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In Sala

‘Arthur Rambo – Il blogger maledetto’ di Laurent Cantet, distruggersi con un tweet

Dal Rendez-vous arriva in sala il film del regista francese che racconta ascesa e declino (via social) di uno scrittore franco-algerino a Parigi, impegnando a una riflessione sui ghetti delle periferie e delle reti sociali

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Arthur Rambo, autografi

Dr. Jekyll e Mr. Tweet. Così si potrebbe profilare Karim D., protagonista di Arthur Rambo – Un blogger maledetto di Laurent Cantet. Liberamente ispirato alla storia del cronista radiofonico Mehdi Meklat, messosi nei guai per i suoi post incendiari, il personaggio interpretato da Rabah Naït Oufella è un promettente scrittore, reduce dal boom letterario del romanzo di esordio, che vede spegnersi – anzi, bruciarsi – le proprie prospettive quando riaffiorano alcuni vecchi tweet: topiche del passato che si fanno trend topic. Il peggio del peggio: omofobia, antisemitismo, deliri para-terroristi, misoginia e becerume sparso. Anche se, a suo dire, appartenenti a una precedente identità fittizia, sorta di avatar (Arthur Rambo, appunto)  creato per scherzo con gli amici. Per vedere di nascosto l’effetto che fa. E l’effetto, a scoppio ritardato, è plasticamente descritto da uno dei personaggi del film: “una tempesta di m**da“.

Rendez-vous con Cantet

L’ottavo lungometraggio di Laurent Cantet è un rendez-vous del regista con sé stesso. Presentato al Cinema Sacher alla XII edizione del Rendez-vous, il festival dedicato al nuovo cinema francese, il film consente infatti all’attento autore francese di riconsiderare, da diverso punto di vista, istanze sociali già analizzate in altre opere (La classe, Palma d’Oro a Cannes; L’atelier). In particolare, le contraddizioni e le spaccature della società francese, con uno sguardo critico ai tormenti della gioventù, all’isolamento delle periferie e alla seduzione degli estremismi. Qui, in salsa social. Alquanto piccante, considerata la violenza degli haters e delle giravolte di opinioni. Logico sviluppo di una filmografia impegnata, Arthur Rambo – Il blogger maledetto è un film impegnativo: senza giudicare, impegna socialmente lo spettatore al pensiero critico.

La trama

Fenomeno letterario del momento, Karim D. (Rabah Naït Oufella) viene acclamato grazie al suo sguardo originale e pertinente su periferie, minoranze e immigrazione. Sugli scaffali, 30.000 copie del suo libro Débarquement, basato sulle vicende di sua madre. Nei circoli letterari di Parigi, grazie anche al megafono della sua popolare web tv, è sulla bocca di tutti. Durante i festeggiamenti, una produttrice gli spalanca anche le porte del cinema. D’improvviso, però, riaffiorano tweet di anni prima, pubblicati con lo pseudonimo di Arthur Rambo con cinico umorismo. Messaggi razzisti, omofobi, d’incitazione all’odio, antisemiti e contro le donne. La reazione lo travolge. Editore, amici, avvocati, familiari. Anche i fan di quartiere; e persino quelli che già lo sapevano. Il giudizio sembra inesorabile, ma la domanda di tutti resta pendente: perché?

Il trailer

La fiera delle vanità

Non poteva che cominciare dalla televisione, Arthur Rambo di Laurent Cantet. Sullo sfondo verde degli studi, con giacca sobria e barba fintamente trascurata, il giovane romanziere à la page ascolta il conto alla rovescia, pronto a rispondere alle domande dell’intervistatrice. Altrettanto il team di comunicazione: polpastrelli caldi, perché la chiacchierata nel piccolo schermo sul romanzo Débarquement sia soprattutto l’occasione – l’ennesima –per sbarcare sui social con una raffica di hashtag. Per l’immagine dello scrittore, insomma, più che per i contenuti del libro. La costruzione della prima parte del film da parte di Cantet è nel brillante allestimento di una fiera delle vanità. Non è un caso che alla prima abbuffata di tweet, sia destinato a seguire, per strategia dell’editore, la grande abbuffata di un party con luci stroboscopiche, musica dance e alcolici convenevoli.

Arthur Rambo, l'arrivo alla festa

Arthur Rambo – Un blogger maledetto: l’arrivo di Karim e dei suoi alla festa

L’arrivo di Karim, con tanto di claque al seguito, è in un surreale piano frontale da sfilata di alta moda. Quando le dita non sono sui tastini dello smartphone per i tweet, si adoperano per scrivere un messaggio alla compagna. Che non verrà.

Karim: mi piacerebbe davvero che ci fossi.
Lea: per vederti pavoneggiare tutta la sera?
Karim: di solito mi pavoneggio?

Così pare. Ma la fiera delle vanità, in cui si viene tirati così convincentemente, è pronta a mutarsi in fiera delle illusioni.

Ascensore per l’inferno

L’inizio glamour di Arthur Rambo, destinato a un rapido rovesciamento, è in realtà il preludio a uno spostamento tattico. Nel campo di battaglia preferito da Laurent Cantet: quello dell’analisi sociale. Quando Karim D. vede collassare il proprio mondo, dorato e virtuale, la sua immagine viene completamente ribaltata. Dalle luci della ribalta, si passa ai riflettori della spietata opinione pubblica. Il braccio violento dei social colpisce ancora.

