Heart è il secondo lungometraggio di Ga-Young Jeong. Un film unico, che parla del film stesso e del motivo per il quale si è spinti a fare cinema.
MUBI sta puntando molto sul cinema sudcoreano, tanto da aver imbastito una rassegna speciale intitolata Il nuovo cinema sudcoreano.
La trama di Heart
Gayoung (interpretata dalla stessa regista) torna a far visita a Seongbum, un insegnate d’arte con cui era andata a letto il giorno della nascita del figlio di Seongbum stesso. Gayoung confida alla sua vecchia fiamma di essersi innamorata di un uomo sposato e di non riuscire a dimenticarlo. I due continueranno a vedersi, imbastendo dialoghi che indagano, per quasi tutta la durata del film, la loro condizione più intima e le loro difficoltà nella vita amorosa.
La controparte femminile di Hong Sang-soo
È proprio la descrizione su MUBI a definire Ga-Young Jeong la controparte femminile di Hong Sang-soo. Quando si azzardano questi paragoni spesso sotto si nasconde un problema, una mancanza di originalità dietro all’opera in questione. Hong Sang-soo è un mostro sacro, un habitué dei maggiori festival internazionali. Le influenze del grande regista sono chiare: inquadrature statiche e dialoghi molto dilatati, scenari ripetitivi con l’azione dei personaggi limitata all’interno del quadro e un registro che oscilla tra l’ironico e il drammatico.
Il problema in questo film è che tutto ciò sembra essere partito col freno a mano. L’ironia non è mai tagliente e riesce solo saltuariamente a colpire nel segno. I dialoghi e le situazioni, seppure ben scritti i primi e ben orchestrate le seconde, risultano eccessivamente ripetitivi. L’impressione alla fine è che ci sia un punto di partenza ma non un punto di arrivo. Si resta sospesi davanti allo schermo con un grosso punto interrogativo stampato sulla fronte. Il film parte, mette la prima ma poi non ingrana.
Fare cinema per l’amore di fare cinema
Heart di Ga-Young Jeong spiazza lo spettatore negli ultimi venti minuti. La parte finale del film diventa una riflessione sul fare cinema e sullo stesso film che stiamo guardando in quel preciso momento. È qui che si racchiude il senso della pellicola e forse anche la summa della poetica della regista. È probabilmente al contempo il punto di forza e il punto debole di questo film. L’amore per il cinema è il motivo che deve spingere ogni regista a creare un film. È questo ciò che ci dice la regista nei panni del personaggio che interpreta. È una considerazione effettivamente sacrosanta; però questa condizione necessaria non è sempre sufficiente. Amare il cinema purtroppo non sempre basta. Se il film non cattura e non convince non c’è amore per il cinema che possa tenere.
Nel complesso il film resta comunque godibile, non annoia per tutta la durata dei suoi seppur brevi 71 minuti, nonostante molte situazioni siano alla lunga ripetitive. Spesso i lunghi dialoghi sono anche approfonditi, ma non si riesce ad andare oltre, a buttare il cuore oltre l’ostacolo per creare qualcosa di davvero potente e di grande valore. Il film inizia, ma sembra non finire e fermarsi senza un’adeguata conclusione.
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