Dopo il successo planetario di Squid Game, Netflix punta ancora una volta sulla Corea del sud. Un futuro non troppo lontano, una crisi idrica mondiale e una missione suicida sulla luna. Troverete tutto questo in The Silent Sea, disponibile dal 24 dicembre.
La trama
L’acqua sulla Terra scarseggia. I mari non ci sono più. La disparità sociale è rimasta, organizzata in classi idriche. Le classi sociali più abbienti sono quelle che possono accedere più facilmente alle risorse; quelle più povere sono costrette a riversarsi sulle strade per protestare rivendicando il diritto di poter avere a disposizione una quantità dignitosa di acqua.
L’astrobiologa Song Ji-an verrà reclutata per affiancare una crew di astronauti in un viaggio spaziale. L’obiettivo è portare a termine una missione suicida sulla luna che potrebbe salvare le sorti dell’umanità.
Il worldbuilding: croce e delizia
L’idea di partenza della serie è molto interessante. Forse l’unica cosa davvero degna di nota di The Silent Sea. La penna di Park Eun-kyo (sceneggiatore di Madre di Bong Joon-Ho, 2009) assieme alla regia di Choi Hang-yong costruisce un futuro molto credibile e non così lontano dal nostro presente. Portati all’estremo i problemi ambientali dell’attualità, il mondo che ci si para davanti attira subito l’attenzione dello spettatore. Si riesce ad empatizzare facilmente con la situazione descritta dalla serie, in quanto è colpita da problemi molto vicini alla realtà che ci circonda.
Gli esterni del paesaggio lunare e le sequenze in CGI annullano però il buon lavoro appena descritto. La prima puntata inizia in medias res, mostrandoci la fine dell’incidente accaduto alla nave spaziale dei nostri protagonisti durante l’atterraggio sulla luna. Dopo una serie di flashback, il viaggio ci viene mostrato nel dettaglio, così come l’ambiente lunare. La grafica non è purtroppo all’altezza delle premesse, suscitando l’impressione di avere davanti agli occhi qualcosa di finto sin dalla prima inquadratura. Per fortuna, dal secondo episodio in poi, quasi tutta la narrazione procede all’interno di una base lunare e questa sensazione viene a mancare. Tutto ciò porta già alla luce durante la prima puntata la continua contraddizione di questa serie: alcuni elementi funzionano e sono il punto di forza di The Silent Sea, altri invece mostrano numerose fragilità e debolezze.
Le star che non brillano
Bae Doona (The Host, 2006; Cloud Atlas, 2012; Kingdom, 2019-in corso) nei panni della protagonista Song Ji-an, Gong Yoo (Train to Busan, 2016; Squid Game, 2021) nelle vesti del comandante Han e Heo Sung-tae (Squid Game, 2021) che interpreta uno dei dirigenti della società aerospaziale: tre attori di grande spessore che grazie alle loro interpretazioni si sono meritati un posto nel cuore degli spettatori. Purtroppo, in The Silent Sea risultano spenti, stanchi, come se qualcuno li avesse privati del loro carattere. Le cause non vanno ricercate nelle interpretazioni, bensì nella sceneggiatura. I personaggi sono abbastanza piatti, tratteggiati con superficialità. Uno dei più grandi difetti di questa serie è che si arriva alla fine con una sensazione di “già visto”. Anche quando si guarda ai personaggi. Nonostante la situazione e le premesse narrative siano stuzzicanti, ogni singolo personaggio non è interessante, non intriga lo spettatore e sembra di averlo già visto da qualche altra parte.
Un buco nell’acqua
La sensazione di già visto si ha anche se si prova ad analizzare la trama. Fatto tesoro della lezione di Alien di Ridley Scott e Aliens – scontro finale di James Cameron, The Silent Sea non aggiunge granché. Le situazioni sono quelle, gli ambienti gli stessi e l’atmosfera anche. O almeno provano ad esserlo. Eppure elementi di originalità ci sono, ma sono troppo pochi. Non riescono a dare un’identità forte alla serie. Ogni episodio custodisce un elemento interessante, orchestrato anche molto bene in termini di suspense e tensione narrativa. Dopo averli visti ci si illude di essere arrivati a un punto di svolta, ma poi tutto si spegne, tutto si normalizza e torna banale.
The Silent Sea non convince. Un grande cast non basta. Il buon potenziale narrativo non viene sfruttato. Gli elementi di originalità non danno una spina dorsale originale alla serie. Gli otto episodi dalla durata di circa 45 minuti sono purtroppo inefficaci come (ed è proprio il caso di dirlo) un assordante e silenzioso buco nell’acqua.
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