artista che non ha più i 30 anni di Borotalco, né i 40 di Maledetto Il Giorno Che T’Ho Incontrato: gli anni sono 70, e la consapevolezza dell’esistenza ha giocoforza un mood più sofisticato e meno giocoso.
Ecco che allora Carlo Verdone (personaggio e persona) sta al centro della serie e demanda ai numerosi volti comprimari la componente comica: c’è Max Tortora (straordinario) ma anche Alessandro Haber, c’è la sua assistente Rosa e i suoi figli Giovanni e Maddalena, l’ex moglie e il produttore che vuole solo ridere.
Insomma, un catalogo sterminato di volti perfetti e centrati scritti con soave brillantezza, ma anche con una tale puntualità e definitezza psicologica da far sospettare che ognuno di loro sia un aspetto del suo io interiore, una faccia della sua essenza, un lato del suo carattere, un’angolatura della sua giornata. Parte con un sogno che vola vicino ad Essere John Malkovich e arriva al Deconstructing Harry alleniano, procede dritto come un treno tra psicopatologie piccole e grandi, e ogni puntata di Vita Da Carlo si apre proprio con immagini oniriche, per avallare la chiave di lettura di sopra.
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THE WILDS
Pochi giorni dopo il rilascio della seconda stagione, l’acceso e numeroso fandom di The Wilds ha scoperto che quasi sicuramente arriverà la terza stagione, rassicurato quindi per il cliffhanger da far perdere il fiato.
Così come la trama di The Wilds guarda da vicino agli esperimenti sociali senza scrupoli (vedi l’esperimento carcerario di Stanford), anche le sue sottotracce identificano il gruppo di ragazzi con la competizione per la leadership, la mascolinità tossica e all’eccesso di violenza, caratteristiche che riecheggiano in maniera più o meno sincera, più o meno esatta il lato più pericoloso e distruttivo della società patriarcale.
E nonostante uno dei piatti forti di questa stagione è, sempre nelle tracce di Lost, la scoperta di un gruppo di “altri” sulle isole deputate deserte; nonostante questo, i dieci nuovi episodi di The Wilds dimostrano che la serie ha una sua profondità identitaria, qualcosa di importante da dire e soprattutto sa bene come dirlo.
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