Vero che di questo si parla, nel film: della volatilità del successo nell’egemonia delle reti, nonché delle reti stesse come campi minati. A un livello più profondo, nondimeno, l’innesco drammatico è semmai su di un’altra questione: la clamorosa ghettizzazione (questa la parola usata dal fratello di Karim) delle banlieue. Si viene a capire meglio perché servisse uno scrittore di origini algerine, quando la sua caduta sociale lo fa ostracizzare dalla borghesia bianca. Gli spazi del film piombano dai salottini ai sobborghi. Dallo champagne, a mamma che prepara la colazione nella casa di quartiere. Dagli applausi della critica, agli osanna dei maghrebini scontenti che trovano – o credono di trovare – un portavoce della loro rabbia.

Arthur Rambo, Karim col fratello

Arthur Rambo – Un blogger maledetto, Karim col fratello

In questo senso, la figura del romanziere è quella di un emancipato dalle minoranze, illusosi che la letteratura e l’impegno mediatico potessero valergli da ascensore sociale. Alla prima occasione, invece, viene malamente rispedito tra “i suoi”, dove si coverebbe – proprio per la frustrazione del sentirsi esclusi – chissà quale violenza. L’ascensore sociale che l’aveva portato in paradiso (altro termine di uso esplicito nel film) ha invertito la direzione: ora è ascensore per l’inferno. Meglio: l’ascensore per il patibolo dell’opinione pubblica.

Unità di tempo, disunità di spazio (e sociale)

E c’è anche chi, come l’amico Rachid, non vuole farsi ri-trasportare laggiù nell’inferno: “ma non vedi quanto siamo fragili?”, rinfaccia a Karim. L’entourage dello scrittore fulmineamente decaduto teme di essere a sua volta fulminato dall’opinione dei benpensanti. Dovendo così scontare, di nuovo, la segregazione sociale. Indicativo, in un film in cui si condiscende a perdonare certi dialoghi un po’ didascalici, è uno scambio tra Karim e Yann, scrittore borghese che condanna i tweet del franco-algerino. La dis-integrazione della società francese è tutta nelle loro battute:

Karim: vorresti rimandarmi nella banlieue?
Yann: abiti a sole tre fermate da me. Risparmiati la lagna.
Karim: certo, tre fermate che contano.

Sono scene che “abitano” a soli trenta minuti dall’incipit trionfale dl film. Una delle caratteristiche che mantiene Arthur Rambo un film d’immediata presa emotiva, oltre che di caldo dibattito, è l’antichissima unità di tempo: una delle tre che Aristotele prescriveva per il canone narrativo nella sua Poetica. Tutto in poco più di un giorno e una notte. Ma quella di spazio è infranta, e lo scarto è visivamente impressionante. La banlieue-ghetto è il contraltare magnifico della seconda parte. Lo stile asseconda. Non più le patinature fotografiche della prima metà, né le sovrimpressioni artificiose delle scritte che riproducono i commenti ai tweet. Si fa strada, tra le strade di quartiere, il Cantet che conosciamo: quello dei long take, dell’immersione, del realismo ruvido. Una disunità di spazio che interpreta acutamente la disunità del corpo sociale.

La società dello spettacolo

Nell’era dei social media, specie in una società così frammentata, il passaggio dalla periferia al centro, o dall’inferno al paradiso, e viceversa, è traghettato dallo spettacolo. La logica di Cantet è stringente; lo spettatore può affascinarsi di una chiarezza che non ha snobismo intellettuale. Il film inizia cristallinamente in uno studio televisivo: dove sennò? In buona sostanza, poi, vivrà la sua parte decisiva, più in là, di nuovo davanti a delle telecamere. È la società dello spettacolo di cui parlava Guy Debord, qui nella sua evoluzione finale.

Arthur Rambo, convenevoli al party

Arthur Rambo – Un blogger maledetto, il party dell’editore come spettacolarizzazione dell’industria letteraria

G. Debord” è proprio la scritta che si legge nel poster affisso sulla porta dell’appartamento degli amici, quando Karim va a trovarli in cerca di consolazione. Si sposa bene col film quanto scriveva il filosofo francese:

Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli.

Ecco, allora, che l’editrice di Karim s’infuria con lo scrittore giammai per le questioni etiche, quanto prevedendo un danno d’immagine, ergo, un calo delle vendite: la letteratura è merce spettacolarizzata. L’agente letterario è costretto a interrompere il tour promozionale: lo show non è più credibile. Persino gli amici e collaboratori della web tv del quartiere sentono di dover smantellare lo spettacolo virtuale per un mero calcolo di clic:

Come credi che ci vedranno? Non possiamo lavorare una vita per dare un’immagine positiva di noi e poi scrivere quelle cose. È tutto finito. I nostri 200.000 iscritti, finiti.

Lo stesso romanzo di Karim, sulla vita della madre, buonisticamente apprezzato come storia di riscatto, svelerebbe una spettacolarizzazione. Al punto che la madre dirà al figlio: “Il tuo libro sono io: è la mia storia. Hai scritto cose di me che nessuno sapeva”. Insomma: una tastiera – per scrivere romanzi o tweet – o una macchina da presa ci seppelliranno. O ci porteranno in paradiso. Ed anche se, con le sue didascalie a tema, Arthur Rambo – Un blogger maledetto è in alcuni momenti più un teorema di cui argomentare, che uno spettacolo, resta una bella immagine di cinema che vince: per lucidità di pensiero, per intelligenza di stile.

Arthur Rambo e;Tromperie: dal Rendez-vous alla sala

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Arthur Rambo - Il blogger maledetto

  • Anno: 2021
  • Durata: 87'
  • Distribuzione: Kitchen Film
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Laurent Cantet