In queste poche settimane che ci separano dalle riaperture di fine aprile, il clima nel mondo del cinema è completamente cambiato. A sentire registi, sceneggiatori, produttori, addetti ai lavori in genere, non c’è chi non sia fremente al lavoro su qualcosa e se qualcuno c’è, è da stanare come un confezionatore di fake news qualsiasi.
Roma è come sempre, ma forse più del solito, un set a cielo aperto, tir per le attrezzature, strade chiuse al traffico, troupe spuntano anche da angoli insospettabili e non solo i soliti appartamenti nel quartiere Delle Vittorie o le solite scuole di Testaccio o si soliti scorci dell’Aventino sono invasi da quelli che una volta si chiamavano “cinematografari”.
Tutto bene, si potrebbe dire, a parte le solite difficoltà e lungaggini delle macchine burocratico-ministeriali, se non fosse che dietro questo attivismo si scorgono segnali contrastanti, forse anche inquietanti.
Le cinquine del premio strega, i succitati set, tutto prosegue come se niente fosse. Ognuno continua a coltivare le proprie passioni, a seguire i propri interessi, si raccontano storie più o meno interessanti in modo più o meno riuscito. Ma le pagine dei giornali (o dei siti o di dov’altro si decida di andare a reperire informazioni) ci dicono davvero questo?
Davvero si può ricominciare da dove ci eravamo lasciati? E a che punto era, precisamente, dove ci siamo lasciati?
Altrove si stanno agitando mostri e incubi niente male, libri già stampati vengono mandati al macero sulla scorta di campagne social basate, ovviamente, non sui contenuti ma su quello che si presume o si teme ci possa essere scritto.
Perfino il bicentenario di Napoleone è stato oggetto al di là delle Alpi di critiche e di attacchi, di veti e di faide diventate di dominio pubblico.
Dietro la facciata di campagna in difesa del diritto di tutti alla propria libertà ed autodeterminazione, si stanno allestendo vere e proprie campagne d’odio e tanto fango per non dire altro si sta infilando nel ventilatore prima di azionarlo.
Da noi non si stanno mandando libri al macero e questo è sempre e comunque un bene, ma forse si potrebbe anche pensare che non ci sono libri o film che qualcuno chiede di mandare al macero perché raramente i nostri editori, le nostre case di produzione, i nostri registi e così via si invischiano in questioni appena un minimo contraddittorie, in grado di investire e di mettere in discussione il nostro vissuto, personale e collettivo, ciò che siamo e che pensiamo di essere?
D’altra parte, è sacrosanto adoperarsi per costruire format il più possibile globali, in grado di essere esportabili su piattaforme e quant’altro oggi a disposizione di chi voglia far girare contenuti (forse ci si poteva arrivare anche prima senza concentrarsi solo su marescialli e corsie d’ospedale…) ma questo non implica certo, necessariamente, l’abbandono di temi forti, di storie in grado di emozionarci e di coinvolgerci non solo sul piano emotivo ma anche su quello etico ed intellettuale.