The Maid (2020), il magnifico slasher soprannaturale del regista Lee Thongkham, è uno dei due film (l’altro è The Con-Heartist -2020- di Men Tharatorn) in concorso alla 23a edizione del Far East Film Festival di Udine, in rappresentanza della Tailandia.
Misteriose presenze
Joy (Ploy Sornarin) è una giovane proveniente dalla campagna che, lasciata la famiglia, lavora come cameriera per ricche famiglie di stranieri nel paese. Proprio mentre gli ultimi datori di lavoro hanno lasciato il paese e venduto la casa, ma riceve notizia di un posto vacante in una villa in cui abita una ricca signora, Uma (Savika Chaiyadej) assieme al marito Nirach (Teerapat Sajakul) e alla loro bambina Nid (Keetapat Pongrue), affetta da gravi allucinazioni visive.
C’è stato uno strano ricambio dei domestici nella casa. La precedente cameriera, Ploy (Namwan Kannaporn), ha lasciato il lavoro senza dare preavviso ed è scomparsa nel nulla. Incuriosita da questo mistero, Joy cerca di capire, ma le colleghe, Wan (Natanee Sitthisaman) e Bhorn, le consigliano di smetterla di fare la ficcanaso. La ragazza continua a giocare con il fuoco e, mentre si prende cura di Nid, si rende conto che la casa è infestata da una presenza e che le allucinazioni della piccola non sono affatto sintomo di un disturbo mentale come vogliono far credere i genitori. Così, pur paralizzata dalla paura, è determinata a scoprire chi si aggira tra quelle mura e perché.
Da una scena del film, al suo arrivo nel nuovo posto di lavoro, Joy prova l’uniforme da cameriera. Qualcuno nel frattempo la osserva.
Bene e male coincidono.
Il film risponde perfettamente ai canoni del genere horror/slasher fino a metà. Una casa tetra che non ha mai conosciuto l’amore. Innumerevoli suppellettili terrificanti ovunque. Scorribande continue di presenze inquietanti. Una giovane innocente in pericolo. Atmosfera cupa. Scenari notturni. Costante senso di ansia. E sangue a fiumi.
Il male è il nemico da battere. Tuttavia, identificare la minaccia non è così semplice. Joy ha bisogno di dettagli. Fruga tra i cassetti, investiga ponendo le domande giuste e trova indizi utili in una serie di fotografie. Finisce per capire cosa è successo nella villa e chi rappresenta la minaccia da arginare. Un capovolgimento di fronti inatteso rivela una confusione di ruoli tra bene e male. Il bene si ricopre di sangue assumendo i connotati del malvagio. Il male, pur consapevole della sua natura da traditore, finisce per diventare vittima di un delitto crudele.
Da una scena del film: frugando Joy ha finalmente trovato l’indizio che spiega il mistero.
La genialità del film sta nel riuscire a rendere giustificabili le atrocità più spregevoli. Lo spettatore si trova nella scomoda posizione di accettare l’omicidio come inevitabile conseguenza del castello di segreti, che hanno rovinato la vita di così tante persone innocenti.
L’ingiustizia e la mancanza di compassione gelano lo spettatore, gli intorpidiscono pericolosamente il cuore. Gli schizzi di sangue ad ogni coltellata non fanno sussultare più di tanto. Si attende con ansia il malore da avvelenamento indiscriminato di una folla di inconsapevoli. I cadaveri si accumulano.
E solo il pianto liberatorio nel finale riporta tutti alla realtà. E lo spettatore, tornato padrone della giusta dimensione dei sentimenti, inorridisce per aver provato tanto piacere davanti a tanta violenza.