‘The Case You’, al Festival del Cinema Tedesco va in scena il coraggio
Un teatro universitario, cinque giovani attrici, una regia talentuosa e la testimonianza di un sorpruso sessuale e personale che si trasforma in una piece imprescindibile
Isabelle Bertges, Gabriela Burkhardt, Aileen Lakatos, Lisa Marie Stoiber e Milena Straube sono i nomi delle protagoniste del film documentario diretto da AlisonKuhun.
La regista e le sue cinque attrici sono tutte accomunate dall’aver affrontato uno di quegli episodi, lo stesso, che segnano per sempre la vita e la carriera di una persona. In ‘The Case You‘ queste sei giovani donne accettano di interpretare nella realtà del presente un passato impietoso e tronfio della sua aridità morale.
Sono passati quattro anni da quando hanno concorso in una delle loro prime importanti audizioni cinematografiche. L’idea di poter essere attrici in un lungometraggio era l’origine del loro entusiasmo come lo sarà del loro successivo sconcerto.
Vittime di ripetute molestie sessuali, celate nella necessità di svolgere i provini in una certa maniera, irrinunciabile ai fini del buon esito degli stessi, le cinque donne fanno tesoro della loro esperienza e reagiscono. Tutte insieme accettano il canovaccio pensato dalla Kuhun e testimoniano il dolore e la delusione alberganti nel proprio cuore.
Girato in soli quattro giorni nella sala teatro dell’università di Potsdam-Babelsberg, istituto che ha anche contribuito alla produzione, il lavoro diretto da Alison Kuhn svolge la sua narrazione su due binari paralleli.
Da un lato lo svelamento e la costruzione del proprio sé con l’escamotage dell’intervista praticata con una presenza scenica defilata, individuale, a ridosso del palco, in una specie di dietro le quinte. Dall’altro la recitazione di ciò che è stato, davanti alla macchina da presa esposta, essa stessa componente di un ordito teso a racchiudere in una memoria indelebile l’alternarsi del racconto di denuncia delle cinque giovani donne.
Accade così che cinema e drammaturgia si fondino al cospetto dei movimenti di regia decisi da Alison Kuhn. Ben lontani dagli aspetti compassionevoli del teatro tedesco di Lessing, si instradano verso il centralismo delle azioni che superano le fragili figure delle protagoniste per assurgere a elemento trainante dell’intera pellicola.
Quasi una matrice da tragedia shakespeariana che riempie la scena e sostiene le inquadrature, che siano primi piani, figure intere o totali. Ottanta minuti di un film, che la stessa Kuhn definisce necessario, il cui pregio è di non smarrire mai la sua intensità emotiva con ogni dettaglio, a cominciare dalla voce delle protagoniste, che diventa sinergico all’azione. In questo senso appare lodevole il lavoro al montaggio di Christian Zipfel e quello alla fotografia di Lenn lamster.